Una donna al volante
Jutta Kleinschmidt nasce a Colonia, poi si trasferisce con la mamma e le tre sorelle in Baviera. La mamma è single, la famiglia è di estrazione sociale medio bassa e lei, Jutta, passa gran parte della la sua infanzia a tenere il passo con i ragazzi maschi del quartiere. Ha da subito un grande interesse per la velocità. Fa gare di sci, bob, slittino e qualsiasi altra cosa vada veloce. A 18 anni non ha i soldi per un’auto e si compra una moto sgangherata. Corre anche con quella. Poi comincia a correre in auto, nei rally, dapprima come copilota di un uomo con il quale è anche fidanzata. Poi da sola, pur rimanendo fidanzata col pilota, poi senza fidanzato, perché nella Parigi-Dakar del 1998, lei è più avanti di lui e lui la prega e straprega di aspettarlo perché non può sopportare che lei, una donna, la sua donna, sia più veloce. Tre anni dopo, sempre Parigi-Dakar, Jutta vince e l’ex arriva secondo. Lui è un francese, si chiama Jean Louis Schlesser ed è uno importante nelle corse. Lei è la prima donna a vincere la Parigi-Dakar, che allora andava da Parigi a Dakar e adesso non si sa bene dove vada e che senso abbia correre a mille tra le dune, ma è una corsa importante.
Era il 21 gennaio e così questa è la Giornata Mondiale della donna al volante. Che si presta a facili rime ma pone la questione infinita dei diritti e delle parità. Così piacerebbe che la prossima Parigi-Dakar, da dovunque parta e ovunque arrivi, passasse dall’Arabia Saudita, dove le donne non possono guidare una macchina. Con Jutta Kleinschmidt al volante e tutti dietro, nella polvere.