Passi avanti e indietro per gli ebook
Nelle prossime settimane Amazon rilascerà una nuova versione del firmware di Kindle. Fra le nuove funzioni ce ne sarà una particolarmente interessante: sarà possibile prestare ad un altro utente di Kindle (o ad un amico che utilizzi il software di Kindle su iPad, iPhone o su Android) un libro elettronico che si è acquistato. Il periodo massimo del prestito sarà di 15 giorni e in quelle due settimane l’ebook, in qualche maniera, scomparirà dalle nostre disponibilità di lettura esattamente come un libro di carta abbandona la nostra libreria quando lo prestiamo alla nostra zia bibliofila.
Di primo acchito sembra la geniale mediazione di Amazon nei confronti delle attese dei suoi utenti che acquistano libri elettronici notoriamente governati da un sistema di protezione dei diritti molto stringente. Si tratta come è noto di file proprietari che, fino a poco tempo fa, erano leggibili esclusivamente dall’hardware venduto direttamente da Amazon sul web. Dopo i primi timidi passi verso una condivisione sociale minima (da qualche tempo gli utenti di Kindle possono condividere in rete le sottolineature ai testi acquistati) ad Amazon si devono essere resi conto che il rigore assoluto diventa controproducente nel momento in cui la moltiplicazione delle piattaforme e dei formati ha trasformato un mercato fino a ieri monopolizzato da Kindle in qualcosa di molto più vario e complesso.
Il formato azw di Amazon deve confrontarsi con un numero crescente di testi raggiungibili in rete in formato libero epub, con la moltiplicazione degli e-reader, con lucchetti per la protezione dei diritti simili a quello di Amazon ma assai più facili da aggirare (come quello di Adobe sempre per epub), ma anche con forme di tutela più leggere come i cosiddetti social-DRM, piccoli ex-libris elettronici aggiunti ai testi acquistati nei quali sono citate le generalità dell’acquirente a sconsigliare eccessi di condivisione.
In questo contesto la scelta di consentire un prestito vigilato dei libri acquistati è una scelta sensata: la stessa scelta lo diventa molto meno se la si immagina nel suo scenario di riferimento. Stiamo parlando in fondo di pacchetti di bit scambiati via internet, tecnicamente duplicabili senza costi un numero infinito di volte, ai quali viene artificiosamente applicata una categoria che non gli dovrebbe appartenere.
Questa categoria è la stessa che negli anni ha consentito all’industria del software di conteggiare alla voce “mancato guadagno” ogni copia di un programma condiviso degli utenti su Internet, come se si trattasse di un bene fisico sottoposto come tutti gli altri al ricatto della sua connotazione materiale.
Così non è, e quella di Amazon, da questo punto di vista, è l’ennesima manovra complicata e curiosa per ricondurre l’ambiente digitale alle abitudini ed alle servitù del cosiddetto mondo reale. Nulla che possa essere sostenuto a lungo, in un ambiente in evoluzione nel quale il contesto digitale è ormai quello di riferimento. Niente che possa mantenere uno spicchio di senso domani, quando ad Amazon dovranno fare i conti con l’evidenza. Parafrasando un titolo di Walter Benjamin, chissà se Jeff Bezos si è mai domandato cosa succede all’opera d’arte nell’epoca della sua duplicabilità digitale.
p.s. comunque sia, generosità per generosità, Amazon poteva risparmiarsi la scomparsa temporanea dal mio Kindle del libro prestato alla zia bibliofila. Ne avrebbe guadagnato qualche centesimo in quella valuta svalutatissima che prende il nome di simpatia.