Quali priorità per Internet in Italia?
Come sanno quasi tutti, nel piccolo gruppo di persone (sempre le stesse) che in Italia si occupa di questi temi, io sono molto contrario ad ogni iniziativa regolamentare che riguardi la rete. Sono dubbioso sull’utilità di una Costituzione per Internet (ne ho scritto mille volte ma visto che il tema torna a ripresentarsi dovrò scriverne ancora), sono mortalmente annoiato dalle Commissioni parlamentari (l’ultima quella organizzata dal Presidente della Camera Boldrini) che ascoltano gli stakeholders, le associazioni, Caio e Sempronio e poi stilano un rendiconto finale pieno di paragrafi che nessuno leggerà sullo stato dei diritti in Italia ai tempi delle nuove tecnologie. Mi intristiscono i PDF di 450 pagine delle Autorità statali, da sempre figlie di chiunque tranne che dei cittadini, che illustrano davanti al Parlamento quali siano gli interessi dei cittadini e come i cittadini debbano comportarsi.
Ci sono mille cose che vorrei fare per Internet in Italia ma non queste.
Ho anche la presunzione, magari sciocca, che questo mio essere dubbioso non sia disfattismo ma senso del limite e della realtà (ben sapendo che talvolta il senso del limite e della realtà bruciano le aspirazioni e spengono talenti ed aspettative). Quella realtà in cui, banalmente, se sei un mulo dovresti intanto iniziare a non immaginarti stallone.
I comitati e le commissioni, i circoli di lobbisti e le sacrestie politiche sono – del resto – il luogo del possibile. E poiché tutto è sempre in qualche misura possibile, molti, in ottima fede, si chiedono: perché non provarci? Perché non vedere se finalmente succede qualcosa?
Mentre questi refoli di ottimismo si spargono in giro (accade ciclicamente da oltre un decennio, il Forum per la Società dell’Informazione della Presidenza del Consiglio è del 1999, leggete qui cosa dicevamo 15 anni fa se avete voglia di farvi del male) l’Italia è il Paese delle peggiori aberrazioni nei confronti di Internet. Ci facciamo compatire e ridere dietro dal mondo intero almeno una volta ogni 6 mesi con assurde proposte di legge, interviste di alte cariche dello Stato, sentenze di magistrati, editti di Associazioni. Non ne farò l’elenco per la millesima volta ma per quanto mi riguarda ci sarebbe abbastanza materiale per abbandonare ogni ottimismo e dedicarsi ad un po’ di sana autocommiserazione per i prossimi cento anni. Come dico spesso: amiamo Internet? Allora lasciamo ad altri, fuori dai confini patrii, le preoccupazioni sul suo funzionamento. Fidiamoci del buonsenso che evidentemente non possediamo. Noi siamo gli ultimi che dovrebbero metterci le mani.
Per una ragione scioccamente statistica possiamo anche imbottire Commissioni e gruppi di studio delle migliori menti, possiamo dare loro fiducia e spazio di manovra ma tutto questo, prima o dopo, sarà fermato dalla prevalenza del cretino. Che è spesso saldamente ancorato alle poltrone di comando di questo Paese, che spesso nemmeno sappiamo chi sia, ma che ha potere di veto su qualsiasi iniziativa che riguarda questioni che non conosce e che come tali lo spaventano a prescindere. O che, come spesso accade, diventa il servo sciocco di poteri più grandi di lui. Come dice spesso un mio caro amico addentro a queste cose – se vuoi che una norma sacrosanta che riguarda Internet passi in Parlamento devi fare in modo che dia il meno nell’occhio possibile e possa essere così votata per sbadataggine.
Non cambia molto che tu sia Stefano Rodotà (che ha scritto negli anni molte cose sacrosante sulla politica delle reti) o Laura Boldrini (che nel giro di pochissimo tempo ha collezionato una serie notevole di gaffe e sciocchezze al riguardo), il punto è che la politica chiacchierante non fa bene a Internet, ha come unica concreta possibilità quella di renderla peggiore rispetto a prima, fondamentalmente perché la maggioranza di quelli che avranno titolo per occuparsene lo faranno senza alcuna diretta cognizione o con un eccesso di cognizione legato ai propri interessi aziendali. E la politica chiacchierante è il 98% del tutto. Nel 2% restante c’è il Vannino Chiti della legge editoria del 2001, c’è Giampiero D’Alia che voleva chiudere Facebook in Italia, c’è il Francesco Boccia della webtax e il duo Calabrò/Cardani per il papocchio Agcom sul diritto d’autore, c’è il recentissimo Dario Franceschini dell’equo compenso. Possiamo fare finta che tutto questo non esista o non sia mai esistito? La mia semplice proposta è: iniziamo ad occuparci di quel 2%.
Siamo prigionieri di una grandeur legislativa soffocante e totalmente fuori luogo. Abbiamo un Parlamento pieno zeppo di gente che è vissuta fuori da mondo per decenni, gente alla quale se dici “guarda che ieri un magistrato italiano ha disposto l’oscuramento in Italia di un intero sito neozelandese simile a Dropbox” ti risponde “embé?” e non perché sia un censore fatto e finito ma perché semplicemente non ha capito la gravità di una decisione del genere e tutto sommato non gliene frega nulla.
Rodotà dice che la Costituzione serve esattamente a questo, a tutelare i diritti di tutti. Luca De Biase scrive da tempo che le iniziative del governo dovrebbero essere sottoposte ad una valutazione di impatto digitale. Li ammiro e non ho dubbi sulla loro buona fede ma penso che forse sarebbe utile ridurre l’entità delle nostre aspirazioni evitando per quanto possibile di imbarcarci in grandi questioni etiche che certo solleticano il nostro animo di animali intellettuali ma che portano con sé notevoli rischi pratici. Rischi che, per altro, in questi anni abbiamo sperimentato spesso in maniera dolorosa sulla nostra pelle.
Fondamentalmente penso che il mulo dovrebbe smettere di immaginarsi cavallo. Rimaniamo il più possibile in silenzio ed al riparo. Occupiamoci delle piccole/grandi incombenze del buon padre di famiglia. Se Internet si salverà ne saremo felicissimi: in quel caso sono abbastanza sicuro che non sarà per merito nostro.