Su le mani in Parlamento
Il punto di vista di Agcom sulla annosa questione della tutela del copyright in rete, espresso con chiarezza oggi in un meritorio evento durante il quale, per una volta, si è discusso del tema pubblicamente (fino a poco tempo fa simili argomenti non uscivano dalle sacre stanze dei lobbisti e delle commissioni parlamentari) è un punto di vista pacatamente inaccettabile. Eccolo sintetizzato nelle parole del Presidente Cardani:
L’ottica dell’Agcom è di favorire lo sviluppo di un mercato dei contenuti digitali aperto, legale e nel quale tutti possano operare a parità di condizioni, siano essi titolari di diritti di proprietà intellettuale, prestatori di servizi della società dell’informazione o consumatori-utenti finali. A questo scopo l’Autorità sta riflettendo approfonditamente sulle questioni aperte e sulle potenziali criticità di un eventuale intervento. Secondo alcuni sussisterebbe un contrasto tra libertà di espressione e proprietà intellettuale, ma a parere dell’Autorità essi costituiscono entrambi diritti fondamentali la cui tutela deve essere assicurata nel rispetto dei principi di legalità, ragionevolezza e proporzionalità.
Dire che la libertà di espressione e la proprietà intellettuale sono entrambi diritti fondamentali, equiparandoli nella sostanza, è una forzatura che grida vendetta. Lascio al bellissimo articolo scritto da Bruno Saetta su Valigia Blu l’analisi tecnica su quanto siano inopportune ed esili da un punto di vista giuridico le motivazioni addotte da Agcom per avocarsi il diritto di controllare il traffico Internet immaginando meccanismi che vedano l’Autorità come soggetto mediatore fra pirati e possessori dei diritti, per ripetere quello che ripetiamo da anni e che è del tutto evidente.
Intanto NO: la libertà di espressione dei cittadini è un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Le norme che regolano la proprietà intellettuale no. Non giochiamo con le parole. Se vogliamo ugualmente dedicarci all’analisi delle priorità anche qui non ci sono discussioni possibili: PRIMA vengono i diritti dei cittadini (in questo caso non tanto quella alla libera espressione quanto quello alla conoscenza) e POI tutto il resto. In particolare il diritto d’autore nasce e rimane un diritto temporaneo (la cui temporaneità è stata ripetutamente violentata negli ultimi 60 anni). Un diritto vecchio di qualche secolo per remunerare TEMPORANEAMENTE gli autori delle opere dell’ingegno. Terminato questo breve periodo (all’inizio erano 14 anni) le opere dell’ingegno tornano nell’alveo naturale previsto dalle società evolute: diventano di pubblico dominio. Perché solo attraverso la condivisione della conoscenza le nostre società progrediscono.
Non è difficile: il pubblico dominio è la regola, il copyright l’eccezione.
Esistono fondate possibilità che le attuali norme sul copyright non si adattino perfettamente al mondo che cambia (in realtà vi si adattano pochissimo). Di questo certamente si potrà discutere. Nella discussione verranno compresi i peana giustificati dei possessori dei diritti che hanno visto il proprio controllo sui formati digitali (riferito al periodo di copertura previsto dalla legge) ridursi in maniera molto evidente, così come le lamentele dei tanti soggetti che pensano che, in epoca di riproducibilità digitale, le decine di anni di copertura previste dalla legge (arriviamo ormai in alcuni casi a quasi 100 anni dalla morte dell’autore) siano insensate e vadano ridotte in maniera considerevole. Ci sta tutto ovviamente, anche che i soldi delle multinazionali dell’intrattenimento condizionino la fruizione dei contenuti di milioni di cittadini attraverso leggi promulgate grazie ad attività di lobbing e soldi pagati ai deputati (come avviene da sempre in USA).
Resta evidente che qualsiasi decisione a livello nazionale al riguardo, e ora mi riferisco all’Italia, debba passare dal Parlamento: l’inversione delle priorità dovrà eventualmente avere un padre putativo ed una serie di mani alzate da parte di rappresentanti dei cittadini che se ne assumono la piena responsabilità. Il trucchetto di nascondere commi in provvedimenti recenti che parlano d’altro o interpretare leggi del 1943 pensate quando Internet non c’era, già tentato da Agcom con il precedente governo Berlusconi, è bassa manovalanza al servizio di soggetti forti che garantiscono i diritti di pochi rispetto agli interessi collettivi. Che Cardani abbia imboccato il medesimo percorso di Calabrò è davvero deprimente.
Certi diritti fondamentali del resto, come quello di potersi informare liberamente attraverso una connessione Internet, diventano meno fondamentali nel momento in cui attraverso quella connessione si violano i diritti, magari meno fondamentali ma comunque esistenti, cari agli integralisti della proprietà intellettuale. In quel caso un provvedimento di notice and take down (nei sogni di certuni e nei progetti fallimentari di Sarkozy in Francia che alcuni Stati come il nostro continuano a prendere ad esempio) chiarirebbe definitivamente l’ordine delle priorità e smaschererebbe la bufala dei due diritti fondamentali citati dal Presidente Agcom.
Tutto si può fare, anche che una Autorità di Garanzia senza soldi e senza personale, si presti a diventare braccio esecutore dei desiderata di questa o quella lobby (in quel caso c’è da scommetterci soldi e personali miracolosamente compariranno), ma, per favore, che almeno questa decisione passi da Parlamento. Vogliamo vederle le mani alzate dei nostri rappresentanti. Nelle democrazie, sfortunatamente, funziona ancora così.