Internet uccide la letteratura?
Qualche sera fa su Twitter seguivo i commenti di un programma TV che non stavo guardando (la mia ultima passione è seguire su Twitter i commenti di un programma che non ho voglia di guardare accendendo solo quando e se i commenti su Twitter mi incuriosiscono). E insomma, ho acceso pochi secondi su Masterpiece, talent librario di Rai3, nel momento in cui i tre giudici (De Cataldo, De Carlo e una signora ce non avevo mai visto prima) esprimevano con il rigore che si addice ad un giudice la loro riprovazione per il fatto che buona parte delle proposte letterarie che venivano loro sottoposte erano di carattere autobiografico. Lo dicevano con l’espressione lievemente schifata di chi ci stava informando che l’autobiografismo è il male. La riduzione semplice del concetto era in ogni caso la solita: nessuno là fuori è Proust quindi delle noiose madeleine della vostra vita non ce ne importa un accidente. Lì per lì, mentre spegnevo la TV, non avendo mai letto un libro di De Cataldo né uno di De Carlo e nemmeno uno della signora al centro (che però mi dicono non essere una scrittrice), mi rimaneva il dubbio se De Cataldo, De Carlo o anche magari la signora al centro, nel romanzo segreto che forse ha chiuso dentro il suo cassetto, abbiano mai esercitato il turpe autobiografismo o se invece ne siano rimasti salvi.
Questo pomeriggio mentre tornavo a casa in auto ho ascoltato dieci minuti alla radio un programma di Radio 3 di cui non so il titolo ma condotto live da Loredana Lipperini (immagino durante un festival o qualcosa del genere perché si sentivano gli applausi in sottofondo) in cui si parlava di letteratura e Internet. La Lipperini ha fatto una domanda chiara ed interessante sui legami fra rete e lettura: ha chiesto se Internet – domanda fatidica e mille volte dibattuta – aiuti o ostacoli la lettura, se navigare rubi tempo ai libri o se ne stimoli l’utilizzo. Dei due ospiti che ho ascoltato prima di arrivare sotto casa e spegnere la radio la prima signora non ha risposto, iniziando un breve fuoritema sulla utilità della condivisione dei contenuti su Wikipedia, il secondo, un bibliotecario, ha detto una cosa interessante alla quale non avevo mai pensato: da quando Internet si è staccata dai computer fissi delle nostre case e ci ha seguito sul divano attraverso i tablet e gli smartphone il cazzeggio in rete ha rubato spazio ai libri. Prima per navigare dovevi andare alla scrivania, ora puoi farlo in poltrona nel luogo e nei tempi prima dedicati ai libri. Non so se sia vero, ho idea che non lo sia troppo, ma di sicuro è una ipotesi tanto rispettabile quanto facilmente contestabile (per esempio sui tablet o sugli ebook reader si possono leggere i libri seduti in quella medesima poltrona di prima, io per esempio lo faccio). D’altro canto è anche vero che i libri elettronici sono utilizzati in Italia dal 3% della popolazione.
Per una casualità quasi sospetta, che è poi la ragione di questo post, oggi ho letto un pezzo di Stefano Izzo, editor di Rizzoli nel quale l’autore – all’interno di un blog sul sito del Corriere che tratta i temi della scrittura a margine del talent di Rai3 di cui dicevo poc’anzi – si scaglia con grande veemenza contro il self publishing. L’articolo è talmente assertivo da suscitare qualche sospetto di preordinata faziosità, ma se anche così non fosse (di sicuro il fatto che un editor di una casa editrice parli male del self publishing è un po’ come se il rappresentate della Pepsi biasimasse in pubblico i bevitori di Chinotto), e al di là dei temi messi sul tavolo, quel post mi ha ricordato in maniera molto forte le discussioni alle quali eravamo appassionati dieci anni fa quando i giornalisti scrivevano che i blog erano diari per adolescenti brufolosi che non avevano e mai avrebbero avuto parentele con il loro sacro lavoro. Non ho alcuna intenzione di rinfocolare polemiche, dico solo che mentre leggevo quel post pensavo che ormai la ricorsività dei temi, la loro noiosa riproposizione è tale e tanta, che tutti ormai, magari senza saperlo, ripetono sempre le medesime cose. Oggi qualcuno, commentando su Twitter il post anti self publishing di Izzo, mi ricordava (giustamente) che il 95% del tutto è sempre formato di materiale trascurabile (siccome sono elegante ho tradotto crap con materiale trascurabile). Vale per i blog, per i giornali, per i libri e per i programmi televisivi.
Così da ultimo mi è venuto in mente che qualche giorno fa Luca Conti sottolineava una risposta strepitosa di Achille Mauri, che Repubblica chiama con leggerezza “totem dell’industria editoriale italiana” il quale alla domanda del giornalista su quale fosse la ragione per cui la metà degli italiani legge zero libri all’anno rispondeva così:
Non si legge più per colpa del computer, com’è accaduto un tempo con la televisione, ormai solo un oggetto di desiderio, inchiodato come un crocefisso che non ha mai prodotto niente. Sarebbe tremendo se anche Internet seguisse la stessa sorte.
Chissà se anche i totem possono essere archiviati come meriterebbero nella sezione materiale trascurabile.