Il wi-fi nelle scuole
Credere ai proclami del Ministro Brunetta non è semplicissimo. L’uomo ama l’iperbole e le frasi ad effetto, adora il contraddittorio urlato più che il ragionamento, gli slogan reiterati e tutto l’usuale armamentario dialettico al quale ci ha abituato dai tempi della guerra ai fannulloni della Pubblica Amministrazione. E tuttavia a riguardo della sua ultima uscita sulle scuole italiane da coprire in wi-fi nel giro di pochi mesi alcuni crediti occorre darglieli.
Il primo riconoscimento per il Ministro riguarda il fatto di aver iniziato a parlare a voce alta di scuola e Internet. Poco mi interessa se ciò avvenisse anche solo per suo interesse personale. Le residue speranze di questo paese tecnologicamente moribondo abitano da quelle parti (dalle parti della scuola, non del Ministro) e sono perfettamente compatibili con i tanti benaltrismi che ripetiamo da tempo: possiamo preoccuparci del wi-fi nelle scuole se manca la carta igienica nei bagni e noi genitori siamo costretti ad acquistarla al posto del Ministro Gelmini? La risposta – per conto mio – è sì, possiamo. Una cosa non esclude l’altra.
Il bonapartismo di Brunetta genera grandi titoli sui giornali che impediscono poi di ragionare su un fatto semplice: il wi-fi nelle scuole è solo un piccolo mattone di una costruzione più complessa, non meriterebbe tanta attenzione. Sarà certamente utile ma pesa infinitamente meno di una connessione scolastica adeguata alla rete, crea meno problemi di una classe docente tecnologicamente non formata e di una offerta didattica che, dai tempi delle “3 I” berlusconiane, ha tutelato adeguatamente le ore di religione e poco d’altro. Altro che inglese a scuola, altro che Internet in classe, in un contesto del genere le aspirazioni del progetto rischiano di arenarsi prima ancora di partire.
L’operazione in ogni caso è assai poco costosa (5 milioni di euro per le prime 5.000 scuole poi si vedrà) ed il “kit wi-fi” del progetto vale in attrezzature hardware al massimo qualche centinaio di euro (uno o più access point D-Link, uno Switch taiwanese, qualche cavo) ai quali vanno aggiunte le spese di installazione e collaudo. Inutile dire che il rischio tecnologico principale di una iniziativa del genere è quello di generare enormi colli di bottiglia al traffico dati, creando Lan wireless scolastiche che magari si appoggiano su una misera connessione ADSL a 2 mega. Un po’ come collegare tutti i residenti di un grosso condominio alla connessione in banda larga di un tizio. Tranne poi lamentarsi tutti dell’eccessiva lentezza.
Non ho trovato dati recenti sulla qualità e la percentuale di istituti scolastici cablati in banda larga: mi sarebbe piaciuto vederli. Così come avrei preferito che il Ministro stilasse una scala di priorità. Connettere adeguatamente prima le scuole superiori, poi le scuole medie e infine le elementari, potrebbe essere, per esempio, un buon programma. Oppure qualsiasi altro, a patto di averne uno.
Confesso che mi piacerebbe vedere per una volta una alleanza fra operatori delle comunicazioni, aziende tecnologiche e scuola (qualcosa esiste già, specie da parte di Telecom Italia e di Fastweb ma anche di IBM, Microsoft e Dell, ma si tratta di progetti che non sono fra loro organici) fuori dalle solite logiche degli appalti pubblici o del marketing peloso dei comunicati stampa. E mi piacerebbe vedere una politica minimamente solidale, anche dall’opposizione, quando la posta in gioco è così alta.
Poi io sono un vecchio romantico, i bambini nascono sotto i cavoli e pazienza così.