Nasciamo Vannacci, è il dopo che conta
Stamattina, leggendo la Stampa, sono arrivato a due articoli a due pagine di distanza l’uno dall’altro. Uno era del direttore, che non ho mai conosciuto e di cui leggo alcune opinioni solo dal poco tempo in cui è direttore e in cui le esprime con frequenza. L’altro era un’intervista a Fabio Concato, che non ho mai conosciuto e delle cui canzoni non sono mai stato un grande fan. Dico le due cose rispettosamente, solo per sostenere – anche con me stesso – che non ho ragioni pregiudiziali favorevoli nei confronti di quello che possano dire Malaguti o Concato. Ma li prendo solo come ennesimi esempi ravvicinati di una delusione assai diffusa: Concato dice che “in questa Italia non c’è niente che mi rappresenti realmente”, Malaguti scrive di “masse inquiete, senza una bussola”, della sparizione del “popolo responsabile”. (segue)