Altro che “onorevole” o “cittadino”

cartoon5604
A Radio Tre hanno quest’usanza che non riscontro da nessuna altra parte. Per me è così caratterizzante che quando muovo il sintonizzatore per cercare la frequenza so di avere finalmente trovato Radio Tre proprio da questo. Chiamano gli ospiti per nome e cognome.

A Fahrenheit è un’abitudine su cui si insiste ancora di più che negli altri programmi, però anche a radio tre mondo, a radio tre scienza, a tutta la città ne parla, a piazza Verdi, a radio tre suite non c’è conduttore che contravvenga a questa etichetta. Mi piace un sacco. Immagino che debba essere nato come un espediente tecnico: in tv quando qualcuno prende la parola parte subito il suo nome e cognome in sovrimpressione, e spesso c’è anche scritto chi è, che carica ricopre, per cosa va celebre. Alla radio l’unica possibilità è che il conduttore si rivolga all’ospite chiamandolo per nome e cognome, così chi si è appena sintonizzato ne apprende l’identità e chi è già in ascolto non se la dimentica.

Oltre a essere una cosa utile (metti che il libro che stanno presentando è bello, o che le idee di quella persona ti abbiano colpito: puoi aspettare che il conduttore ripeta il nome e te lo puoi appuntare su un pizzino) è anche un tocco di classe. Va bene, sì, forse c’è anche un po’ di affettazione in questa pratica, però in fondo, anche se fosse, è uno di quei vezzi così sobri che se non ci stai attento neanche te ne accorgi.

Certe volte sembra proprio che usino il vocativo delle declinazioni latine, una preghiera a tutti gli effetti, e nel caso degli autori o degli ospiti che io adoro fino a venerare, ci sta che è una meraviglia, e anzi io premetterei anche un bell’Oh tipo così: ci racconti un po’ la genesi dei questo suo ultimo libro, oh Antonio Pascale.
Certe altre invece il tono è più da interrogazione scolastica, ma a scuola di solito i professori ti chiamano solo per cognome, e a radio tre invece prima del cognome dicono sempre anche il nome, quindi la tensione è mitigata, quasi sparisce, resta quest’effetto ossimorico di una vicinanza lontana tra conduttore e ospite, che subito si riverbera tra te che ascolti e loro che parlano.

La vicinanza lontana è una cosa che teorizzo da sempre, perché io ancora non l’ho capito se la gente mi piace o non mi piace, nel senso che stare in mezzo alle persone mi diverte e mi rassicura, ed effettivamente mi fa anche avvertire quel calore umano della presenza fisica che tanto ci è dolce e necessario. Però anche mi turba. E allora penso che sì, va bene, stiamo vicini, è bello, mi piace, ma non mi toccare per nessun motivo al mondo perché se lo fai tiro fuori il mio machete e ti sgozzo sul posto. E allora solo il nome sarebbe troppo e solo il cognome sarebbe troppo poco: nome e cognome è perfetto.

Che poi io mi immagino sempre che quelli di radio tre e i loro invitati si conoscano benissimo da un sacco di tempo: è facile che tra intellettuali e cervelloni si frequentino da una vita, sempre gli stessi. Ci sta che la sera guardino la partita insieme sul divano: forse mangiano addirittura le patatine dallo stesso sacchetto, e magari qualcuno mette i piedi sopra al tavolino e l’altro gli dice ohu, maiale, almeno levati le scarpe prima, e a quell’altro gli scappa un rutto e la moglie gli dà uno scapaccione. Poi però, com’è giusto, in trasmissione, in presenza di me che li ascolto, si danno il lei e parlano come non si fossero mai visti, con quest’aggiunta del nome prima del cognome che è il marchio di radio tre.

Mi spiazza un po’ che sia sempre e solo il conduttore a rivolgersi così all’ospite. Mai nessun ospite ha completato una risposta con un Marino Sinibaldi, un Loredana Lipperini o un Maya Giudici a fine frase. E allora penso: ma non sarà una cosa un po’ da maleducati? Quello ricorda a tutti chi sei e tu invece fai finta che non esiste? Chi ti credi di essere? Invece mi sa proprio di no, e anzi dev’essere specie di gentlemen’s agreement: il padrone di casa di radio tre è sempre un tipo discreto, meno si mostra e meglio si sente, ci tiene proprio ad annullarsi per fare emergere il suo ospite, si capisce anche dal tipo di intervista che fa: non prova mai a fare bella figura con una domanda più appariscente della risposta, come fanno alle presentazioni dei libri in libreria, ma accenna qualcosa giusto per dargli l’abbrivio. E allora questo meccanismo per cui l’ospite risalta col nome e cognome e il conduttore invece non ha quasi identità è funzionale a tutto uno stile, lo stile di radio tre, che magari è un po’ snob o retrò come stile, però è uno stile, è diverso da tutti gli altri, si riconosce, risalta, e non per appariscenza o pacchianeria, ma per sobrietà e understatement.

Chissà che effetto fa agli scrittori o agli scienziati o agli invitati di quei programmi. Chi altro, nella vita, li chiama per nome e cognome?

In generale, per tutti, quanto sono poche le occasioni in cui ci è dato ascoltare il nostro nome seguito dal cognome? Alla visita militare, forse. Per chi ha fatto sport a livello agonistico, prima di qualche gara. All’appello che si faceva a scuola. E anche in queste ricorrenze, di solito l’ordine era sempre inverso: prima il cognome e poi il nome. Alle medie mi ricordo che l’appello era solo per cognome e che per conseguenza pure tra compagni di classe ci chiamavamo solo per cognome: Bandiera, Vivirito, Attardo, Rizza, Scibilia, Giudice. Soltanto quando c’erano due con lo stesso cognome sul registro si aggiungeva il nome di battesimo. In classe mia c’erano due Calvo, e allora se capitava di nominarne uno bisognava specificare quale dei due: Calvo Luigi o Calvo Marianna? Il nome veniva ridotto a una specie di segno distintivo, un espediente sul genere di quelli che attuano i genitori per far distinguere i loro figli gemelli alle maestre dell’asilo: che so, mettere un fiocchetto tra i capelli di una delle due bimbe, o posizionarla sempre sul passeggino di destra. Infatti gli unici due nomi delle medie che ricordo sono Marianna e Luigi. Gli altri li ho dimenticati oppure non li ho mai saputi.

E comunque resta il fatto che di solito se qualcuno si rivolge a noi con entrambi i componenti è in quell’ordine del tutto innaturale del cognome prima del nome. Quest’inversione non dà solo un senso di eccessiva formalità, quasi militaresca, ma trasmette anche l’idea di avere a che fare con un interlocutore un po’ ottuso: sentirsi chiamare per cognome e nome ammanta tutto di un burocratismo fine a se stesso, anzi di quel tipo di burocrazia temibile e temuta, specie quando si hanno solo le scuole basse e si rimane sempre un po’ impacciati di fronte all’ufficialità.
Infatti annunciarsi col cognome prima del nome spesso qualifica chi lo fa come poco istruito, mentre chi si presenta con l’ordine giusto appare subito disinvolto. C’è addirittura chi si firma col cognome prima del nome, e questo la dice lunga su di lui o di lei, o almeno la dice lunga a chi invece si firma prima col nome e poi col cognome. Però resta il fatto che anche se accordiamo il crisma della correttezza alla successione nome-cognome, e non viceversa, è proprio difficile che qualcuno si rivolga a noi così, per esteso e in quest’ordine.

Non voglio rifarmi alla teoria di Warhol secondo cui un quarto d’ora di celebrità prima o poi tocca a tutti, perché non è in quel senso che me lo auguro, però sarebbe bello se ciascuno di noi  potesse essere almeno una volta ospite di una qualunque trasmissione di radio tre. Così, giusto per sentire che suono abbiamo.

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com