Storie di case nell’Italia del boom
Una torre “molto signorile” vista parco, un isolato residenziale per dipendenti Montecatini, un “fortino” di belle palazzine immerse nel verde, il complesso “Sky residence” e un grattacielo “fronte collina” ai margini della periferia urbana, un quartiere di villini “quasi” in campagna e una comunità di abitazioni per professionisti “a pochi passi dal centro città”, palazzine di cooperativa e un complesso con piscina nel cuore di un quartiere popolare.
Attraversare le 23 “storie di case”, questo è il titolo del bel volume curato da Filippo De Pieri, Bruno Bonomo, Gaia Caramellino e Federico Zanfi (Donzelli ed., 2013), tutte costruite tra Torino, Milano e Roma durante il boom economico, è come leggere una parte importante della nostra storia recente e ci permette di ritrovare molti di quei frammenti minuti di vita quotidiana che hanno significato la trasformazione radicale dei nostri paesaggi e della nostra società.
Ma se cercassimo tra questi episodi elementi di eccezionalità o il tocco di genio di qualche grande autore rischieremmo di rimanere molto delusi, perché questo diorama imperfetto di storie d’architettura guarda esattamente dalla parte opposta, verso quell’immenso “paesaggio ordinario” di palazzine, villette, residenze costruite per la classe media nelle tre metropoli più rappresentative del nostro secondo dopo-guerra e che, ancora oggi, costituisce un patrimonio edilizio enorme, pari al 55% dello stock abitativo disponibile.
La sfida culturale dei 21 giovani ricercatori e studiosi di Storia dell’architettura e della città e di Storia Contemporanea che hanno scritto le storie raccolte nel volume è infatti quella di aprire finalmente una stagione di ricerche su uno dei capitoli più ingombranti e paradossalmente meno studiati della nostra storia recente: i luoghi dell’abitare della borghesia italiana.
Si tratta di un capitolo rimosso dalle nostre storie dell’architettura, che hanno censurato quell’enorme patrimonio edilizio che stava disegnando la forma e l’immagine diffusa delle nostre città, liquidandolo come costruzioni senza alcuna qualità prodotti di una brutale speculazione edilizia.
Forse, in parte, tutto questo è vero ed è ascrivibile allo choc di chi ha visto le nostre città e campagne devastate da una crescita che non ha conosciuto pari nella storia del nostro Paese. Ma è altrettanto vero che questa enorme massa di costruzioni materializza i desideri e le aspirazioni di una classe sociale che ha rappresentato uno dei motori economici e simbolici più potenti della nostra storia recente, trasformandoci nel Paese europeo con il più alto numero di proprietari di case.
Ognuna di queste “storie” racconta con chiarezza quell’aspirazione anche ingenua alla “modernità”, a un tenore di vita migliore che si proiettava nell’acquisto di case caratterizzate da “finiture di pregio”, oggetti “moderni”, belle portinerie, giardini protetti, servizi dedicati e confort, a simboleggiare la tensione a uno stile di vita lontano dagli stenti della guerra e dell’immediata ricostruzione.
Sotto questo punto di vista, il libro rappresenta un’assoluta novità nello scenario nazionale.
Innanzitutto è il risultato di un progetto di ricerca portato avanti da un folto gruppo di giovani, promettenti studiosi di tre distinti Atenei (Politecnico di Torino e Milano, Sapienza di Roma) grazie a una borsa FIRB (programma Futuro In Ricerca), a dimostrazione che senza adeguate risorse non è possibile dar vita a studi rigorosi e di valore.
La vera novità sta, però, nella sfida metodologica e nella scelta del soggetto di studio: cercare di raccontare un patrimonio residenziale sconosciuto attraverso strumenti non tradizionali, capaci di rendere conto della ricchezza delle storie analizzate.
Ed ecco allora che, ai materiali d’archivio, si sovrappongono le voci di abitanti, progettisti e impresari, raccolte in decine d’interviste, oltre che un inedito patrimonio di fotografie amatoriali d’epoca che sono ben integrate da un lavoro specifico portato avanti con grande sensibilità da Stefano Graziani.
Le storie che leggiamo in questo volume, una dopo l’altra, in un continuo, curioso contrappunto tra le voci vive dei protagonisti, le immagini sbiadite d’interni domestici e di brochure pubblicitarie, e l’interpretazione storico-critica degli autori, ci restituiscono un atlante frammentario del nostro recentissimo passato che è oggi il nostro presente. Non solo: sollevano il problema di come studiare e narrare una contemporaneità che appare sempre più complessa e sfuggente.
Le voci e i desideri raccontati dalle giovani coppie alla ricerca della prima casa, da coloro che in quegli anni erano liberi professionisti, dirigenti, casalinghe, giornalisti, figli d’operai che dopo l’università cercavano il salto sociale, ci offrono anche frammenti di una classe media complessa nella sua composizione, stratificata nelle aspirazioni a una vita solida, tranquilla, discreta, protetta, primo stadio di quella “individualizzazione” della nostra borghesia che ha visto il suo apice nei due decenni appena trascorsi.
Si tratta di voci e desideri che suoneranno familiari a tanti di noi, e che erano stati indagati negli anni dalla letteratura e dall’arte contemporanea in nome di un ritorno all’intimacy che rappresentava un primo tentativo di guardare senza moralismi al mondo di quella maggioranza silenziosa che ha segnato l’Europa del dopo-guerra.
Sarebbe sbagliato, infatti, guardare a questo volume come a un semplice libro di storia dell’architettura, perché quello che viene rilevato da questa complessa ricerca è anche lo stato d’invecchiamento di questo ingente patrimonio edilizio, i problemi economici che oggi comporta, le sollecitazioni esercitate da una società che sta cambiando profondamente. Ogni “storia di case” si conclude con la situazione attuale mostrando la tensione, fisica e sociale, a cui tutte queste architetture sono inevitabilmente sottoposte sotto la pressione di una realtà che sta cambiando profondamente.
Come scrive giustamente De Pieri nell’introduzione “le case del boom rappresentano una sfida e una risorsa, un punto di passaggio per immaginare un possibile futuro urbano”. Credo che proprio questo sia un ulteriore, importante contributo che il libro ci offre e che punta dritto al cuore malato di molte nostre città in attesa di soluzioni diverse e sostenibili.