Alcuni quesiti del concorso scolastico fra errori e strafalcioni
Quiz errati (o ambigui, mal posti, fuori programma, ecc.), difettosi, sgrammaticati nel concorso per l’accesso al ruolo docente nella scuola
I test a risposta multipla del concorso scolastico per l’accesso al ruolo docente nella scuola secondaria (50 quiz per ciascun partecipante, due punti per ogni risposta giusta), i cui orali sono in corso di svolgimento, costituiscono una prova di selezione senza precedenti:
1) i concorrenti si sono dovuti cimentare con quesiti ipernozionistici, perfino più mortificanti dei peggiori telequiz televisivi;
2) molti fra i quiz proposti sono tagliati e incollati da fonti web di valore scientifico scarso o nullo. Non solo non è stato fatto il benché minimo sforzo per rielaborare le fonti (per migliorarle e arricchirle, restituirne una versione più articolata ed esauriente, renderle totalmente inattaccabili), ma tra quelle fonti vi sono siti come Skuola.net o StuDocu, e altri collettori virtuali di notiziole o appunti studenteschi, scopiazzati fino al prelievo quasi integrale;
3) decine e decine di domande fra quelle somministrate contengono gravi errori grammaticali, difettano nell’argomentazione o sono sbagliate, ambigue, mal poste, fuori programma o altro. Ne sto pubblicando ogni giorno – da quasi tre mesi – sulle mie pagine social, ne ho periziate diverse e ho allestito un dossier che uscirà nella sua completezza a breve (dal caso è nata anche un’interrogazione parlamentare di due deputate del Gruppo Misto). Ci si chiede chi abbia mai potuto redigere prove con un numero così elevato di quiz ingiustificati o errati (coinvolgono, peraltro, tutte le discipline interessate dalla selezione). Questi quiz, ben oltre i pochi fin qui riconosciuti come erronei dal Ministero, andavano annullati. La giurisprudenza italiana è molto chiara in materia di inattendibilità (o dubbia attendibilità) scientifica di un quesito a risposta multipla, che si tratti di una prova di concorso o di un test selettivo per l’accesso agli studi universitari.
Andiamo per gradi, cominciando dagli strafalcioni.
In un quesito si chiede: «Qual’è la configurazione elettronica del fluoro (F)»? Qual’è, con l’apostrofo. Nell’avvio di un altro quesito l’apostrofo sostituisce l’accento nella terza persona singolare del verbo essere («Viene chiesto in una classe che si alzi in piedi chi ha gli occhiali XOR e’ biondo»). «Dove risiede il BIOS di un PC»? Una delle quattro opzioni è questa: «Nel Hard Disk». Nell’Hard, o semmai – se vogliamo proprio conservare la pronuncia dell’h iniziale – Nello Hard. «Nella Raccomandazione del Consiglio Europeo del 22 maggio 2018, lo sviluppo della competenza digitale da parte dei docenti è un aspetto particolarmente connesso alla…», chiede il selezionatore, «a) esplorazione di nuove modalità di insegnamento-apprendimento; b) assunzione di ruoli e funzioni che vanno oltre all’insegnamento; c) esplorazione di nuovi strumenti per sostenere l’apprendimento permanente; d) esplorazione di nuove opportunità per lavorare collaborativamente con i propri colleghi». Che vanno oltre l’insegnamento, non oltre all’insegnamento. Anche le domande in inglese, quando non sono composte in una lingua maccheronica, presentano errori di ogni tipo: «Il modello di dieta “dietary gols” era molto simile a quella a) Asiatica b) Americana c) Giapponese d) Italiana». Gols (anziché goals), cui si aggiunge il mancato accordo sintattico fra il nome che funge da soggetto (modello) e l’aggettivo dimostrativo quella. Potrei continuare a lungo.
Gli ultimi due quesiti citati sono per giunta erronei.
Nel quesito sulla Raccomandazione del Consiglio Europeo l’opzione c) è l’unica risposta possibile alla specifica richiesta del selezionatore, che dà invece come corretta la risposta a). Nel quiz si parla di “competenza digitale”, non di generiche competenze, e una competenza digitale è imprescindibile dall’esplorazione dei nuovi strumenti (digitali, per l’appunto), di cui non possiamo ormai più fare a meno. Anche ci fosse stato un riferimento meno cogente, comunque, l’esplorazione dei nuovi strumenti a sostegno dell’apprendimento permanente appare centrale a partire dal titolo stesso del documento europeo: «Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente». È ovvio che, se sono un docente, io debba oggi necessariamente esplorare i nuovi strumenti di cui si parla per acquisire le competenze generali necessarie a supporto dell’apprendimento permanente (sono molti i passaggi dirimenti presenti nel documento, leggibile qui).
Per il quesito sui dietary goals, a parte il fatto di dover rispondere a una domanda così mal formulata (si chiede di dar conto, alla lettera, su un “modello di dieta ‘obiettivi dietetici’”), e che una “dieta italiana” immutabile negli anni non esiste (già quella degli anni Settanta era tutt’altra cosa anche solo rispetto a quella di vent’anni prima), i dietary goals del 1977 non c’entrano nulla con quella stessa “dieta italiana” anche qualora fosse riferita al periodo. Chi conosce il rapporto del Senato americano pubblicato nel 1977 (Dietary Goals for the United States, prepared by the staff of the Select Committee on Nutrition and Human Needs United State Senate, february 1977, Washington, U. S. Government Printing Office; seconda edizione: dicembre 1977) sa perfettamente che stiamo parlando di “obiettivi” da raggiungere per la dieta americana, non certo di un regime dietetico, e che quegli obiettivi nutrizionali, nel puntare a una riduzione del consumo di grassi (tra saturi, monoinsaturi e polinsaturi), si ispiravano alla dieta ipocalorica mediterranea, tipica delle regioni o dei paesi affacciati sul mar Mediterraneo. L’Italia meridionale vi era dunque compresa, ed espressamente richiamata, con riferimento agli operai del Mezzogiorno contrapposti agli stessi italiani meridionali di reddito superiore, oltreché agli italiani del nord e agli americani («Diet makes a difference in cholesterol levels as evidenced by the low levels among southern Italian workingmen who eat very little saturated (animal or dairy) fats, as compared to the upper-income southern Italians, northern Italians and Americans — all of whom eat more saturated fats» (ibid., p. 17; seconda edizione: p. 14), ma insieme ad altre aree geografiche. Padre della dieta mediterranea, com’è noto, il biologo e fisiologo americano Ancel Keys, che nel 1958 aveva intrapreso uno studio comparativo (Seven Countries Study, SCS), elaborato sulla base di un’indagine sul campo compiuta l’anno precedente a Nicotera (VV) e condotto fino ai primi anni Settanta – dopo aver nel frattempo (1962) preso casa a Pioppi (SA) –, nel quale aveva confrontato oltre 12.000 soggetti, di età compresa fra i 40 e i 59 anni, di sette differenti nazioni (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Jugoslavia, Olanda e Stati Uniti). Ne sarebbe scaturito, nel 1975, il volume How to Eat Well and Stay Well. The Mediterranean Way (New York, Doubleday), scritto dallo scienziato americano insieme alla moglie Margareth.
Ma ecco uno degli esempi più clamorosi.
Howard Gardner, famoso per la sua teoria sulle intelligenze multiple, è una celebrità mondiale nel campo della psicologia dell’educazione e della neuropsicologia. Lo chiama in causa un quesito in cui si chiede cosa sia per lui l’intelligenza. Queste le quattro opzioni di risposta, la prima delle quali giusta secondo il Miur: a) «un insieme di procedure per fare cose, da considerarsi come un “sistema” con proprie regole, operante su basi biologiche e culturali»; b) «un processo di adattamento ottimale (equilibrio tra assimilazione e accomodamento)»; c) «una realtà multidimensionale, non a struttura gerarchica ma a disposizione cubica»; d) «un costrutto teorico che viene misurato dai test sotto forma di QI e in cui giocano due fattori, uno generale e uno specifico». Nessuna delle quattro risposte è corretta, perché nell’opera del neuropsicologo non c’è traccia di una definizione dell’intelligenza che corrisponda a quella proposta dal selezionatore ministeriale: le intelligenze multiple di Gardner sono intelligenze multidimensionali e separate a monte delle quali non c’è nessuna serie di procedure strutturate in un sistema. Alcuni candidati decidono così di scrivere allo studioso, il quale conferma (ovviamente) che il quesito è mal formulato e il 3 giugno scorso invia una e-mail di precisazione al Ministero che sono stato autorizzato a diffondere. Il Miur non ha (ancora) annullato il quesito.
Un’altra domanda grossolanamente sbagliata riguarda un quesito di geometria. Si chiede: «Su un piano di sezione α genericamente inclinato e secante completamente una piramide retta a base esagonale si determina: a) Sempre un esagono regolare; b) Un esaedro; c) Un parallelogramma esagonale; d) Un triangolo equilatero». In questo caso la risposta giusta, secondo il Ministero dell’Istruzione, sarebbe la terza, ma il “parallelogramma esagonale” non esiste. Sul quiz ho chiesto qualche giorno fa un parere a Umberto Bottazzini, matematico di chiara fama (nel 2015 l’American Mathematical Society gli ha assegnato l’Albert Leon Whiteman Prize, un prestigiosissimo premio internazionale). Mi ha risposto, autorizzandomi a sua volta a rendere pubblico il commento che mi ha inviato: «A parte il fantastico parallelogramma esagonale, il testo dice solo che la piramide è retta e l’esagono di base può essere qualunque”. Anche qui, dunque, quattro opzioni sbagliate.
25 giugno 2021. Ultima sessione del concorso per funzionari amministrativi presso il Comune di Roma. Più di 1.500 gli aspiranti al ruolo presenti. Devono rispondere a 60 quesiti a scelta multipla. In uno fra i quiz proposti due delle tre risposte sono identiche: la sessione viene annullata (e rinviata al 5 luglio). Anche nella selezione per la scuola in corso di svolgimento, in un quiz su un triangolo proposto per la classe A028 (Matematica e scienze per la secondaria di primo grado), due delle quattro opzioni sono identiche: non succede nulla. In una batteria di quesiti per la classe B016 (Laboratori di scienze e tecnologie informatiche) sono due delle 50 domande a essere identiche («Che cosa è necessario affinché un programma per computer possa comunicare con un altro programma per computer realizzato da un fornitore differente»), e identiche – a parte la diversa successione delle prime tre – sono anche le quattro risposte. Un altro vizio formale gravissimo.
Il passo è divenuto quasi proverbiale: «I begin with writing the first sentence – and trusting to Almighty God for the second» (“Comincio a scrivere la prima frase, confidando per la seconda nell’onnipotenza divina”). Il Miur chiede di individuare – col relativo autore, Laurence Sterne – la famosa opera di cui questa frase sarebbe l’inizio. In realtà il brano compare, nella “vulgata” del testo, il romanzo a puntate The Life and Opinions of Tristram Shandy, gentleman, nel secondo capitolo dell’ottavo volume: chi ha elaborato il quesito ha confuso l’inizio dell’opera col momento in cui la voce narrante, parlando di come avviare un libro, si dichiara convinta che il suo incipit, oltreché il più religioso, sia il migliore di tutti gli inizi possibili.
«Da cosa è costituito un indirizzo IP? a) Da 4 bit; b) Da 16 byte; c) Da 8 byte; d) Da 4 byte». La risposta giusta per il Miur è la d). Un indirizzo IP può però essere composto, a seconda del protocollo Internet di riferimento, da indirizzi a 32 bit (4 byte, per l’appunto, per complessivi 2 alla trentaduesima – o 256 alla quarta – possibili valori: 4.294.967.296; IPv4) oppure a 128 bit (16 byte, per un numero esponenziale di valori; IPv6). Il primo formato è il più diffuso, il secondo è il più evoluto. Il quesito ha perciò due risposte esatte, b) e d).
«Quali tra queste sigle non indica una rete di telecomunicazioni: a) GAN: Great Area Network; b) PAN: Personal Area Network; c) LAN: Local Area Network; d) WAN: Wide Area Network». Il quesito è stato posto in più di una classe di concorso, fra cui la A054 (Storia dell’arte). Una Great Area Network, a meno di non intendere la locuzione come un riferimento estemporaneo a una “rete estesa su una grande area”, non esiste. Non solo non denomina una rete di telecomunicazioni, non c’è proprio. Un misero riscontro in realtà ci sarebbe («Great Area Network is intended to connect computers across cities and countries», 5 febbraio 2017), ma è un’illusione ottica o – per l’appunto – una scelta del tutto occasionale. La risposta indicata come corretta dal selezionatore (a) sembrerebbe dunque quella giusta, dal momento che ciascuna delle tre opzioni restanti fa riferimento a una rete di telecomunicazioni. Ancora una volta, però, non è così. Il motivo è semplice. Il quesito chiede quale sigla – non quale espressione – dell’elenco non si riferisca a una rete di telecomunicazioni, e GAN (al pari di PAN, LAN e WAN) è la sigla di Global Area Network. Ne consegue che tutte e quattro le “sigle” (il termine corretto sarebbe acronimi) corrispondono ad altrettante reti di telecomunicazioni, e nessuna delle quattro opzioni soddisfa quindi la domanda. Sarebbe interessante sapere da dove possa essere uscita quella Great Area Network. La risposta è a portata di mano: digitando la locuzione su Google escono quiz come questo: «Cosa significa GAN? a) Grafica Area Network; b) Global Area Network; c) Global Archive Network; d) Great Area Network».
In un quiz si chiede il numero degli «alcani isomeri strutturali dell’esano» (un idrocarburo del metano) indicati con una certa formula molecolare: sono 5, ma per il Miur sono invece 55. Ancora: «Quali delle seguenti grandezze si può misurare in Kg/m3 nel Sistema Internazionale?». Refuso a parte – quali –, la soluzione giusta fra “energia cinetica”, “volume specifico”, “densità” e “peso specifico, secondo il selezionatore ministeriale, sarebbe la seconda. Nel Sistema Internazionale delle Unità di Misura viene però espressa in kilogrammi su metri cubi (kg/m3) la densità e non il volume specifico, misurato invece in metri cubi su kilogrammi (m3/kg). Per dirla altrimenti: il volume specifico (massico) restituisce il valore del rapporto fra il volume e la massa di una determinata sostanza (i metri cubi occupati), la densità il rapporto inverso (tra la massa e il volume di quella sostanza).
In un quesito con un’equazione che applica la formula di Grassmann (dati due sottospazi di uno spazio, dice la formula, la dimensione dello spazio somma è pari alla somma delle dimensioni dei due sottospazi meno la dimensione del loro spazio intersezione) la presenza di un meno (-) al posto di un più (+) rende erronea la scelta indicata come giusta da Miur e corretta una delle altre tre. In un altro quesito di chiede se il «fenomeno della diffrazione»: a) «Riguarda qualsiasi tipo di onda»; b) «Può essere spiegato attraverso un modello corpuscolare»; c) «Può essere spiegato solo attraverso un modello ondulatorio»; d) «Si verifica solo con la luce». La c), indicata come giusta dal Ministero, è corretta, ma lo è anche la a). Mi limito a quest’attacco di una voce enciclopedica: «Fenomeno fisico consistente nella deviazione della traiettoria di un’onda in regime di propagazione, prodotta dalla presenza di ostacoli o dalla variazione della densità del mezzo. Le onde coinvolte possono essere di ogni tipo: di materia (particelle), elettromagnetiche (luce, radioonde), elastiche (acustiche)» (Mauro Cappelli, Diffrazione, nell’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, 2008).
Il calore specifico è una «grandezza derivata ed estensiva» (a), una «grandezza fondamentale e intensiva» (b), una «grandezza fondamentale ed estensiva» (c) o «una grandezza derivata e intensiva (d)»? Per il Miur la scelta corretta è b), che è però una risposta sbagliata. Nel Sistema Internazionale di unità di misura (SI) si individuano sette grandezze fondamentali: lunghezza (metro, m), massa (kilogrammo, kg), tempo (secondo, s), corrente elettrica (ampere, A), temperatura (kelvin, K), quantità di sostanza (mole, mol), intensità luminosa (candela, cd). Il calore specifico (o capacità termica specifica) non c’è perché è una grandezza derivata. Derivata e intensiva, e cioè indipendente dalla dimensione del campione considerato. Il calore «è una grandezza estensiva, mentre la temperatura è intensiva, e quindi anche la capacità termica è estensiva: essa risulta proporzionale alla quantità della sostanza presa in esame. La capacità termica riferita ad una mole si chiama “calore specifico molare” o semplicemente “calore molare”, se invece è riferita all’unità di massa si chiama “calore specifico” (queste due grandezze sono evidentemente intensive)» (Antonio Bertin, Mario Poli, Antonio Vitale, Fondamenti di termodinamica, presentazione del Prof. Renato Angelo Ricci, presidente della Società Italiana di Fisica, Bologna, Società Editrice Esculapio, 1997, p. 70 sg.). La risposta giusta è dunque d).
«In un percorso finalizzato all’apprendimento e all’insegnamento di una L2, in che cosa consiste il sillabo? a) Nella programmazione didattica di obiettivi, contenuti, attività, materiali, tempistiche; b) Nell’indicazione dei contenuti culturali; c) Nella specificazione dei contenuti linguistici oggetto di insegnamento; d) Nell’elenco delle unità didattiche». Per il selezionatore del Miur la risposta esatta è a), che con un sillabo non c’entra nulla. È invece questione – pur nella semplificazione ministeriale – di «specificazione dei contenuti linguistici oggetto di insegnamento». Un sillabo è «una raccolta di contenuti pensata per chi deve progettare percorsi di insegnamento, materiali didattici, insegnamento, prove di valutazione e certificazione. Sono contenuti lessicali (in una microlingua la dimensione terminologica è sempre rilevante, anche se […] la sua conoscenza è affidata allo studente più che al docente), morfosintattici, funzionali e culturali (Paolo E. Balboni, Sillabo di riferimento per l’insegnamento dell’italiano della musica, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2018, p. 24). Un sillabo, in sintesi, è una “raccolta di contenuti” linguistico-comunicativi (verbali e non verbali: cinesici, prossemici, vestemici, ecc.), ma anche extralinguistici (culturali o altro). La bibliografia sull’argomento è sterminata.
«Which of the following levels does the CEFR descriptor below concerning sustained monologue refer to? Can clearly express feelings about something experienced and give reasons to explain those feelings. a) A2; b) B1.1; c) C1; d) B2.1». Il CEFR è il Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment (in italiano: Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue), ma il descrittore in questione non si trova indicato in B1.1, la risposta ritenuta corretta dal Ministero, bensì in B1.2, sottolivello separato dal precedente da una linea orizzontale che è evidentemente sfuggita (cfr. p. 62), a meno che il selezionatore non abbia letto la relativa tabella dall’alto verso il basso anziché, come avrebbe dovuto, dal basso verso l’alto; tutte le quattro opzioni proposte sono conseguentemente sbagliate.
«Con il termine menu si intende: a) una lista con relativo prezzo delle vivande che l’ospite andrà a consumare; b) una lista cronologica e dettagliata delle vivande e bevande che l’ospite andrà a consumare; c) una lista dettagliata delle vivande che l’ospite andrà a consumare; d) una lista cronologica e dettagliata delle vivande che l’ospite andrà a consumare», L’opzione giusta, per il selezionatore, sarebbe l’ultima. Se fosse così dovremmo depennare la parola menu da ogni luogo possibile, reale e virtuale (dizionari compresi: «menu ‹mënü′› s. m., fr. [dall’agg. menu «minuto, particolareggiato»]. – 1. L’insieme dei cibi e delle bevande che compongono un pranzo (colazione o cena), o di cui un ristorante dispone, a scelta del cliente»), in cui si faccia riferimento a bevande. L’unica risposta sensata fra le quattro proposte, pur mancando il riferimento al prezzo, è la b) (cronologico, s’intende, non ha nulla a che fare con la cronologia dei menu dei nostri dispositivi elettronici ma fa invece riferimento a una sequenza ordinata o ragionata di portate). Una semplice riprova? Se accettiamo come valida la d) dovremmo ritenere altrettanto valida la a) (e, al limite, pure la c)). Fra tutte l’unica opzione completa è la b) perché è la sola che menzioni, oltre alle vivande, proprio le bevande (le quali, ovviamente, non comprendono i soli vini, che potrebbero anche essere riportati in un menu – o carta – a parte). Un altro quesito mal formulato anche linguisticamente, dagli ospiti che dovevano essere piuttosto clienti al fatto che ciascuna delle quattro opzioni dica che le vivande (o le vivande e le bevande) elencate nel menu siano da consumare tutte.
«L’Ocse, che è l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attualmente da quanti paesi è composta»? Sono 32, 35, 36 o 38? Per il Miur sono 36, e invece sono 38. Leggiamo sul sito dell’OCSE, o OECD (Organization for Economic Co-operation and Development), che i paesi membri dell’organizzazione sono 38 : 1. Australia; 2. Austria; 3. Belgio; 4. Canada; 5. Cile; 6. Colombia; 7. Costa Rica; 8. Danimarca; 9. Estonia; 10. Finlandia; 11. Francia; 12. Germania; 13. Giappone; 14. Grecia; 15. Irlanda; 16. Islanda; 17. Israele; 18. Italia; 19. Lettonia; 20. Lituania; 21. Lussemburgo; 22. Messico; 23. Norvegia; 24. Nuova Zelanda; 25. Paesi Bassi; 26. Polonia; 27. Portogallo; 28. Regno Unito; 29. Repubblica Ceca; 30. Repubblica di Corea; 31. Repubblica Slovacca; 32. Slovenia; 33. Spagna; 34. Stati Uniti; 35. Svezia; 36. Svizzera; 37. Turchia; 38. Ungheria. Ai 36 fino al 2018 (l’anno in cui entrò la Lituania) si sono aggiunti prima la Colombia (2020) e poi il Costarica (2021). Il selezionatore ministeriale si è fermato a 36, e così il nostro Ministero dell’Economia e delle Finanze: «L’Ocse, che ha sede a Parigi, conta attualmente 36 paesi membri (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria)». Per l’Agenzia per la Coesione Territoriale, che dichiara però l’ultimo aggiornamento al 28 aprile 2020 (il giorno in cui entrò la Colombia), i paesi membri dell’OCSE sono invece 37: «Dai 20 Paesi iniziali, tra cui l’Italia, Paese fondatore, oggi l’OCSE è costituita da 37 Paesi membri: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Colombia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria (dato aggiornato al 28 aprile 2020)».
«Quale opera della tradizione letteraria italiana viene definita da Ezio Raimondi “romanzo senza idillio”?». Stiamo senz’altro parlando di uno dei più grandi critici letterari del Novecento, e il saggio manzoniano è ben noto (l’opzione giusta, fra le quattro proposte, di diversi autori, è naturalmente I Promessi Sposi), e tuttavia il selezionatore non ha tenuto conto dei puntuali riferimenti dell’Allegato A al bando di concorso (“Decreto Dipartimentale” n. 499, 21 aprile 2020); in quell’allegato, nell’elenco secco degli undici «autori della storia della critica letteraria» di cui si richiede la conoscenza (Francesco De Sanctis, Benedetto Croce, Antonio Gramsci, Erich Auerbach, Michail Bachtin, Gianfranco Contini, Giacomo Debenedetti, Carlo Dionisotti, Francesco Orlando, Cesare Segre, Maria Corti), il nome di Raimondi non compare. «Quale dei seguenti personaggi può essere considerato il più importante biografo degli artisti emiliani? a) Carlo Cesare Malvasia; b) Giovanni Paolo Lomazzo; c) Giovanni Battista Armenini; d) Giovanni Pietro Bellori». Un secondo esempio dei tanti quesiti non contemplati dal programma per il concorso, che parla qui espressamente – per le classi A054 (Storia dell’arte), quella per la quale è stato somministrato il quiz, e A017 (Disegno e storia dell’arte negli istituti di istruzione secondaria di II grado) – di «conoscenza di elementi di letteratura artistica (Cennino Cennini, Vasari, Lomazzo, Bellori)»). Si fornisce quindi, come nel caso di Raimondi, un breve elenco secco di nomi (diversamente si sarebbe dovuto inserire un ecc., un e altri, tre puntini di sospensione e simili), ma nella lista Malvasia (la risposta giusta, anche per il Miur) e Armenini non compaiono.