L’alibi di Beethoven

Sicuramente l’aveva già detto qualcun altro nei decenni e nei secoli precedenti, ma io mi ricordo quando lessi quell’efficace argomento nei Barbari di Baricco: dico quello che ricorda che ogni epoca ha avuto i suoi allarmati o bigotti critici nei confronti del nuovo, e che vittime di quelle critiche furono cose che oggi consideriamo normalissime, o persino che consideriamo capolavori. Beethoven ai suoi tempi fu criticato, l’invenzione di Gutenberg generò allarme e censure, negli anni Sessanta si temevano gli effetti della tv sui bambini, eccetera.

E va bene. Sempre utile ricordarcelo. Ma direi che ormai ce lo ricordiamo, no? Ce lo siamo detto. Non passa giorno che non la legga da qualche parte, questa cosa: è espressa ancora con pretese di rivelazione mentre invece è diventato un cliché. È come se le banali e superficiali critiche retrograde nei confronti del nuovo o del generazionale fossero state ora rimpiazzate da banali e superficiali obiezioni a quelle critiche: e il paternalismo in difesa dei “giovani” e dei loro gusti è noioso quanto il paternalismo che li critica con sufficienza: è come se le due reazioni si fossero divise il campo della superficialità banale, paternalismo generico contro il nuovo e paternalismo generico in difesa del nuovo. Prescindendo dal fatto che il nuovo delle volte è apprezzabile e delle volte no. (Segue)

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).