Parlare del futuro, oppure realizzarlo
La settimana scorsa il Consiglio Europeo ha «preso atto» delle conclusioni raggiunte dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, che si era chiusa il 9 maggio dopo circa un anno di lavori. Capita spesso che l’Unione Europea cada nella tentazione di usare nomi altisonanti per iniziative ben più modeste, col risultato di generare aspettative irrealistiche destinate puntualmente a essere deluse. “Il futuro dell’Europa” è un tema enorme e che ci riguarda tutti: e allora perché la Conferenza sul futuro dell’Europa non ha interessato quasi nessuno, e nessuno sembra prenderne sul serio i risultati?
L’iniziativa era stata lanciata dal presidente francese Emmanuel Macron nel marzo 2019. Usciti da un decennio di crisi per l’Ue, sembrava che fosse arrivato il momento di ravvivare il progetto di integrazione europea: prendersi un momento di riflessione, e ripartire con qualche idea nuova. Poteva anche starci – se non che nel frattempo sono scoppiate la pandemia e la guerra in Ucraina, e s’è capito che il futuro sono in buona parte cose che ti cadono addosso, non lo disegni a tavolino con una conferenza.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, sappiamo peraltro già da moltissimo tempo quello che servirebbe per renderla più incisiva, coesa, efficace – a partire dal superamento del principio di unanimità, oppure dalla riforma del sistema di asilo. Più che nuove idee, per dare all’Europa un futuro migliore, servirebbero azioni concrete.
E invece la Conferenza sul futuro dell’Europa doveva servire a far emergere idee innovative e brillanti dai “cittadini”. Lasciamo da parte i politici di professione, i gruppi di interesse e le élites di vario tipo, e sentiamo cos’hanno da dirci individui letteralmente estratti a sorte, in buona parte giovani. Lo si poteva immaginare anche dalla povertà delle proposte elaborate dal Movimento 5 Stelle in Italia: tende a uscire poco da persone di passaggio, prive di esperienze rilevanti o doti significative – e, nel caso della Conferenza, pure del tutto estranee l’una dall’altra.
Non è quindi sorprendente che molte delle proposte uscite dalla Conferenza sul futuro dell’Europa siano molto generiche o piuttosto trite. Difficile trovarsi in disaccordo, difficile rimanerne colpiti. Nella sua reazione ai risultati della Conferenza, la Commissione Europea dichiara un certo entusiasmo, ma poi fa notare con signorilità che su gran parte delle idee avanzate dalla Conferenza esistono già norme europee in vigore o in corso di discussione – sono solo una manciata i punti su cui la Commissione si riserva di prendere nuove iniziative in futuro.
Nel documento finale della Conferenza si dice molto poco su alcune questioni che pure influenzeranno il futuro dell’Europa, dall’euro all’allargamento, fino ai rapporti con la Cina o l’Africa. E va bene così: non si può chiedere a cittadini qualunque di avere idee articolate, ponderate e originali su ogni possibile argomento.
L’alternativa non sta nel lasciare tutto nelle mani di funzionari, partiti, consulenti e gruppi di interesse, ma coinvolgere – a fianco delle persone qualunque, che devono poter disporre di canali per farsi sentire – cittadini selezionati, cioè appassionati o esperti di un determinato tema. Vuol dire aprire ulteriormente alla società civile il processo con cui si formano le politiche europee: coinvolgendo la casalinga di Voghera quando si parla di temi su cui ha qualcosa da dire, e ascoltando invece attivisti, impallinati dei più diversi temi e membri di comunità, associazioni e movimenti quando hanno dei contributi rilevanti da dare.
In parte l’Unione europea questo già lo fa, invitando una miriade di soggetti a contribuire alla preparazione delle sue nuove politiche, con un processo più aperto e trasparente rispetto a molti stati – anche se non tutti lo sanno e pochi ne approfittano. Il riordino e la promozione di questi canali di partecipazione civica saranno uno dei risultati concreti prodotti dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, e potrebbero dare un contributo a migliorare l’Ue.
Ma per cambiare l’Unione Europea non bastano nuove procedure, e non c’è nemmeno particolare bisogno di nuove regole o idee. Come mostrano ad esempio i giudici della Corte suprema degli Stati Uniti o Mario Draghi, il futuro lo plasmano innanzitutto le persone che si trovano nella posizione di farlo, che non sono intercambiabili. Uno dei problemi più grossi dell’Ue è che da tempo i ruoli più incisivi sono in mano a persone che non hanno abbastanza forza o audacia per produrre cambiamenti concreti. La Conferenza sul futuro dell’Europa questo non lo poteva dire: ma una buona strategia per garantire all’Ue un futuro migliore è darla in mano a persone in grado di costruirlo davvero.