Il dovere all’oblio del PD
Ho letto infine la famosa bozza del disegno di legge che Alessandra Moretti e un cospicuo manipolo di deputati del PD ha intenzione di presentare in Parlamento e che per ora vive solo nella comunicazione sui media della Moretti stessa (per le ragioni che dicevo).
Che il documento non sia ancora pubblico è tutto sommato una buona notizia: il progetto a me sembra la solita rifrittura bacchettona dei temi sulla diffamazione adattati al contesto digitale, tuttavia oggi vorrei concentrarmi su un comma di quella proposta che parla d’altro e che è – secondo me – non solo sbagliato ma anche pericolosissimo. Riguarda l’annoso tema del diritto all’oblio:
L’art. 2 del disegno di legge prevede la creazione di un articolo 137 bis da aggiungere all’articolo 137 del codice in materia di protezione dei dati personali:
Art 137 bis – (Diritto all’oblio, all’aggiornamento e alla rettificazione dei dati personali) 1- L’interessato ha il diritto di ottenere l’aggiornamento e l’integrazione dei propri dati personali pubblicati in emeroteche telematiche, secondo gli sviluppi che la notizia abbia avuto.
2. L’interessato ha altresì il diritto di ottenere la sottrazione all’indicizzazione da parte di motori di ricerca esterni al sito di provenienza di propri dati personali pur legittimamente diffusi in origine ma relativi a notizie il cui interesse pubblico si sia affievolito in ragione del tempo trascorso.
Fermiamoci qui (l’art 137 bis contiene altri commi che ora non ci interessano) e concentriamoci sul comma 2 che apre due questioni serie. La prima, già molte volte discussa in passato riguarda il ruolo editoriale dei motori di ricerca, la seconda si occupa degli spazi di liceità del diritto all’oblio.
La prima faccenda è intuitiva per chiunque sappia come funziona un motore di ricerca ed evidentemente oscura a tutti gli altri, data la costanza con la quale viene ciclicamente riproposta. I risultati prodotti da una pagina di Google non sono contenuti editoriali, sono assemblati in maniera automatica attraverso algoritmi complessi e in buona parte tenuti nascosti a noi mortali. Come tali non possono e non dovrebbero essere influenzati da ragionamenti di natura contenutistica pena la loro decadenza. Nel momento in cui Google indicizza in testa ai suoi risultati la pagina web in cui il signor Rossi è stato condannato in tribunale e, solo più in basso, quella in cui si dà notizia della sua assoluzione in appello, questo non può in alcuna maniera essere considerato come un giudizio di valore del quale chiedere conto a qualcuno (come talvolta è accaduto). È la semplice conseguenza di un algoritmo che si occupa d’altro. Possiamo ragionevolmente pretendere che i risultati di Google siano ordinati o mostrati secondo ragionamenti di tipo editoriale? Ovviamente no. Quello che si può fare, ciò che anche il progetto di legge Moretti contiene, è che i siti indicizzati, specie quelli giornalistici, su richiesta (o anche di loro spontanea volontà) aggiornino le informazioni sulle condanne o sulle assoluzioni del signor Rossi.
Di ben altro spessore è la seconda questione, quella secondo la quale il signor Rossi potrà domani chiedere la rimozione dai motori di ricerca di risultati che lo riguardano in virtù del fisiologico affievolirsi dell’interesse pubblico in ragione del tempo trascorso.
Beh questa è una sciocchezza molto molto pericolosa.
Il diritto all’oblio, che è oggi un diritto che ci è sostanzialmente negato dalle piattaforme sociali, riguarda il nostro dominio sui nostri dati. Se io voglio spostare le mie foto da Facebook a un altro luogo di rete oggi non posso farlo perché Facebook, nei fatti, me lo impedisce o me lo rende molto complicato. La portabilità delle mie foto da ubriaco (se le avessi) non è ancora stata considerata e questo non va bene: c’è da tempo un progetto al riguardo all’ufficio dei garanti europei ma per ora non se ne sa nulla. Del resto se noi ritornassimo proprietari assoluti dei nostri dati a prescindere dai contratti firmati con le piattaforme di rete sociale, i modelli di business di molte aziende social andrebbero a quel paese. In ogni caso le foto sono mie, io le ho messe online, io dovrei poterne disporre come meglio credo anche a 10 anni di distanza.
È evidente che l’interesse pubblico citato dal comma 2 in questo non c’entra nulla. Purtroppo il comma 2 parla d’altro, accenna invece all’ipotesi che ciascuno di noi possa domani chiedere la rimozione dai motori di ricerca di parti di Internet che non sono sotto la nostra giurisdizione, che magari parlano di noi e che non ci piacciono. Per queste informazioni, per le notizie che ci riguardano ma che non sono nostre, il diritto all’oblio non deve esistere, e non si capisce perché, nell’impossibilità di pretenderlo dalle pagine web, lo di dovrebbe imporre ai motori di ricerca (che ancora una volta non sono soggetti editoriali ma semplici specchi di quello che si trova sul web). Così quando e se si cerca di chiamarlo in causa, questo diritto all’oscuramento per sopraggiunti limiti di età forse sarebbe meglio chiamarlo in altra maniera: censura, per esempio. Se qualcosa che non ci piace e che ci riguarda possa o non possa essere rimossa o celata su Internet dovrà essere un giudice a deciderlo in base alle norme vigenti, all’Articolo 21 ecc. ecc. e non in base ad un nostro meccanismo neurobiologico applicato al contesto digitale
È possibile leggere ignoranza o svagatezza in chi ha anche solo immaginato un articolo di legge del genere? Speriamo, perché le alternative sarebbero peggiori. Agli estensori del comma andrebbe ricordato che il maggior valore che Internet ha aggiunto alle nostre vite è quello documentale, la conservazione a un click di distanza della memoria storica delle cose che sono accadute. Possiamo mettere tutto questo in discussione (tra l’altro con le formidabili complicazioni tecnologiche che comporterebbe e che ovviamente a Moretti e soci interessano poco o nulla) in nome del diritto, non ad essere dimenticati, ma a chiedere che gli altri dimentichino ciò che siamo stati?
Non facciamo i furbi: nessun interesse pubblico si affievolisce col passare del tempo, forse potrà accaderci di dimenticare cose (a me accade continuamente) ma il giorno in cui ne avremo bisogno Internet sarà lì a ricordarcele.