Caustico
Le 30 parole “da salvare” che sto qui via via raccontando, spiegando e commentando le ho sottoposte in un test scritto, all’inizio di questo mese, a 196 matricole del mio corso di Linguistica italiana per la laurea triennale all’Università di Cagliari. Era compito degli studenti indicare uno o più sinonimi di ciascuna delle 30 voci, accompagnando l’indicazione con una frase che le contenesse. Volevo ricavarne qualche considerazione anche sulla loro capacità di contestualizzarle, e ne sono venute risposte che fanno seriamente riflettere.
Per qualcuno abulico significa “brutto” (terribile l’esempio: «La pena di morte è un’abulia»), per altri blaterare è sinonimo di consultare o sussurrare e corroborare è come dire accorpare, considerare, continuare o rovinare («Quel pezzo di ferro si sta per corroborare»). Un coacervo è un raccolto, un fedifrago un ladro o un maniaco, un preambolo un avvertimento, un presentimento, una profezia e perfino un’apocalisse. Chi è sagace è narcisista o pieno di sé, premuroso o temerario, mentre laconico, a seconda dei casi, può stare per assente o incisivo, inquieto o incompleto, triste o malinconico («Questa canzone è laconica»).
I più maltrattati sono proprio gli aggettivi. Dire sordido, per diversi studenti, è lo stesso che dire chiaro, madido o umido, silenzioso («E poi sentì un sordido tumulto») o impronunciabile («Rivelare un sordido segreto»). Se deleterio, qualora non subentri a utile, estenuante o rovinato («Questa casa è deleteria»), futile o vecchio («Non va più di moda, è deleterio»), può diventare un sostantivo (la scelta è fra caos e confusione: «Non ci aspettavamo tale deleterio»), solerte, quando non venga inteso per alto, chiaro, grandioso, solenne («Una preghiera solerte») o ufficiale («Mio fratello ha fatto un giuramento solerte»), si trova trasformato addirittura in un avverbio (spesso: «Solerte mi alzano di prima mattina»); è l’identico avverbio indicato da una matricola per veemente (spesso: «Vedo di veemente Laura»), che può altrimenti sostituire un bel po’ di altri aggettivi: da clemente («Marco è amato da tutti perché è una persona veemente») a comprensivo («Sei stato veemente nonostante tutto»); da paziente («Sarà veemente con te, torna la prossima volta») a seducente; da sincero a vorace («Il tuo carattere è veemente»).
Per il campione studentesco, delle 30 parole comprese nella lista, una delle più ardue da decifrare è ancora un aggettivo. Si tratta di caustico, e può arrivare a significare chiuso, difficile o ostico; può voler dire antipatico («Un argomento caustico») o caotico; può riferirsi a cosa o persona che sia pura oppure chiara («Carnagione caucasica» [sic]; «Il professore era caustico su chi arriva in ritardo»). Il sinonimo più bizzarro di tutti è rumoroso: «La sala è caustica».
Caustico ha origine dal latino caustĭcus – caustĭcum, in Plinio il Vecchio, era un medicamento –, giunto a sua volta dal greco καυστικός (derivato da καίω “bruciare”). La parola vuol dire alla lettera “corrosivo” o “ustionante” (soda caustica), perché al contatto con una sostanza caustica ci bruciamo la pelle, ma se la usiamo in modo figurato (una battuta caustica, un giudizio caustico, un tono caustico; un critico, un giornalista caustico) prende allora i significati di “acido”, “acre”, “aspro”, “mordace”, “sferzante”, “tagliente”. Pepato, salace, pungente o graffiante, o l’antico e letterario dicace (dal lat. dicax -acis, der. di dicĕre “dire”), per riferirsi a una persona arguta, spiritosa o maliziosa dalla battuta pronta, sono, rispetto a caustico, un po’ più blandi (una materia corrosiva penetra nelle nostre carni, così come una sferza è strumento ben più temibile di un qualunque oggetto possa pungerci o graffiarci); sarcastico aggiunge alla causticità l’amarezza e la volontà di schernire, e talvolta di umiliare; acrimonioso, astioso, livoroso, velenoso o malèdico esprimono il rancore perlopiù misto a malanimo o invidia, spirito di rivalsa o di vendetta.
Grazia Deledda, nella sua autobiografia romanzata, pubblicata postuma, in cui narra della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua giovinezza, ci parla a un certo punto di Antonio e dei suoi fratelli (Cosima, con 17 illustrazioni, seconda edizione riveduta, Milano, Treves, 1937, p. 45). La famiglia cui appartengono è un po’ borghese e un po’ paesana, e i ragazzi, rispetto al padre, «un esattore d’imposte, un uomo rude, taciturno, poco pratico della lingua italiana», hanno «quasi un’aria aristocratica». Le case basse in cui vivono sono abitate da altri ragazzi come loro, figli di parenti: sono una «specie di clan, ma di gente incivilita, anzi intelligentissima», e tutti i ragazzi, «caustici, osservatori, beffardi», studiano.
Se studiassero anche i nostri giovani, e studiassimo – o tornassimo a studiare – un po’ tutti noi, forse caustico (o beffardo) si salverebbero da soli.
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Vi ripropongo l’elenco delle 30 parole “da salvare”, che abbiamo immaginato qualcuno avesse deciso di cancellare prima del tempo, e vi invito a salvarne una. Fate la vostra scelta nei commenti qui sotto (potete esprimervi una sola volta; se farete una seconda scelta, o una terza, una quarta, ecc., verrà considerata soltanto la prima) e accompagnatela con un commento sul motivo per il quale salvereste proprio quella parola. Nel corso della quarta edizione di Parole in cammino (il Festival della Lingua italiana e delle Lingue d’Italia: Siena, 1-5 aprile 2020), in cui lanceremo la Notte della Lingua Italiana (il 3 aprile), premieremo le motivazioni più belle. Io spiegherò intanto via via le 30 parole, una a settimana.
- abulico
- afflizione
- arguto
- becero
- bizzarro
- blaterare
- caustico
- coacervo
- corroborare
- deleterio
- elucubrare
- fedifrago
- fosco
- giubilo
- illazione
- intrepido
- laconico
- magnanimo
- mendace
- nugolo
- ondivago
- preambolo
- riottoso
- sagace
- sbigottire
- sbilenco
- solerte
- sporadico
- uggioso
- veemente