Gli squali e le sardine del copyright
Di molte cose per me fastidiose a margine della presentazione del Regolamento Agcom sul diritto d’autore in rete ce n’è una più fastidiosa delle altre. Non mi riferisco al tetto stratosferico della multa prevista agli ISP che non intendessero “collaborare” (250.000 euro) e nemmeno alle molto parole spese in questi mesi da Agcom per raccontare una nuova attenzione ai temi del bilanciamento fra diritti e doveri degli autori (perché anche gli autori hanno dei doveri, il più importante dei quali è quello di lasciar libere le proprie opere dopo un periodo ragionevole).
Non mi riferisco al nome di uno dei due relatori del provvedimento (il commissario Martusciello messo in Agcom da un partito il cui proprietario unico di tali diritti vive e prospera e quindi forse con un leggerissimo conflitto di interesse in decisioni del genere) né alludo alla boutade delle iniziative che Agcom intende concretamente prendere per favorire l’educazione al rispetto dei diritti, iniziative che, in tutto il provvedimento, dopo fiumi di parole in convegni e dichiarazioni pubbliche, ammontano ad un rotondissimo zero.
Se anche poi voi lo aveste pensato vi dirò che non mi riferisco nemmeno alle questioni di merito che gridano vendetta non da ieri, come per esempio quella di una autorità amministrativa che si intesta la battaglia pubblica contro i pirati di Internet, una battaglia che collide con grande chiarezza con i ruoli ben definiti della magistratura e della polizia e che nessuno si sarebbe mai preoccupato di intestare ad Agcom se non ci fosse stata la grande necessità di rispondere alle sempre pressanti richieste di una piccola lobby molto potente. Con la piccola differenza che fino ad un decennio fa la piccola lobby molto potente non condizionava in maniera così ampia le nostre libertà di cittadini e al massimo mandava un impiegato Siae a bussare al cineforum della parrocchia o dedicava le proprie risorse all’enforcement dei dentisti che estraevano i molari a radio accesa senza pagare pegno.
No, la delusione maggiore del Regolamento Agcom è una cosa piccola e formale che io trovo particolarmente difficile da digerire ed è la farsa mediatica sul racconto della Agcom buona che salva i pesci piccoli per punire i grandi pirati di Internet. Quante volte l’avete sentita in questi mesi questa poesiola morale secondo la quale la grande rete del giustiziere buono avrà maglie solo per gli squali feroci e lascerà libere le migliaia di sardine intorno? Maurizio Decina l’ha raccontata con ingenua maestria il giorno della presentazione del Regolamento in una intervista raccolta da Alessandro Longo di Repubblica. Una delle ragioni per cui secondo Decina quello appena approvato è un regolamento buono è che se la prenderà solo con un centinaio di siti:
La seconda differenza con la delibera precedente è che ci focalizzeremo su quel centinaio di siti di pirateria massiva che sono responsabili della stragrande maggioranza delle violazioni di copyright e dei danni economici ai content provider.
E a questo punto qualcuno potrebbe immaginare che il braccio legalitario della nuova Agcom abbia vinto e abbia imposto alle major cinematografiche e della musica un giusto ed opportuno discrimine (che in questo caso andrebbe individuato nelle pratiche di rete con o senza scopo di lucro) ma purtroppo non è così. La focalizzazione di Decina verso i cattivissimi 100 siti dura lo spazio di una riga e del resto non c’è traccia di nulla del genere in tutto il provvedimento se non in una inutile considerazione iniziale. Per dirlo con le parole di Decina stesso che almeno ha la decenza di specificarlo:
Per questi siti, infatti, la nostra procedura di repressione sarà rapida, durerà solo 10 giorni, mentre per tutte le altre segnalazioni ci metteremo 45 giorni.
Io apprezzo lo sforzo di Decina, di Cardani e di chiunque altro (compresi i soliti fiancheggiatori sui quotidiani che da giorni scrivono dolosamente questa balla della Agcom che si occupa solo dei grandi pirati, anche perché non va dimenticato che i quotidiani sono molto sensibili al tema per evidenti ragioni proprie) ma seguo queste cose da troppi anni per non conoscere il dente avvelenato e planetario degli estremisti della proprietà intellettuale. Odiano Internet, sono arrabbiati col mondo intero, vorrebbero far pagare non solo squali e sardine ma anche tutto il plancton intorno, organismo per organismo. Hanno fatto di tutto in questi anni, hanno intimidito con campagne pubblicitarie con manette in primo piano, hanno promosso siti web nei quali denunciare il proprio vicino di casa con la copia del sistema operativo pirata, hanno inserito software spia nei CD, portato in tribunale vecchiette accusate di aver condiviso 10 brani rap del nipote ed ora, – ora – in un Paese trascurbile come l’Italia, provano a raccontarci questa storia fenomenale dell’assalto ai grandi pirati e della contemporanea condiscendenza nei confronti dei ragazzini che si scambiano gli mp3 degli One Direction. Una differenza che non c’è, che riguarda solo la velocità del medesimo provvedimento per tutti, un banale doppio binario amministrativo per pratiche burocratiche che le major sbrigheranno velocemente e nelle quali Agcom farò solo da passacarte.
C’è questo fenomenale odore di bruciato nelle parole di questi signori ed oltre un certo limite non è nemmeno più troppo interessante chiedersi se lo fanno o lo sono: l’unica cosa consistente è che il fallimento di rappresentare le istanze di tutti è tanto evidente quanto usuale e triste. Poi, come al solito tutta questa inutile baracca non funzionerà, ma questo è tutto un altro discorso.