Un’alternativa ai neo-marxisti del PD
Il PD è in testa a tutti i sondaggi e il suo responsabile economico, nella sostanza non smentito dal segretario, afferma testualmente che l’Agenda Monti “non funziona” ed è la “meno adatta ad affermare le priorità della fase”. Affermazioni serie sul futuro del paese, su cui io, come gli altri promotori di Italia Futura, sono in netto disaccordo. Al contrario, le speranze dell’Italia di invertire il suo trend di declino economico ventennale passano per un approfondimento della agenda di questo governo, un approfondimento di legislatura, sostenuto da una maggioranza politica.
Ho l’impressione che la differenza di opinione non discenda da obiettivi divergenti: tutti vogliamo un paese più forte economicamente e più coeso socialmente, un welfare allargato e sostenibile, maggiori opportunità di lavoro e impresa. A fare la differenza è l’analisi sulle ragioni della crisi italiana che portano Fassina a sostenere proposte implausibili rispetto a quegli obiettivi. Innanziatutto la nostra afasia economica non dipende solo dalla crisi degli ultimi cinque anni: sono circa vent’anni che la nostra produttività è in declino. Secondo, se certamente le discipline di bilancio imposte dall’Unione Monetaria non erano sufficienti a garantire stabilità di lungo periodo, la tesi che attribuisce a quella disciplina la causa della crisi attuale è priva di fondamenta. In altre parole: la governance dell’Euro era imperfetta perché le mancavano dei pezzi, non perché sostenesse l’esigenza di bilanci in ordine nel medio periodo. Limitare il coordinamento tra gli Stati al rispetto di parametri quantitativi arbitrari ha infatti impedito di cogliere che, sotto quella parvenza, una serie di paesi approfittava della protezione garantita dall’Euro per evitare di risolvere le proprie questioni.
Quel che stupisce della situazione attuale, infatti, è che i problemi maggiori di paesi assai diversi come la Grecia, la Spagna, l’Italia, l’Irlanda, ruotano tutti attorno a un rapporto distorto e opaco tra economia e politica. In Grecia si sono truccati i conti pubblici per coprire le spese clientelari; in Spagna le casse di risparmio locali gestite dai politici hanno gonfiato la bolla edilizia e continuato ad alimentare il debito ben oltre il 2007-2008; in Irlanda una commistione inaccetabile tra politica e finanza ha scaricato sui cittadini il costo della crisi delle banche. In Italia, una politica priva di visione per il futuro del proprio paese ha approvato decine di riforme – costantemente confermate da successivi governi di centrodestra o centrosinistra – che hanno distrutto l’organizzazione economica della prima Repubblica senza configurare un modello nuovo, senza modernizzare il paese, e nella totale trascuratezza dei punti di forza del sistema produttivo nazionale.
Non c’è dubbio che molti commentatori, anche conservatori, suggeriscono oggi a Gran Bretagna e Unione Europea di allentare le morse dell’austerità che, in questo momento, sembrano controproducenti. Ma attribuire a quei commentatori la difesa delle municipalizzate di nomina partitica, la difesa irriducibile della pletora di enti decisionali, o – per evitare facili polemiche – il sistema di tassazione più ostacolante d’occidente, è una caricatura di quel dibattito che, al contrario, è estremamente pragmatico. Con pragmatismo allora ci si chiede quanto sia plausibile pensare di invertire il declino ventennale dell’Italia con investimenti pubblici finanziati da debito che può chiamarsi “Eurobond” ma sarebbe di fatto garantito dalla Germania? Quanto è realistico chiedere ai tedeschi di approvare politiche monetarie che ne riducano la loro stessa competitività così che l’Italia possa sfigurare meno nei mercati internazionali senza dover compiere la stessa fatica riformatrice che i tedeschi (e i danesi, e gli svedesi) hanno compiuto oltre dieci anni fa?
Proseguire l’Agenda Monti non significa dunque, come mostrato già ieri dalla prima riduzione dell’Irpef, vivere in uno stato permanente di austerità, come suggerisce la caricatura che ne compie la sinistra neo-marxista (che non è un insulto ma una semplice descrizione accademica). È al contrario passare dall’essere una democrazia infantile – in cui per ogni problema c’è un responsabile che non siamo noi, e una soluzione che viene da fuori – ad una democrazia adulta che si preoccupa innanzitutto di organizzare in maniera efficiente il modo in cui si fa economia.
Per fare questo non basta – anche se è necessario – liberalizzare i mercati che non lo sono e investire in formazione e ricerca: è fondamentale riformare il modo in cui lo Stato entra nei processi di produzione. Tasse e burocrazia sono ormai talmente pervasivi da essere diventati argomento di conversazione casuale come la pioggia o il solleone. Allo stesso modo, la risposta ai recenti fenomeni di corruzione locale non può essere solo di tipo morale, perché il ladrocinio può avvenire solo dove la discrezionalità ingiustificata è estesa. L’eccesso di discrezionalità che il potere politico – politico, non lo Stato che dovrebbe essere imparziale – esercita in continuazione in Italia, a differenza di qualunque degli stati europei dal più liberale al più coordinato, è il primo ostacolo da rimuovere per rimettere in grado l’Italia di crescere, e quindi svolgere un ruolo di traino nel consesso europeo.