L’architettura e il potere nei ritratti di Ghitta Carell
C’è Marcello Piacentini fiero nella sua “armatura” da accademico d’Italia. Giuseppe Pagano ti scruta intenso e malinconico, il volto immerso in un chiaro scuro sfumato e intimo. Angiolo Mazzoni, con gran Borsalino bianco e pizzetto che guarda lontano. Marcello Canino e Piero Portaluppi, entrambi eleganti nei loro completi sartoriali, mano lievemente appoggiata sotto la giacca in posa napoleonica. Mario Ridolfi, un viso antico, grosso segnato da un ciuffo ribelle e dal mento marcato. E ancora Giovanni Michelucci, Adalberto Libera, Giuseppe Vaccaro, Eugenio Montuori, Ernesto Lapadula, Gaetano Minnucci, Armando Brasini, Clemente Busiri Vici.
Muoversi tra le sale della rinata Fondazione Portaluppi in visita alla mostra dedicata alla fotografa Ghitta Carell vuol dire fare un viaggio inaspettato e intenso tra le pieghe dell’architettura italiana degli anni Trenta, scrutando i volti orgogliosi e compiaciuti di molti dei suoi protagonisti.
Questo racconto prezioso ha come narratore e curatore Roberto Dulio, giovane storico dell’architettura che da alcuni anni ha smarcato i limiti tradizionali della disciplina e dei suoi abituali campi di ricerca per dedicarsi inaspettatamente allo studio di una delle protagoniste obliate della cultura fotografica italiana del Ventennio e dell’alta società che in parte lo rappresentava.
Il primo risultato è stato un piccolo, interessante volume curato da Dulio sulla vita e le opere della Carell pubblicato recentemente da Johan & Levi (Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell, Milano, 2013), a cui è seguito questo prezioso evento elegantemente allestito da Alessandro Scandurra, neo-direttore scientifico della Fondazione milanese.
I ritratti esposti non rappresentano un panorama esaustivo dell’architettura moderna italiana di quegli anni, tranne Portaluppi manca, ad esempio, tutta l’ala razionalista milanese e comasca come Terragni, Lingeri, Figini e Pollini, i BBPR, i protagonisti della stagione Novecentista come Muzio e il presentissimo Ponti.
Ma non era obbiettivo della Carell collezionare gli attori principali di questo mondo, quanto, piuttosto, molti di questi autori ambirono a essere ripresi da una delle fotografe più esclusive e alla moda di quegli anni, nota per i suoi celebri ritratti di Mussolini, del Re d’Italia e della sua famiglia, oltre che di alcuni dei protagonisti più noti dell’aristocrazia romana.
Come ci ricorda Dulio nella sua acuta introduzione nel “catalogo da viaggio” che si raccoglie progressivamente nella mostra, ben pochi erano gli architetti che potevano permettersi le 2000 lire per il costo del servizio fotografico e delle due stampe, mentre molte delle scelte effettuate dalla Carrel erano piuttosto legate a una sua strategia complessiva di avvicinamento di alcune delle personalità più in vista ed influenti sulla scena politica romana, come testimonia, ad esempio, la stretta relazione e i tanti ritratti fatti a Marcello Piacentini.
Ma uno degli elementi di maggior interesse che colpisce attraversando la mostra riguarda la costruzione coerente delle immagini da parte della Carell con una rilettura attenta della ritrattistica rinascimentale italiana e, insieme, con uno sguardo particolare alla scena hollywoodiana, alla sua iconologia abbagliante e a quel maestro figurativo che è stato Walt Disney.
Nelle schede che accompagnano una veloce, ma intelligente analisi di ogni ritratto, Dulio cerca di ricomporre alcuni dei riferimenti visivi più evidenti mescolando i generi e sorprendendoci con citazioni che vanno dal Bronzino a Biancaneve, con un atteggiamento culturale che oggi potremmo quasi definire post-moderno.
Camminare per le sale della Fondazione Portaluppi incrociando gli sguardi orgogliosi e consapevoli di una generazione di architetti che nel Regime aveva trovato lavori, occasioni importanti e notorietà, e che attraverso questi ritratti cercava di fissare una precisa iconografia del suo primato culturale.
E nella parete a fianco ritrovare Benito Mussolini in abiti civili, completo bianco ed espressione seduttiva, Margherita Sarfatti, la musa della prima modernità all’italiana e protettrice della Carel, Maria Josè di Savoia dalla bellezza glaciale come una diva del cinema muto, a Edda Ciano Mussolini in un ritratto familiare “ufficiale” costruito con grande maestria, fino a un inaspettato Walt Disney, arrivato a Roma nel 1935 per incontrare, inutilmente, il Duce.
Questa sequenza di volti e posture congelate in una luce innaturale e morbidissima ci restituiscono per un attimo le fragili atmosfere di un mondo di specchi, illusioni e potere che da lì a poco sarebbe miseramente naufragato. Ma questi ritratti sembrano sopravvivere al giudizio della Storia e ci aiutano ad aggiungere un altro frammento a una narrazione più trasversale e problematica del ‘900 che ha bisogno di mostre e di ricerche di questo spessore.