Non su Bettino Craxi
Sono stato a Milano alla presentazione del libro di Claudio Martelli, “L’Antipatico”, che parla di Craxi attraverso alcuni temi ed episodi scelti dall’autore, e dalla prospettiva evidentemente unica di chi ha lavorato così a lungo col protagonista di cui tanto si parla in queste settimane. Il libro non l’ho ancora letto e di Craxi stanno già parlando tutti, quindi questa nota è su alcune cose del discorso di Martelli. Sono temi che, partendo e ispirati dalla esperienza politica di Craxi, rimandano naturalmente all’attualità politica e sociale di oggi. Mi hanno sempre fatto sorridere quelli che lamentano l’uso della Storia a fini di discorso contemporaneo, o battaglia politica, come se non si fosse sempre fatto. O come se non si sappia che l’alternativa naturale è andare in un dipartimento universitario e legittimamente occuparsene col distacco professionale adatto.
Nella sua presentazione, Martelli, con linguaggi (e profondità) totalmente inusuali ormai nella discussione pubblica, ha affrontato appunto dei temi che parlano moltissimo alle nostre preoccupazioni contingenti. Ne ho scelti tre, come dicevo, ma ce n’erano di più.
Il primo riguarda il nazionalismo rivendicato da Craxi come cifra socialista, derivato com’era dal fatto che soprattutto in Italia (non in Germania, aggiungerei io) la formazione del sentimento e del tessuto nazionale si costruì sulle parole di Mazzini, di Garibaldi, in una genesi “di sinistra”. Mi viene naturalmente da pensare che cosa diversa fu la costruzione della democrazia a partire dalla Costituente, dove il compromesso fu certamente molto più ampio. Ma in Italia, la fondazione della nazione sulla idea di popolo, e dello Stato unitario come veicolo attraverso cui affermare i bisogni del popolo, è in effetti spoglia da contenuti autoritari o escludenti. Mi sembra allora che in questo periodo di reazione all’idea ingenua della globalizzazione prima maniera, reazione che viene colta essenzialmente dalle forze cosiddette sovraniste, si stia perdendo una occasione nel non stimolare una riflessione sul significato dell’essere italiani e italiane, ossia sui contenuti da legare ai diritti di cittadinanza che molti vorrebbero – con buone ragioni – legati alla nostra terra e alla nostra cultura. Bisogna declinarli però tali contenuti, rendendosi conto che così l’idea di nazione e l’identità che anche su di essa si forma nelle persone, può tornare alla sua natura originaria, progressista e inclusiva.
Il secondo tema, semplice per quanto evidente, è l’inevitabilità della sconfitta politica in democrazia. Abituati a una retorica trionfante diffusa, alla distorsione dei social in cui ognuno di noi come è naturale tende a pubblicare solo contenuti positivi, mi è sembrato un concetto tanto ovvio quanto trascurato. Dice Martelli: se scegli di fare politica devi sapere che prima o poi sarai sconfitta, o sconfitto. Per quanto tu possa essere capace, o fortunato. Questa consapevolezza potrebbe offrire un suggerimento proprio ai tanti esponenti della politica trionfalistica e arrogante, che così tanti danni sta facendo; perché sapere di stare lavorando – comunque vada – in direzione della propria sconfitta, potrebbe far assumere altre posture e forse persino suscitare una maggiore indulgenza da parte di elettori e opinione pubblica. Il controesempio dei presidenti USA eletti per due mandati, di chi vada in pensione spontaneamente, non vale infatti per la stragrande maggioranza dei politici.
Il terzo tema è quello più complesso, che quasi mi fa impressione scriverne su un blog, e ha a che fare con la responsabilità e la colpa. Dice Martelli: durante una carriera politica nella quale si governa un paese, o si assumono cariche di alta responsabilità pubblica, è necessario per svolgere il proprio compito con dignità, assumersi delle responsabilità. L’assunzione di responsabilità comporta da un lato la necessità di scegliere e quindi scontentare alcuni, dall’altra l’inevitabile commissione di colpe. Ovviamente non si sta qui parlando in termini legali o formali, il che naturalmente è peggio. Chi fa politica deve sapere non solo che sta lavorando verso la propria sconfitta, ma anche che commetterà delle colpe a seguito del proprio inevitabile esercizio di responsabilità.
Una reazione credo naturale sia quella di rifiutare questo ragionamento. Ma come? Un buon politico deve, forse, scontentare qualcuno, ma se opera secondo legge e coscienza non può avere colpe. Allora ho provato a riflettere su altri tipi di responsabilità, pensiamo a quello più diffuso che in molti abbiamo: la responsabilità genitoriale. Sappiamo tutti, essendo stati anche figli, che per quanti sforzi e quante attenzioni faremo, inevitabilmente i nostri figli ci incolperanno di qualcosa, ci inchioderanno alle nostre colpe, senza appello. E futile sarà rifiutarle. Io a volte mi chiedo di cosa mi incolperanno i figli, e mi sono convinto che da genitore è impossibile prevederlo, perché ha a che fare con la misteriosa interazione tra natura umana individuale e le sue reazioni all’ambiente circostante. E allora forse le colpe dei politici dipendono anche da questo, dal fatto che è impossibile prevedere tutti gli effetti di una decisione politica, effetti che dipendono da complesse interazioni, e che la migliore buona volontà e migliore buona fede non basteranno ad evitare.
Da ormai anni siamo abituati a una intolleranza diffusa per i politici, a una vera crisi di fiducia che in tutto il mondo occidentale è montata nei confronti dei detentori di potere politico. Allora questa constatazione della colpa inevitabile si trasforma per questi ultimi in una specie di missione impossibile. Se è impossibile persino immaginare un politico innocente e non colpevole, allora tutto è perduto, allora la versione da macchietta del populismo è destinata a prevalere.
A me sembra, invece, che le parole di Martelli suggeriscano il contrario e che riconoscere non solo la propria fallibilità, ma l’inevitabile imperfezione delle proprie azioni – che anche nella migliore delle condizioni finiranno per produrre effetti negativi non voluti – sia il primo passo da fare per riportare la politica a risuonare nella vita quotidiana delle persone, ad essere riconosciuta come vera e utile.
Noi tutti abbiamo una esperienza costante delle nostre mancanze e dei nostri limiti, mentre leggiamo in continuazione di politici che ci presentano la possibilità di migliorare tutto, di risolvere i problemi, perché in possesso della ricetta esatta. Le loro parole vengono costantemente derubricate, da tutti, a semplice e costante propaganda. Ma nel loro costruire personaggi da fiction, nella versione senza difetti o nella versione casereccia, essi stessi si mettono nella condizione di svolgere il ruolo di perfetti capri espiatori di ogni nostra uggia. Al contrario, forse, mostrarsi fallibili, e parlare linguaggi di verità personali nei quali risuonino le difficoltà e imperfezioni della responsabilità, potrebbe aprire la porta tanto difficile da trovare del ritorno al rispetto, alla stima e alla importanza della politica.