Facebook in Africa: Internet non è così
Quintali di melassa buonista sono stati versati in queste ore, anche in Italia, sulla prima applicazione pratica del progetto Internet.org. Attraverso un accordo con l’operatore telefonico dello Zambia Airtel, sarà possibile per i cittadini del Paese africano accedere a uno spicchio di Internet senza costi aggiuntivi. Un primo passo – dicono – verso l’applicazione in ampie zone del sud del mondo in cui l’accesso alla rete è fuori dalle possibilità economiche dei cittadini, di un diritto alla connettività di cui si discute da sempre. Un primo passo – dicono – verso un’alfabetizzazione minima dei nuovi cittadini digitali.
Poiché come è noto non esistono birre gratis, nel caso di internet.org (già il nome di dominio scelto per il progetto suscitò a suo tempo comprensibili polemiche) il conto del barista lo pagherà Facebook che si farà carico dei costi di connessione a Internet nei paesi africani in cambio di un trascurabile benefit: l’accesso a Facebook sarà compreso nel pacchetto – per la verità molto smilzo – di servizi gratuiti compresi dalla app android attraverso la quale i nuovi navigatori potranno consultare Wikipedia, guardare le previsioni del tempo, ottenere informazioni sanitarie e lavorative su siti appositi e, ovviamente, aggiornare la propria pagina e chattare su Facebook. Dimenticavo: potranno anche effettuare ricerche sul web utilizzando Google ma quando sciaguratamente decidessero di cliccare su uno dei link proposti, l’operatore telefonico chiederà, come ovunque nel mondo, un piano dati a pagamento attivo per proseguire la navigazione web.
Qualche anno fa Orange decise di offrire la consultazione gratuita di Wikipedia per i propri utenti di telefonia mobile in alcuni Paesi africani. Era una bella idea, un po’ paracula ma bella: aggiungeva un servizio al proprio pacchetto commerciale per invogliare i clienti a stipulare un contratto, apriva un piccolo spiraglio verso Internet senza travolgere tutti con la retorica dei diritti naturali e delle prerogative della cultura digitale. Contemporaneamente segnalava l’esistenza di un mondo ad una popolazione che in buona parte non lo conosceva.
Internet.org non è così: è una scelta anticompetitiva di una società che, a suo tempo, ha sfruttato a proprio vantaggio la rete neutrale per far valere il proprio talento raccogliendone grandi e meritati successi. Oggi quella stessa startup diventata colosso mondiale quotata in borsa cerca nuovi mercati pagando perché i suoi servizi siano offerti in regime di monopolio o quasi in nuovi territori vergini ed incontaminati. La ciliegina sulla torta di tutto questo, forse l’aspetto che rende una simile operazione tanto fastidiosa, è la retorica terzomondista che l’avvolge. Facebook racconta un progetto ecumenico di diffusione delle opportunità formidabili di Internet a tutto il pianeta che domani sarà finalmente connesso, alfabetizzato e traboccante di nuovi diritti per tutti. E nella logica del vecchio ma sempre valido “chi primo arriva meglio alloggia” identifica sé stesso nel soggetto essenziale per l’accesso alla rete. E paga perché tutto questo sia così percepito in ampie aree del mondo non ancora connesse. Inutile dire che Internet non funziona così. Internet non è mai stata così.