L’Italia smaniosa
Anche io a 20 anni avevo smanie di altruismo. Onestamente, mi pare una definizione calzante e anche bella: la smania dà un senso di urgenza, di impellenza, qualcosa di irresistibile e giusto da fare subito, ora. Anzi, mi piacerebbe un hashtag #smaniedialtruismo in cui tutti noialtri anziani e semianziani, diciamo dai 40 anni in su, raccontassimo in un tweet quale fosse la nostra, di smania. Io andai in Bosnia a portare palloni da calcio, quaderni e un proiettore per il cinema. La guerra era appena finita ma i bambini e i ragazzi non potevano giocare a pallone perché non ce ne erano! Non vi sto a raccontare il viaggio e la faccia di mia madre prima e dopo, ma comunque c’erano campi minati ovunque, per fare 300 chilometri da Spalato a Tuzla ci abbiamo messo dodici ore di zig zag tra le linee di fronte. Altre smanie. Ricordo, ad esempio amiche mie che andavano nei centri antiviolenza, o addirittura a parlare con le prostitute di notte in strada a Roma o Milano per convincerle a denunciare i propri schiavisti. Un’intera sub-categoria di smanie riguardava le favelas, o in generale le baraccopoli ai margini delle metropoli sudamericane, in cui si andava a cercare di strappare i bambini dalla colla che respiravano. Ce n’era anche una versione europea, la Romania dopo il crollo del Muro era piena di bambini di strada. Altre smanie invece erano nei quartieri delle nostre città, soprattutto del Sud, dove la dispersione scolastica era particolarmente alta: i bambini non andavano a scuola. Insomma, la smania è bella perché è varia.
Negli anni, alcune persone trasformarono quella smania in un lavoro: da ragazzi si impara presto che ci vuole il professionismo vero per cambiare un po’ le cose, e un lavoro si impara col tempo, da chi lo ha già fatto e con studi dedicati. Altre persone invece, dopo un periodo abbandonarono il genere di volontariato che avevano svolto, e tramutavano quella spinta in un impegno di diverso tipo, forse meno drammatico, ma non meno intenso, e conservano la smania dentro il cuore come riserva per i momenti più difficili.
Di tutte le cose che leggo in queste ore, le più sbagliate mi sembrano quelle che commentano le parolacce contro Silvia Romano come se fossero espressione dell’Italia e non di quei pochi gatti che le cianciano, “ecco cosa siamo diventati” e così via. Ma io ricordo insulti tali e quali venti o dieci o trenta anni fa. A me l’Italia è sempre sembrata un posto pieno di smaniosi, per fortuna.