La Rai, Youtube e la Tv che cambia
Criticare il mancato accordo fra Rai e Google per il rinnovo del canale Youtube della Tv di Stato assomiglia ad un riflesso automatico. Automatico e, almeno in parte, sbagliato. Perché la Rai rappresenta nell’immaginario di molti di noi il vecchio carrozzone pubblico sfiatato e lottizzato, Youtube il futuro della televisione spezzettata in mille video differenti.
Che il Direttore Generale della Rai Gubitosi immagini un diverso modo di monetizzare i contenuti prodotti dalla Tv di Stato è cosa del tutto naturale e doverosa ma richiede forse qualche ulteriore specificazione.
Intanto andrebbe ricordato che i contenuti Rai su Youtube non sono contenuti esclusivi ma semplici upload di parti di trasmissioni TV già disponibili sul sito di Rai.tv. Quindi forse ha ragione Gubitosi, forse i contenuti Rai su Youtube valevano una cifra maggiore dei 700mila euro previsti dal precedente contratto (anche se a dir la verità il numero di visualizzazione del canale Rai su YT è spesso molto basso) ma erano comunque denari aggiuntivi rispetto a quelli teoricamente raggranellabili sul proprio sito web. Buon senso direbbe che un accordo al riguardo, anche magari al ribasso, in tempi di vacche magrissime forse andava trovato.
Se per qualche ragione abbastanza solida questo accordo non era più possibile (magari per colpa di Google) allora occorre aggiungere altre due considerazioni o forse tre.
La prima: andare da Google proponendo di usare su Youtube la propria concessionaria di pubblicità è poco più di una inutile provocazione. È evidente che Google, che sulla pubblicità costruisce il proprio business, non potrà mai prendere in considerazione una richiesta del genere; una richesta che ha quindi ottime possibilità di essere una scusa per far saltare il tavolo (ma di nuovo, non conosciamo i particolari, si tratta di mere speculazioni).
Seconda questione: una volta scaduto il contratto togliere i video precedentemente caricati sul canale Youtube della Rai è una idea un po’ infantile. Ha strette attinenze con la metafora del pallone e del bambino viziato. Se la Rai è un’azienda seria dal 1° giugno smette di caricare i propri video su Youtube ma lascia intatta la libreria creata in questi anni, libreria che – lo ripetiamo ancora – è un semplice doppione di quella del sito rai.tv. Lo faccia magari per rispetto nei confronti dei propri utenti.
C’è una terza questione, la più importante che tengo per ultima, prima però un breve inciso. Fare la concorrenza a Youtube in termini di usabilità è complicato, significa confrontarsi con i migliori: in Rai in questi anni hanno lavorato molto bene in termini di interfacce internet. Il player web è più che decente, le app per i dispositivi mobili sono molto ben fatte. Il sito web invece è caotico e molto vecchio stile, ci sono troppe cose, molte delle quali inutili, navigarci dentro è faticoso e non intuitivo. Se davvero si vorrà attrarre nuovi utenti abituati alla semplicità di Youtube ci sarà da lavorare ancora e non poco. Questo è il prezzo da pagare se si vuole davvero fare concorrenza a quelli più bravi di noi senza alterigia.
La terza questione è una faccenda culturale rivelatrice. Dalle dichiarazioni di Luigi Gubitosi sembra di capire che la Rai intenderà in futuro seguire il percorso di netta opposizione a Youtube intrapreso da Mediaset in questi anni. Una pessima idea. Si tratta di una contrapposizione che ha ottime possibilità di trasformarsi in una guerra di trincea insensata. In particolare l’utilizzo di Youtube da parte degli utenti come blocco degli appunti di spezzoni televisivi è una forma di archiviazione contemporanea che, in un numero rilevante di casi, ha a che fare con il fair use, con la biblioteca universale o, comunque, con un’idea di riutilizzo dei contenuti che non ha senso impedire (materiale che oltretutto in qualche misura è stato finanziato con i denari di quegli stessi cittadini) ovviamente quando non finalizzato a evidenti scopi di lucro.
La Rai ha la possibilità di mostrarsi contemporanea e intelligente, gestendo come meglio crede i contenuti video che produce e lavorando per aumentarne valore e redditività in rete. Quello che non dovrebbe fare è sposare le peggiori pratiche di un mondo vecchio e stantio. Se, come sembra di intuire, così farà, sarà come mettere il sigillo ad una idea che speravamo di accantonare: quella del vecchio pachiderma televisivo incapace di adattarsi al mondo che cambia.