Più che un motore un vocabolario
Dopo una prima occhiata mi ero ripromesso di non parlare male di istella, il nuovo motore di ricerca di Tiscali presentato ieri da Renato Soru. Così come accadde un anno fa con Volunia abbiamo bisogno di rispettare il lavoro e le idee altrui, le poche coraggiosamente messe in campo, di lasciare che il tempo decida se quelle intuizioni erano giusto o sbagliate, indipendentemente dal nostro primo punto di vista che talvolta è critico a prescindere, per ragioni di semplice rincoglionimento senile.
Ugualmente occorre rendersi conto di una cosa: l’asticella dell’innovazione nei motori di ricerca è altissima, anche solo l’idea di voler provare ad affrontarla è una mezza dichiarazione di superbia. Ai tempi di Arianna era possibile, oggi è molto più difficile.
Premesso questo, con tutto il rispetto di cui sono capace, alcune considerazioni su istella sono comunque necessarie e riguardano in buona parte l’alone di nazionalità ritrovata che il progetto porta con sé. Un approccio che afflisse qualche anno fa anche Quaero, motore di ricerca europeo nato da una balzana idea di Chirac e tanto rapidamente partorito quando velocemente abbandonato. Perché non c’è nulla di più antimoderno che presentarsi su Internet come salvatori dell’identità nazionale (o europea o delle isole Figi) e questo per la semplice ragione che non esiste alcun progetto, nemmeno fra i monopolisti della ricerca come Google, per comprimere simili identità a favore di altre. È proprio una idea sbagliata, leggermente rabbiosa, basata in gran parte su nostri limiti piuttosto che sulle aspirazioni di potere altrui.
Per esempio una parte rilevante del progetto di istella prevede accordi per la messa online di archivi italiani di una qualche rilevanza (Beni culturali, Treccani, ecc). È una ottima idea (anche se non ho capito chi paghi la digitalizzazione) ma per quale ragione Beni Culturali e Treccani non lo fanno da soli? Perché non lo hanno fatto fino ad oggi? Perché in Italia non esiste un progetto analogo a quello di Gallica in Francia? L’esterofilia di Google e degli altri motori di ricerca dipende in buona parte dalla pochezza dei contenuti disponibili online e come tali indicizzabili. È un algoritmo, una roba matematica per quelli che la capiscono: quello che c’è dentro esce fuori, senza grandi accordi commerciali firmati con la ceralacca. Siamo bravissimi a chiacchierare ma l’italianità in rete non la supporta quasi nessuno, nemmeno quelli che dovrebbero farlo per propria missione. E quindi ben venga istella ma il problema rimane.
Non è chiaro se simili archivi del nostro patrimonio culturale saranno poi disponibili solo attraverso istella (ho idea di sì ma non ne sono certo): se così fosse istella più che un motore di ricerca si candida ad essere una piattaforma editoriale come molte altre. Esattamente come fece Volunia un anno fa il progetto prevede poi l’attiva partecipazione degli utenti (che possono caricare propri contenuti in un folder personale e condividerlo con il mondo) e anche questa caratteristica è irrealistica e autoconsolante, oltre che una delle pochissime cose che si potevano fare senza troppe difficoltà tecniche. Anche nell’ipotesi in cui i contenuti sociali avessero un valore per il motore (in genere non ne hanno, sono quasi sempre semplici riproposizioni di altri contenuti online, per esempio durante la presentazione Soru ha mostrato il profilo di un utente che aveva caricato su istella la Divina Commedia prelevata pari pari da Liber Liber) la stragrande maggioranza dei dati social italiani sono oggi su Facebook, fuori dalle mire degli spider di chiunque e fuori da qualsiasi aspirazione di rivincita del search tricolore.
Inutile dare un giudizio anche sommario sulle qualità del motore di ricerca per quanto riguarda la parte web (è una beta i risultati per ora sono imbarazzanti anche per le ragioni di asticella di cui si diceva prima) anche se durante la presentazione è stata sottolineata l’aspirazione di dare un valore semantico ai risultati (che è uno dei grossi limiti irrisolti di Google e di tutti gli altri).
E infine anche il modello di business di istella è un concentrato di italianità: si dissocia polemicamente da Google, rivendicando prima di tutto la non tracciabilità degli utenti, ma si riferisce al medesimo approccio pubblicitario, mescolato a vaghe aspirazione di data collection tipiche dei social network (come segnalava Luca Alagna i contenuti caricati su istella dagli utenti diventano di istella) e ad un utilizzo molto esteso della parola open data (che va molto di moda ma davvero in questo contesto si capisce poco cosa c’entri). Sarà insomma un motore italiano, amico degli utenti, degli editori, dei ricercatori universitari e soprattutto della Treccani i cui risultati sono in cima qualsiasi parola voi cerchiate. Più che un motore di ricerca, per ora, un vocabolario.