Per essere felici
C’è un’orrida espressione usata a volte dagli uomini politici, più spesso i populisti di qualsiasi orientamento, che scelte lungimiranti vadano compiute “per il bene dei nostri figli”. Io credo invece che i figli vadano lasciati in pace, aiutati a crescere e mai nominati a sproposito, tantomeno per alleggerire le proprie spalle dalla responsabilità delle decisioni. Eppure, riflettere su questa espressione aiuta a chiarire un equivoco di fondo, in cui sembra essere intrappolata l’Italia, secondo cui esisterebbe una contraddizione irrisolvibile tra futuro e presente. Come se l’idea del futuro, la capacità di proiettare in un domani le cose che si fanno oggi, dunque modificandole, debba avvenire a spese della felicità dell’oggi. È invece esattamente il contrario: schiacciata sul presente la nostra vita individuale, e la gestione pubblica dello Stato e dell’economia, è senza slancio. Finiscono per essere gretta e ombelicale l’esistenza, corporative ed egoiste la politica economica e le scelte collettive che vengono compiute dalla società e nelle sue organizzazioni.
In questi giorni sono tornati a parlarsi, a discutere di produttività, sindacati, imprese, enti bancari, gli attori economici organizzati. Di questi tempi è una buona notizia anche solo l’inizio di un dialogo, ma le conclusioni sono purtroppo prevedibili: gli attori sociali sono qui, sono industriosi e spesso mietono successi, ma hanno bisogno di riforme che solo la politica può offrire. La mancanza di una visione della politica economica, che immagini l’Italia e la sua società nel futuro prossimo, è evidente ormai da venti anni nel panorama politico italiano. Emerge plasticamente nel dibattito generato da Marchionne e dal suo dinamismo. Per l’opposizione è ormai diventato antonomasia della globalizzazione cattiva, la stessa opposizione che porta ad esempio la politica economica di Obama, che invece ha ringraziato con enfasi l’Ad Fiat per aver contribuito a salvare (con i sindacati americani) l’industria dell’auto.
Il centrodestra ne ha fatto oggi l’idolo della sua retorica, ma solo per raccogliere un dividendo dallo scontro con la Cgil, dato che fino a pochi mesi fa denunciava come inaccettabili i suoi piani per Termini Imerese. È una politica arroccata e dalle scarse idee, che quindi risponde con improvvisazione alle scelte di un’azienda importante, senza avere alcuna proposta per facilitare il lavoro di chi produce, e ridurre i traumi sociali dei momenti di transizione economica. Le uniche parole che si odono sono corporative, di breve termine, ossessionate dalla difesa del presente, e di conseguenza cariche di astio sociale. Invece, l’unico modo per essere felici nel presente è pensare al futuro, e averne cura.
(5 Ottobre 2010, 1:58 GMT)