A caccia di Bin Laden
Mi ha stupito che nessuno abbia messo in discussione il diritto del presidente degli Stati Uniti di firmare un ordine di omicidio. Per di più per un cittadino non americano. Per di più all’interno di un paese sovrano.
Solo la Chiesa ha osato dire che non si devono festeggiare i morti. Senza osare ricordare che non solo i morti non si festeggiano, ma non si dovrebbero nemmeno fare. Ho l’impressione che in queste ore stiamo assistendo ad una grande deroga collettiva alle nostre leggi, alla nostra etica. Una profonda rimozione collettiva temporanea.
In serata è arrivata una precisazione dalla Casa Bianca. Volevano prenderlo vivo. È stata legittima difesa. Ma tutto quello che è stato detto attorno ci fa capire chiaramente che non è stato così. È una bugia a cui tutti quelli che sono stati colpiti dall’amnesia vogliono credere.
Al di là degli aspetti più superficiali, credo che in questo frangente abbiamo tutti perso un’occasione. Una discreta occasione per dimostrare e riscattare il presunto valore del modello socio-giuridico occidentale, presso tutti quelli che nel mondo non fanno altro che notarne l’incoerenza e le ambiguità. Bin Laden è stato ucciso premeditatamente. Senza processo, senza un arresto. In totale deroga a quei valori e a quelle norme che si vorrebbero rendere potabili a tutto il mondo. E non c’è nulla che dia più fastidio che un potere che deroga a sé stesso, non appena le regole che ha costruito si dimostrano inefficaci affinché quel potere possa esprimersi efficacemente.
Certo. Se Osama bin Laden fosse stato arrestato e processato (dove poi? Stati Uniti? L’Aja? Patagonia?) ci sarebbe stato il rischio di attentati, sequestri di voli, manifestazioni e un ulteriore e dolorosa agonia di quel fondamentalismo che da ieri sera abbiamo improvvisamente scoperto dalle penne di tutti gli editorialisti non essere più da tempo il problema del mondo. E che poi tanto alla fine sarebbe stato condannato. E sarebbe stato condannato a morte. Però è così che facciamo noi. Arrestiamo, processiamo, condanniamo, eseguiamo. Anche se la sentenza è ovvia. Noi europei, da Beccaria in poi, ci fermiamo ancora prima. E nel fare così ci sembra di avere trovato un equilibrio, un compromesso tra il delitto e la pena, appunto. L’Habeas Corpus è in voga nel diritto anglosassone dalla fine del ‘600. Così, per dire.
Poi certo si può dire che in guerra ci sono altre regole. Che in una battaglia si spara al soldato avversario senza fargli prima un processo. E che in un mondo in cui non esistono più trincee e, per dirla con un luogo comune, si può nascondere una bomba atomica con una valigetta, non si sa più cosa sia guerra e cosa non lo sia. Sono saltate tutte le regole di ingaggio, le convenzioni di Ginevra e i punti della spesa.
Capisco quindi perché sia stata persa, ma lo stesso credo che quell’occasione sia stata persa. Lasciatemi dire che mi sarebbe tanto piaciuto che Bin Laden fosse stato catturato dai protagonisti di uno dei più simpatici diversamente lunghi che mi ricordi. Faceva parte del film 11 Settembre 2001, una bella operazione formata da 11 episodi da 11 minuti e 11 secondi, ognuno diretto da un grande regista di 11 nazionalità diverse.
Questo è il più fresco, il più ingenuo. Si chiama Burkina Faso (ogni episodio prende il nome dalla nazionalità del regista) ed è diretto da Idrissa Ouedraogo. Un gruppo di ragazzini scopre che Bin Laden si è nascosto nei sobborghi della loro città. E scatta la caccia, senza elicotteri però.
11 Settembre 2001 – Episodio Burkina Faso from Gennargenni SB on Vimeo.