Viva il Valle
Era giugno. A Roma fuori si stava bene. E si iniziava a sentire dire dagli amici attori “Hanno occupato il Valle, hanno occupato il Valle”. Ah. Figo. E perché? “Perché il Comune di Roma lo vuole chiudere / perché il Comune lo vuole dare a Lavia. / Perché il Comune lo vuole dare a Baricco che lo vuole trasformare in un Bistrot / Perché il Comune lo vuole dare a Baricco che vuole farci un’altra Scuola Holden. / Perché lo Stato affossa la cultura / Perché il comune sta smantellando i teatri”.
Sono passati quasi sei mesi e continuo a non avere capito esattamente le ragioni per cui il Valle sia stato occupato. Sono tante, tutte giuste e tutte sbagliate assieme. Nelle rispettive diagnosi e nelle rispettive cure. Ovviamente è un mio parere. E non importa.
Quello che è successo in sei mesi è straordinario lo stesso. All’inizio mi sembrava un po’ la vecchia occupazione del liceo. Servizio d’ordine, un sacco di gente che veniva lì solo per passare la serata e cercare un alternativa ariosa al salottismo romano. Però poi l’organizzazione teneva, al di là dell’eccesso di zelo dei tanti volenterosi occupanti in cerca di un ruolo che gli permettesse finalmente di dire a qualcuno “Di qui non si passa! Non si esce da lì. Silenzio! Hai già firmato?”. Mi perdonino i miei amici, sto giocando.
Superato lo zelante sbarramento, ogni sera chiunque poteva e può ancora oggi gustarsi ore di rappresentazioni di grande prestigio e qualità, organizzate in modo ineccepibile e del tutto gratuite.
Io, che faccio da sempre colpevolmente parte della categoria degli scettici, ho pensato che una tale adesione da parte dei nomi della cultura si sarebbe esaurita presto, assieme allo slancio iniziale dei ragazzi occupanti. Invece non è successo. L’estate è passata e nulla è cambiato nei numeri e nell’intensità di quello che stava succedendo.
Il Valle Occupato oggi offre una delle programmazioni più libere, originali, variegate e moderne d’Italia. All’afflato iniziale i ragazzi hanno saputo integrare organizzazione e volontà e oggi le istituzioni stesse sono costrette a guardare a quel teatro storico, a due passi dai palazzi del potere, come a qualcosa da tutelare e da cui imparare qualcosa.
Quindi non importa se la maggior parte dei ragazzi è costituita da attori poco occupati, pieni di rancore verso un sistema che ha vanamente promesso loro una vita lavorativa gratificante. Un sistema che non verrà mai scalfito da questa occupazione, temo.
Ricordo Tootsie (1982), una delle prime scene, quando Dustin Hoffman dice ai suoi amici attori che a New York il 95% degli attori è disoccupato. È sempre stato così e sarà sempre così. Dice lui. Dico io. Quando fai l’attore lo sai che sarà così. Ci provi e speri che il sistema faccia di tutto per promuovere dinamiche trasparenti di ricambio e valorizzazione dei nuovi talenti. Ma lo spazio per tutti non c’è.
Continuo a pensare che la soluzione alla crisi della cultura in Italia non passi da scelte dall’alto, da finanziamenti a pioggia o da scelte assistenziali alle categorie artistiche. Credo che quella sia solo una parte del problema. Ma l’altra parte, cospicua, deriva dall’incapacità del teatro in primo luogo (non parliamo delle altre arti) di rinnovare il suo linguaggio e aprirsi a nuovi pubblici.
I ragazzi della serie web Freaks hanno reagito ad un sistema che non poteva che offrire loro, dei ragazzi di vent’anni, che qualche stage non pagato su un set a portare pizze bianche. Si sono fatti i loro canali su youtube, si sono messi insieme e hanno fatto una Serie da 10 milioni di contatti. E ora sono corteggiati da tutte le case di produzione italiane.
Ma anche l’occupazione attiva e propositiva del Valle è ricca di valore. Che a mio avviso non risiede tanto nella protesta in sé, che è incapace di generare pressione e si poggia su piattaforme rivendicative vecchie, fuori mercato e inutilmente radicali. Senza parlare della scarsa attitudine degli occupanti ad allargare la protesta di categoria a tutti i giovani in entrata nel mondo del lavoro. La mia personale idea è che la crisi salariale e occupazionale delle professioni creative non sia diversa né più grave rispetto a quella di tutte le professioni del terzo settore. E trovo che l’incapacità di coagulare il dissenso al di là delle appartenenze ideologiche e professionali sia quello che impedisce oggi all’Italia di avere un movimento coordinato e numericamente importante, in grado di fare pressioni reali sull’establishing politico.
E allora perché sto celebrando il Valle? Perché al di là della protesta, il suo modello di gestione vitalistico e vulcanico è una manna per il teatro stesso. Quando Paolo Rossi ci ha recitato ha detto di avere “capito il senso del teatro, quello primordiale”, stando là dentro. Ma sempre Paolo Rossi ha aggiunto una cosa intelligente: si tratta di un modello basato sul sacrificio di tutti, che porta necessariamente con sé una proposta di sviluppo culturale basata sul volontariato e l’hobbismo.
Una volta ho detto la parola “mercato” al Valle, mi hanno mangiato vivo. Ma non me la prendo. Sostengo il progetto e sono felice di condividere il primo “cortometraggio prodotto dal Valle”. Sette minuti alla Boris sul presunto funzionamento dei meccanismi di scelta delle case di produzione italiane. Che non siamo proprio così ma fa lo stesso.
Viva il Valle.
Per info e programmazione: www.teatrovalleoccupato.it/