Dalle notizie sbagliate alle opinioni sbagliate
Una delle poche cose che ricordo con esattezza dei tempi in cui iniziai a navigare in rete molti anni fa è che finalmente le notizie a cui era abituato, quello che leggevo sui giornali o ascoltavo in TV, potevano essere completate. O se non completate, ampiamente allargate. Più quelle notizie ti interessavano e più potevano essere espanse: avendone tempo e voglia potevano perfino diventare la tua personale ossessione. A qualcuno in effetti accadeva.
Un’altra delle cose che ricordo, strettamente legata a questa, era che in un numero molto rilevante di casi, le notizie che utilizzavo come punto di riferimento (sempre quelle di prima, quelle dei giornali, dei settimanali o della TV) iniziarono a sembrarmi tutte, o quasi tutte, straordinariamente fragili, colpevolmente incomplete, in certi casi palesemente false. In parte questo era dovuto ai limiti fisici del contenitore che le ospitava ma in parte no. La fragilità del sistema informativo, la sua poca abitudine a occuparsi della qualità del proprio lavoro (fragilità, pigrizia e dimenticanze che non sono un’esclusiva del sistema giornalistico ma che attraversano come una lama buona parte degli ambiti professionali del Paese) era per la prima volta chiara ai miei occhi di lettore curioso. Fu quella una delle prime solide ragioni per me per innamorarmi della rete.
Da allora, in tutti questi anni, molte cose sono cambiate, il giornalismo italiano – credo per merito di Internet – si è sottoposto ad una sorta di rinnovamento ed è molto migliorato: non so se in senso assoluto, ma certamente per le mie esigenze di lettore molte cose sono cambiate in meglio. È come se Internet avesse fatto da ingombrante ombudsman della galassia giornalistica, per lo meno di quella parte della galassia che sapeva cosa fosse un ombudsman.In questi 15 anni le mie fonti informative usuali si sono fatte più attente, le scopiazzature indecenti si sono rarefatte, le marchette sono diventate più imbarazzate e meno evidenti, una parte dei giornalisti ha iniziato a rimodulare il proprio lavoro ed il proprio rapporto con i lettori.
Come molte rivoluzioni è stata in parte imposta (e questo spiega almeno il persistere di un sentimento di complessivo fastidio di molta stampa italiana nei confronti di Internet) ma mi sentirei di dire che forse Internet ha fatto da grilletto: c’era tutto un ambito professionale che non aspettava altro di essere messo in grado di lavorare un po’ meglio.
Ma se sulle notizie “sbagliate” è oggi spesso complicato per chiunque alzare grandi barricate, sulle opinioni sbagliate (già dire opinione sbagliata suona ragionevolmente come un ossimoro) sembrerebbe che le cose vadano diversamente, frenati come siamo dalla loro accettazione automatica in quanto libera rappresentazione del pensiero. Tuttavia, se il pensiero è superficiale e disinformato, vale a dire se si esprime e prende posizioni nette su materie che non conosce o che rifiuta a priori, che pensiero è? A quelle opinioni noi dovremo il medesimo rispetto che riserviamo a tutte le altre? Esiste un editor dei punti di vista improbabili?
Se a questa sorta di salvacondotto ideologico aggiungiamo il rispetto per la reputazione dell’estensore, una reputazione, meritata o meno, ma in Italia quasi sempre riferita ad un mondo precedente, è in quel momento che la combinazione diventa micidiale. Eugenio Scalfari ha un punto di vista su Internet? E perché mai non dovrebbe esporlo? Ilvo Diamanti si applica una tantum ai massimi sistemi della sociologia di rete? Perché non ascoltarlo con attenzione? Sono solo due esempi fragorosi di questi giorni, ma abbiamo molti altri casi, italiani e non, di grande reputazione del passato applicata con vasta indulgenza ai tempi del presente (Umberto Eco a Zygmunt Bauman i primi due che mi vengono in mente). Abbiamo collezionato increduli per anni secchiate di opinioni affilate come coltelli ma spesso basate quasi solo su un credito di notorietà meritatamente raggranellato nei decenni precedenti. In altri tempi e su altri temi.
Molti di questi punti di vista hanno una zona di contatto molto chiara: sono punti di vista che prescindono da uno sguardo incuriosito, se non approfondito, sulla rete. Ma non solo. Sono anche punti di vista apodittici e spesso pacificamente disinformati, incuranti di tutto quello che al riguardo è stato detto e pensato prima, di una qualità molto simile a quella del giornalismo delle notizie in tempi pre Internet. Sono in altre parole opinioni “sbagliate” esattamente come erano spesso “sbagliate” le notizie quindici anni fa quando iniziavamo a leggerle in rete. Quindi sì, possono esistere “opinioni sbagliate”, possono esserlo senza dover mettere in discussione la libertà di ciascuno di esprimere il proprio parere su qualsiasi cosa e senza per questo incrinare gli eventuali grandi o grandissimi talenti acquisiti. Alla fragilità del sistema informativo in Italia si è oggi sostituita la fragilità del sistema delle opinioni (che non riguarda solo gli editorialisti ma che interessa, attraverso meccanismi simili, anche per esempio vasta parte del mondo politico) che molto semplicemente si dimostrano sovente incapaci di mostrarsi adeguate ai tempi.
In primo luogo: la rete non favorisce relazioni “empatiche”. La “community” non coincide con la “comunità”. In quanto non prevede contiguità, compresenza, coabitazione. I navigatori della rete (me compreso) intrattengono molti contatti – frequenti – ma restano fisicamente “lontani” fra loro. (Ilvo Diamanti)
Questo a me pare in buona parte ascrivibile a ragioni anagrafiche e abitudinarie. Le ragioni anagrafiche di 90enni che non utilizzano Internet ma ne raccontano i segreti e difetti sui settimanali o sui quotidiani che hanno fondato, quelle abitudinarie di un sistema di reputazione che in Italia è inamovibile fino all’ultimo. Se la sociologia della rete in USA la fa Nathan Jurgenson che ha 30 anni, in Italia, se va bene, la fa Ilvo Diamanti che è un signore colto ed elegante che si occupava d’altro e che oggi si applica senza imbarazzo al nuovo mondo con la cassetta degli attrezzi dei tempi andati.