Agcom, i tre asini di Cardani
Provo a spiegare in parole semplici (quelle difficili del resto non le so usare) perché la posizione di Agcom sulla pirateria e il diritto d’autore era ed è una posizione sbagliata e pericolosa. È una cosa un po’ lunga, abbiate pazienza.
La posizione.
L’Agenzia per le Garanzie nelle Comunicazioni ha annunciato ieri in Senato l’intenzione di procedere a difesa del diritto d’autore in rete mediante procedure di enforcement da lei direttamente applicate la cui natura ci verrà comunicata successivamente. Il Presidente Cardani afferma nella sostanza che certamente il Parlamento è deputato a decidere al riguardo, ma che, nel momento in cui il Parlamento non legiferi, Agcom pensa di avere il diritto/dovere di occuparsi personalmente della questione. Questo in virtù del testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella quale si afferma che la proprietà intellettuale è un diritto fondamentale.
Non c’è bisogno di un giurista per capire che si tratta di una interpretazione dalle basi esilissime. Alle stesse conclusioni, quella che Agcom si dovesse occupare della violazione dei diritto d’autore in rete secondo orientamenti propri, era giunto il consiglio Agcom precedente: mentre in quell’occasione la giustificazione formale era stata costruita ad arte dal Ministro Romani (un comma inserito in un provvedimento che parlava di tutt’altro nel quale il Ministro dava ad Agcom facoltà di intervenire direttamente sull’annoso problema) in quest’occasione Cardani semplicemente mescola mele e pere: i diritti fondamentali dei cittadini vengono sottoposti ad una enorme pialla etica, al di sotto della quale ogni diritto pesa come qualsiasi altro. Ne consegue che dopo il trattamento di interpretazione giuridica al quale viene sottoposta la libertà di espressione dei cittadini (ma qui in realtà si dovrebbe parlare d’altro) viene parificata ai diritti di tutela della proprietà intellettuale. Tutto ciò in allegro contrasto con ogni evidenze.
In entrambi i tentativi delle gestioni Calabrò e Cardani è facile intuire il medesimo disegno, quello della tutela degli interessi dell’industria dei contenuti compressa dalle dinamiche di rete. Quello che Agcom non dice è che tutta questa agitazione interventistica ha modeste relazioni con i cittadini e deriva invece da forti pressioni lobbistiche.
Agcom quindi, in quanto Autorità di Garanzia non perde occasioni per non garantire i cittadini. Questo è per quanto mi riguarda il primo punto. Ma proseguiamo.
Il passo successivo è quello di entrare nel merito. Ed il merito è: hanno ragione i lobbisti dell’industria dei contenuti a stressare da anni le Autorità sul tema della tutela dei diritti online? La risposta dal mio punto di vista è: sì, hanno ragione, almeno in parte ce l’hanno.
Al netto di una serie di variabili che sono state usate con cinica ripetizione dagli uffici stampa, il problema della pirateria in rete esiste e deve essere affrontato. Al riguardo quello che gli estremisti della proprietà intellettuale desidererebbero è chiaro: un regime regolamentare del copyright identico a quello del passato e maggiori e più rapide possibilità di intervento diretto nei confronti dei trasgressori on line. E qui, purtroppo non casca un asino, ma una serie molto lunga di asini. Ne cito tre.
Primo asino.
Internet è uno spazio condiviso. Ignorarne l’architettura chiedendo regole di intervento (enforcement direbbe Cardani) basate su norme che sono state scritte quando la condivisione era mediata dai supporti fisici non è possibile.
Le ragioni per cui gli estremisti dell proprietà intellettuale ignorano l’asino n.1 riguardano il fatto che una nuova idea di copyright adeguata alla rete Internet prevede di accordarsi su un discrimine iniziale molto netto fra condivisione e pirateria. E questo loro ovviamente non lo desiderano: vogliono continuare ad estendere i diritti di sfruttamente economico per il tempo più lungo possibile (si veda al riguardo la storiella morale della canzona Happy Birthday) e verso il numero maggiore di soggetti possibili. Come ogni commerciante che si rispetti vogliono aggiungere e non togliere.
Quando si metterà mano alla legge occorrerà invece tracciare una linea che separa il diritto dei cittadini di condividere contenuti e la descrizione di tale pratica in quanto reato perseguibile. Perché da un lato è vero che il digitale rende semplicissino condividere rapidamente contenuti sottoposti a copyright ma è altrettanto vero che nel momento in cui il contenuto passa in formato binario i quasi 100 anni di protezione attuale dalla morte dell’artista dovranno, per forza di cose, essere rinegoziati verso il basso (molto verso il basso).
Secondo asino.
Cito a memoria un vecchio calcolo di Lawrence Lessig fatto quando, per estendere i diritti su Topolino che erano in scadenza, gli USA hanno ampliato di altri 20 anni il copyright (è accaduto verso il 2000, l’undicesima estensione approvata in quel Paese nei secondi 50 anni del novecento). Si tratta di un calcolo rapido che rende molto bene un’idea altrimenti difficile da capire. Il calcolo è questo: nel 1930 sono stati editi in America circa 10 mila libri, quanti di questi erano ancora in circolazione nel 2000? Il numero esatto è 174. I restanti 9826 libri non generavano quindi alcun introito per i loro autori o per i loro eredi. Se nel 2005, come previsto dalla precedente norma, quei 9826 fossero passati nel pubblico dominio avrebbero potuto essere stampati da chiunque, ma anche messi online, trascritti e utilizzati senza alcuna limitazione. Moltiplicate quel numero per i 20 anni della nuova copertura, moltiplicateli per il numero di altri contenuti (musica, testi teatrali, film ecc) e otterrete il peso esatto di quanta cultura condivisa è stata allontanata dai cittadini per tutelare gli interessi di Walt Disney Corporation.
Il secondo asino è quindi questo: Agcom dovrebbe tenere a mente il problema culturale legato al copyright, un problema ampiamente sottaciuto in tutti i suoi report che riguarda però molto i cittadini (che sono – è spiacevole dirlo – coloro che a grandi linee li hanno eletti e che pagano gli stipendi) e che precede quello delle preoccupazioni pur legittime per l’industria dei contenuti. Si tratta di una faccenda di priorità che è contenuta anche nella legge sul copyright fin dalla sua nascita nel 700: prima la condivisione del sapere, poi la tutela degli autori. Un diritto di precedenza che Agcom ignora silenziosamente da troppi anni.
Per usare le parole di Cardani è probabilmente vero che la pirateria crea “notevoli danni all’industria culturale” mentre non è dato sapere quanti e quali danni l’industria culturale crei alla cultura del nostro Paese. Anche di questo forse sarebbe il caso di iniziare ad occuparsene.
Terzo asino.
Il terzo asino è quello dei soggetti deputati. In Italia tradizionalmente non esiste alcuna forma di associazionismo dei cittadini numericamente rilevante che sia cresciuta attorno ai temi della rete Internet. Se escludiamo l’opera meritoria di intervento da parte di alcune (poche per la verità) generiche associazioni dei consumatori i cittadini, molto evidentemente anche per colpa loro, nelle discussioni sui temi che li riguardano direttamente non sono rappresentati. Quando Agcom indice consultazioni con tutti i soggetti interessati, semplicemente gli interessi pubblici non sono nominalmente tutelati. Nel teatrino dei soggetti deputati questa assenza pesa come un macigno e viene utilizzata in maniera intenzionale come dimostrazione di un assemblearismo che è solo di facciata. Le consultazioni di Agcom, i workshop ed i convegni sul diritto d’autore mancano sempre dei soggetti verso i quali simili decisioni saranno rivolte. Tutti però fanno finta di niente.
Conclusioni.
La decisione di Agcom di autonominarsi controllore del copyright in rete è sbagliata, pretestuosa e pericolosa. Segue tra l’altro il fallimento di Hadopi in Francia, tentativo analogo di salto della filiera legale, basato sulla enormità giuridica della disconnessione forzosa da Internet degli utenti rei di aver condiviso per tre volte contenuti sotto copyright, che il governo Sarkozy ha a suo tempo provato ad imporre. Ora, anche dopo i rimbrotti dell’UE verso i francesi e la recente dismissione di Hadopi da parte del governo Hollande, Agcom ha di molto moderato i toni, ma fino a pochi mesi fa l’idea di tagliare l’accesso ai cittadini rei di aver piratato contenuti in rete era considerata anche da noi adeguata e fattibile.
Le norme sul diritto d’autore devono essere scritte e approvate dal Parlamento. Il fatto che il Parlamento non le rilasci (o non le emendi secondo i desiderata di questo o quello) non autorizza Autorità amministrative a sostituirsi alla Polizia Giudiziaria. L’industria dei contenuti spinga la propria attività di lobbing verso i deputati e non tenti di saltare il fosso col favore delle tenebre. Se il Parlamento produce leggi che io trovo detestabili alle prossime elezioni potrò rivalermi su chi le ha approvate non votandolo, ma se i provvedimenti detestabili escono da una Autorità fatta da un pugno di commissari di nomina incerta contro chi potrò democraticamente rivalermi?
Il silenzio dei partiti politici su simili importanti vicende è strettamente legato a questo ultimo aspetto e non è più accettabile. Visto che Agcom, con l’esclusione del suo Presidente, è espressione dei complicati e spesso assai miseri equilibri fra i partiti, dicano direttamente i partiti cosa pensano al riguardo. Diversamente saremo autorizzati a pensare quello che già da tempo per alcuni è del tutto evidente: che le Autorità di Garanzia sono talvolta il braccio armato di decisioni impopolari che la politica vuole prendere senza essere troppo vista.