Temete l’ira del mite
Non per parlare d’altro a tutti i costi, ma è un qualcos’altro che spiega un pezzo anche di questi giorni. Filippo Sensi è un deputato del PD, con al passato incarichi di portavoce di Renzi e Gentiloni, un giornalista da sempre militante fin dai tempi di Rutelli Sindaco. Fino ad oggi, ogni settimana regolarmente dalla sua elezione, ha pubblicato una foto dell’emiciclo di Montecitorio vuoto durante la sessione che si chiama “discussione generale”. Ogni volta vuoto, tranne lui e pochi altri, di qualsiasi cosa si parli, dall’omicidio di Giulio Regeni, alla violenza sulle donne, alla regolazione del colorante XCP nelle merendine per bambini. Oggi si arrende e twitta, chiaramente rivolto ai suoi colleghi:
Siamo in 5, la foto non la metto, mi sono stufato di processi, insulti, odio e maledizioni. Statevene a casa, tranquilli. Curate il territorio, mi raccomando.
— nomfup (@nomfup) March 5, 2020
Perché questa storia è importante? Innanzitutto perché Sensi è quanto di più lontano dal populismo: sia per la sua cultura, all’opposto della inadeguatezza presuntuosa elevata a metodo (e lontana dai suoi giustificazionismi) sia, di conseguenza, nei toni e metodi. Non ha urlato “vergogna”, si è limitato a documentare con costante puntiglio un fatto inoppugnabile: ogni settimana per molte ore avviene (almeno) una seduta della Camera dei Deputati ma senza deputati che evidentemente hanno di meglio da fare.
Bisogna sapere che esistono delle motivazioni sia tecniche che pratiche del perché questo accade, ricordo di aver letto varie spiegazioni sul fatto che questo dipenda dal regolamento di Montecitorio che, per così dire, “costringe” i deputati a discutere nuovamente di un tema sul quale le decisioni sono state già prese, una discussione sostanzialmente inutile. O almeno questo è quanto è rimasto a me, cittadino medio, di quelle pensose spiegazioni, che naturalmente si accompagnavano anche all’importanza che i deputati facciano attività nel loro collegio di elezione spesso lontano da Roma. Per questo, capisco io, spesso la seduta vuota è organizzata di venerdì così i deputati possono fare la settimana corta a Roma, e “curare il territorio”.
Ora non ci vuole Einstein a capire, io credo, che quelle immagini nel corso degli scorsi 20 anni (dal principio della spettacolarizzazione della vita di tutti, compresa quella delle istituzioni) abbiano fatto male alla nostra democrazia almeno quanto un politico disonesto colto in flagrante, ma forse di più. Di più perché danno la conferma settimanale che, per quota parte, ogni politico se ne approfitta, e dunque non c’è speranza tranne votare il primo che si presenta dato che “peggio non può andare”. Invece peggio può andare assai (e ci sta andando), ma vallo a dire a chi, con la schiena stanca, guarda quelle immagini che da altri, quelli si, venivano diffuse condite con vaffa di varia origine.
E non vale assolutamente la solfa che tutti gli italiani devono diventare esperti di meccanismi parlamentari oppure zitti, perché fare specchio riflesso al populismo non è una risposta politica, è una risposta infantile. La prima cosa che andrebbe fatta, ma da venti anni, per rafforzare le nostre istituzioni è una riforma dei regolamenti parlamentari che salvaguardando i sacrosanti privilegi (pri-vi-le-gi, che sono tali ed esistono per proteggere tutti noi, le istituzioni esistono per proteggere tutti noi) renda il lavoro del parlamentare leggibile, simile, affine, alle regole che tutti noi dobbiamo sempre seguire, a cominciare dal fatto che se prendiamo un appuntamento, se il nostro lavoro prevede che siamo in un luogo in un’ora, beh, questo deve accadere per forza. Altrimenti siamo scansafatiche, furbi, irresponsabili, da non prendere ad esempio.
Il lamento delle classi politiche sconfitte dai populisti, a dir loro a causa del neoliberismo o a causa del giustizialismo o di un libro di due giornalisti del Corriere, si infrange ogni settimana davanti a quelle foto di Filippo Sensi che noi speriamo ci ripensi, e a parte i lamenti di quattro sfessati consideri l’apprezzamento di noialtri fuori dal Palazzo, ma al cui Palazzo vogliamo molto bene.