Il PD che non capisce
Breve antefatto poco importante. Qualche sera fa ho postato sul mio blog un video (francamente un po’ patetico) di Pier Luigi Bersani che ascolta Vasco Rossi in auto. Nel titolo chiedevo ironicamente chi mai avrebbe potuto votare per un candidato del genere. Nel giro di pochi minuti i commenti del post sono stati invasi da decine di interventi tutti molto simili, brevi e per nulla argomentati, nei quali si diceva in sostanza “Sì, voterò per Bersani, lui è il migliore”. Alcuni di questi commenti giungevano dritti dalle stanze della sede nazionale del Partito Democratico, ma la sostanza è che un semplice post, su un blog mediamente letto, aveva scatenato un passaparola di attivisti digitali che tutti assieme sono piombati a sostenere le ragioni del capo in un luogo esatto della rete. Ho scoperto poi che esiste una vera e propria organizzazione di attivisti digitali del PD che agisce in maniera coordinata e che è responsabile di simili passi comunicativi (e forse anche di altri, perfino peggiori).
La prima domanda è semplice: ma è possibile che al PD non capiscano? La risposta sembrerebbe essere ben sostanziata da questo articolo elogiativo uscito su Europa (quotidiano on line del PD) qualche giorno fa.
Che fanno i suoi spartani (che hanno pure un loro blog, www.trecentospartani.com, che originariamente aveva più una funzione virale, da guerrilla marketing, e ora invece è diventato la voce della war room democratica)? Presidiano, vigilano, monitorano, intervengono, corrono in soccorso, se del caso spammano, invadono le timeline su Twitter, commentano, inventano hashtag, rilanciano i temi della campagna del segretario dem, animano il dibattito online, coordinandosi tra loro.
La versione italiana dell’analisi obamiana dei dati di rete, si trasforma così in piccola coalizione di spammer entusiasti, pronti a coordinarsi su Internet per distribuire il verbo. Ma se un fenomeno di attiva militanza digitale simile lo abbiamo osservato in questi anni a margine della crescita del Movimento Cinque Stelle, un fenomeno ampiamente spontaneo di testimonianza e sostegno spesso molto grossolano, talvolta, in ossequio all’approccio militante e teatrale del capo, fino all’insulto dell’avversario, nel caso del PD avviene di peggio. La militanza digitale diventa coordinata dal centro (esiste perfino una war room nella sede del PD e già la definizione mette i brividi), una legione di qualche centinaia di attivisti (che con sprezzo del cattivo gusto si sono autonominati “spartani”, mutuando il nome da un brutto film fascistoide) è pronta a rispondere colpo su colpo su Twitter, su Facebook e sui blog agli ipotetici attacchi alla sacra causa.
Non ci vuole uno dei tanti guru americani della comunicazione politica per capire che su Internet non funziona così, che tutto questo è un portato tossico di una idea di diffusione virale del consenso buona forse (in realtà non funziona nemmeno per loro) per i venditori di fustini di detersivo, ma perfino più patetica e finta se applicata ai temi sensibili del pensiero pubblico. Che l’effetto reputazionale che si ottiene presidiano quantitativamente le conversazioni di rete è mediamente opposto a quello ipotizzato, che Internet è e dovrebbe essere terreno di confronto ed argomenti e non di slogan e provocazioni.
Se poi per una qualche ragione io mi sbagliassi e questo approccio fosse invece efficace e strategicamente utile alla causa, allora occorrerà dire che si tratta di una idea di destra, buona per i monopolisti dell’informazione o per i demagoghi senza argomenti, insomma, nulla di utile ad un partito che abbia aspirazioni democratiche e di dialogo con il territorio.
Nello stesso tempo tutto questo viaggiare a fari spenti nelle nebbie internettiane è perfettamente aderente al PD attuale, un partito con una vocazione digitale modestissima, incapace di comprendere il valore delle esperienze di rete di alcuni suoi componenti (per esempio Pippo Civati o Andrea Sarubbi, che hanno usato la rete per comunicare la politica in questi anni con intelligenza e passione) e che spessissimo, nelle parole stesse del suo molto analogico segretario, ha fatto capire la marginalità che intende riservare a simili temi.
Non è cambiato molto nell’approccio verso Internet dall’idea broadcast tanto cara ai vertici del partito democratico, quella stessa idea che fa annunciare su Twitter a Pier Luigi Bersani (e non solo a lui) il calendario delle sue prossime comparsate televisive, la stessa idea che qualche anno fa scatenò la guerra fra bande fra D’Alema e Veltroni entrambi impegnati a usare fondi più o meno pubblici per farsi la propria televisioncina web.
Gente che non ha capito, che continua a non capire e che probabilmente governerà questo paese nei prossimi cinque anni.