Difendere Wikileaks in modi meno scemi
In questo momento i siti web di Mastercard sono down. Abbattutti dagli attacchi degli hacker buoni che difendono Wikileaks e protestano contro l’arresto di Julian Assange. Qualche giorno fa gli hacker cattivi avevano invece steso Wikileaks.org con un ampio attacco ddos, ancor prima che alcune importanti aziende Internet americane (Amazon, Paypal, EverDNS ecc) decidessero, tutte assieme, di rileggere con puntiglio le proprie “Condizioni di servizio”, trovando appigli legali che consentissero di allontanare Wikileaks dai loro affari e dai loro pensieri.
Ovviamente la distinzione appena tentata di hacker buoni contro hacker cattivi potrebbe essere senza troppi problemi ribaltata ed adattata al punto di vista di chiunque; nonostante questo, fuori dai commenti interessati di mezza stampa mondiale (la stragrande maggioranza dei giornalisti non ha simpatia per il sito di indiscrezioni creato da Assange), oltre le aspirazioni della diplomazia americana, ridicolizzata dai cablogrammi pubblicati nell’ultima settimana ed anche sorvolando sulle fantasiose dichiarazioni del nostro ministro degli esteri Frattini, intervenuto numerose volte e quasi sempre a sproposito sulla vicenda Wikileaks, un paio di punti fermi sulla vicenda di questi ripetuti attacchi informatici è possibile ricavarli.
Abbattere un sito web con un attacco dos non è un atto eroico. Non si tratta nemmeno di una dimostrazione di potenza informatica (esistono software oggi in circolazione in grado di organizzare attacchi dos anche per chi non possiede grandi competenze informatiche), attaccare un sito web fino a spegnerlo è comunque, invaribilmente ed in ogni caso, una scemenza da ragazzini.
L’etica assomiglia alla carta moschicida, ci si attacca sopra un po’ di tutto e quindi molti novelli Kevin Mitnick oggi avranno gonfiato il petto dopo aver constatato che mastercard.com era finalmente stato abbattuto. Quando il cattivo muore, c’è tutta una cinematografia al riguardo, ci sentiamo tutti leggermente sollevati, del resto non c’è dubbio che la decisione di Visa e Mastercard di impedire l’utilizzo dei propri circuiti per le donazioni verso Wikileaks è una decisione grave e controversa, ben sottolineata da una frase di Jeff Jarvis che molti hanno ridistribuito in queste ore:
“I can use Visa and Mastercard to pay for porn and support anti-abortion fanatics, Prop 8 homophobic bigots, and the Ku Klux Klan. But I can’t use them or PayPal to support Wikileaks, transparency, the First Amendment, and true government reform.”
Non è sufficiente la polverizzazione del Primo Emendamento per trasformare una cretinata in un atto eroico, così vale la pena sottolineare che gli attacchi informatici sono piccoli comodi passatempi da cameretta, mentre la censura verso Visa, Mastercard, Amazon o Paypal, dovrebbe eventualmente, per i tanti che in questi giorni si sono sentiti offesi dalle prese di posizione di queste aziende contro Wikileaks, dar segno di sè attraverso altri metodi.
Che il dosactivism è roba buona per i titoli dei giornali di domani e per rinforzare una idea diffusa secondo la quale Internet sia un luogo di pratiche esoteriche e misteriose difficili da capire. Ho spostato il mio carrello di acquisti natalizi da Amazon a IBS, quando dovrò scegliere la carta di credito mi ricorderò di Mastercard ma i cinque minuti di effimera gloria degli hacker pro-Assange, quelli sono facili da capire, esattamente come quelli di chi ha abbattuto Wikileaks.org perché infastidito dalla pubblicazione in rete dei cablogrammi delle ambasciate. Si tratta di due opposte ed identiche imbeciliità di cui sarebbe bello poter fare a meno.