Google mi rende stupido
Oggi, mentre i miei amici milanesi continuavano a twittare le vicende dell’occupazione e dello sgombero di Macao, mi sono accorto che non mi ricordavo dove fosse esattamente Macao. La regione, intendo, quella vera. E poiché Google ci rende stupidi ma in fondo stupidi noi un po’ lo siamo già, ho chiesto al motore mondiale di ricordarmi dove fosse, esattamente, l’esotica località asiatica. Bene: nella prima pagina di risultati di Google per la keyword “macao”, se escludiamo i due link “promozionali” di Google (quello delle notizie e quella delle mappe) e quello alla voce Wikipedia (secondo risultato) troviamo il link al sito del centro culturale milanese Macao (primo risultato), quello al tumblr di Macao (quarto risultato), mentre gli altri sette risultati sono collegamenti ad articoli di stampa (in genere di grandi giornali) che trattano la notizia delle recenti vicende della Torre Galfa.
Nella seconda pagina dei risultati di Google non andiamo meglio. In alto c’è il link alla pagina facebook del Macao milanese, un’altra informata di link ad articoli di news sulla vicenda dello sgombero, la voce wikipedia in inglese della città e, solo verso il fondo, alcuni link tematici riferibili alla regione del mar della Cina. La voce Lonely Planet, una pagina del Ministero degli Esteri su come viaggiare sicuri a Macao, il link ad un sito di scommesse piuttosto dubbio che si chiama Casinò a Macao.
Detto in parole povere: la voce “macao” su Google (come ormai moltissime altre) fa abbastanza pietà e lo fa per due ragioni che vale la pena sottolineare. La prima è che Google è ormai completamente intossicato dal tempo reale. La sua fenomenale rapidissima capacità di aggiornare gli indici con notizie fresche (che vengono come tali ritenute molto interessanti) lo ha rapidamente instupidito. Qualsiasi ricerca è sottomessa al giogo della correlazione eventuale con notizie di cronaca più o meno recenti. Un venusiano di passaggio sulla Terra che decidesse di cercare su Google “Mike Bongiorno” scoprirebbe, prima di qualsiasi altra informazione, che si tratta di un tizio dal nome curioso di cui è stata rubata la bara. Sono passati molti mesi dagli ultimi sviluppi di quell’episodio di cronaca nera ma tuttora la voce Mike Bongiorno su Google ha in prima pagina i link a 5 articoli di stampa sul ritrovamento della bara. Ma la bara di chi, santo dio? In pratica se non ci fossero le voci Wikipedia fare ricerche su Google sarebbe oggi una sorta di navigazione alla cieca in mezzo a notizie frammentate dal senso molto difficile da ricostruire.
La seconda questione è collegata alla prima e costringe a una breve meditazione sugli scopi di un motore di ricerca. A cosa dovrebbe servire Google? Dipende. Ai suoi creatori serve (fondamentalmente) per vendere pubblicità, agli editori ed alle aziende per farsi trovare in rete, a mia zia per andare su Facebook scrivendo “facebook” nella form di ricerca. Ma agli altri utenti? A cosa dovrebbe servire Google per gli utenti che scrivono “macao” o “mike bongiorno” nella sua pagina in una sera di maggio? Io ovviamente parlo per me e parlando solo per me vorrei che Google (o il suo prossimo concorrente che lo sbaraglierà in un battibaleno) avesse qualche aspirazione enciclopedica in più. Non sto ritirando fuori il pippone sul web semantico, non pretendo automagie che capiscano esattamente cosa sto pensando in quel momento. Mi accontenterei di una piallata al pagerank (o come diavolo si chiama ora) che recuperi un buon senso minimo delle ricerche. Una ipotesi di gerarchia che se ne freghi del tempo reale (il tempo reale dopo un attimo è già passato e mediamente non ha nemmeno bisogno di essere troppo ricordato) e si occupi invece, con convinzione, del tempo consolidato. Che è in fondo quello che ci serve davvero e che ci rende meno stupidi. Se Google non riesce più a suggerirmi intelligenza a me Google interessa meno. Vorrei “La fenomenologia di Mike Bongiorno” nella prima pagina dei risultati su Google non notizie a bizzeffe sulla sua bara; vorrei una lista di cose che non so sull’ex colonia portoghese nel Mar della Cina, non tonnellate di notizie di cronaca su un evento milanese che domani nemmeno Pisapia nei suoi incubi ricorderà più.