Quattro mesi in Finlandia
Sono arrivato a Helsinki l’ultima domenica di luglio. La città era luminosa e deserta, erano tutti in campagna a grigliare. In stazione tre ragazzi asiatici abbracciavano soddisfatti i loro nuovi acquisti, dei grossi ippopotami di peluche. Mi sembrava un souvenir bizzarro, ma solo perché non ero mai stato in Finlandia. I finlandesi si aspettano che uno straniero conosca poco del loro paese, ma danno per scontato che conosca i Mumin. Oltre ad avere un parco a tema dedicato, questi ippopotami bianchi popolano perfino alcune ceramiche dell’altrimenti serissima Iittala, l’azienda che produce i vasi di Alvar Aalto.
E invece prima di trascorrerci quattro mesi della Finlandia non conoscevo nemmeno i Mumin. In effetti la Finlandia e l’Italia hanno avuto poche occasioni di incrociarsi nel passato, e ancora oggi gli scambi bilaterali sono scarsi – come indica anche solo la scomodità dei collegamenti aerei. Si incontrano pochissimi finlandesi in Italia, e pochissimi italiani in Finlandia. Così come noi conosciamo poco i Mumin, lassù la conoscenza dell’Italia è piuttosto sommaria e tende a ridursi a qualche immagine sulla Toscana e Venezia; pure il calcio e la moda sono molto lontani. Le uniche eccezioni sono Don Matteo, trasmesso dalla TV pubblica a ora di cena, e le fantastiche cover finlandesi di grandi classici della canzone italiana.
Come sempre quando la conoscenza è sommaria tocca appoggiarsi agli stereotipi, ma ai finlandesi non va troppo male. Una serie di stereotipi positivi li accomunano ai popoli scandinavi e richiamano un mondo idilliaco fatto di natura, stato sociale, nuove tecnologie e paciosità – un mondo al riparo dallo stress, dalle ingiustizie e dalle tensioni del nostro tempo. I finlandesi si ritrovano addosso però anche una serie di stereotipi negativi, legati soprattutto all’alto tasso di suicidi, all’alcolismo e al buio. Ma come sempre gli stereotipi raccontano solo una parte della storia, quella più originale, mentre lasciano in ombra tutto ciò che è ordinario.
Certo, in Finlandia gli echi del terrorismo e delle migrazioni arrivano molto smorzati – è un posto al riparo da tutto, anche i nostri terremoti da lì sembrano impensabili. La sola preoccupazione è legata alle tensioni con la Russia, che pure sono un problema serio. Ed è vero che la società finlandese è ancora parecchio uniforme, da molti punti di vista. Quando a settembre sono arrivati gli studenti del primo anno, ai colleghi che mi chiedevano un’impressione ho risposto che mi sembravano tutti così biondi. D’altra parte, quel giorno il dipartimento li accoglieva con un barbecue di benvenuto e i professori ordinari stavano lì a rigirare salsicce per le matricole: l’eguaglianza nordica fatta salsiccia.
È vero che in Finlandia il wifi va velocissimo e i contanti sono scomparsi – pure chi fa l’elemosina s’è dovuto adattare, ormai gli spiccioli non li chiede più nessuno. Ed è vero che la natura è ovunque, anche se in realtà il Baltico è molto inquinato e l’ambientalismo si declina in modi diversi dal nostro (sì al nucleare, sì agli inceneritori, sì alla caccia). Però è vero anche che la crisi economica si fa sentire, il disagio sociale si vede. E non tutto è straordinariamente moderno e efficiente: la metropolitana di Helsinki non è messa molto meglio di quelle italiane, e anche lì col freddo i treni si bloccano. Gli studenti finlandesi dominano le classifiche internazionali, ma si laureano tardissimo.
Così come gli stereotipi positivi non sono del tutto accurati, non lo sono nemmeno quelli negativi.
A chi mi chiede come ho trovato i finlandesi, tendo a dire che sono dei gran bravi ragazzi. Persone tranquille, gentili e ironiche, nient’affatto misantropi depressi. Certo, occorre un po’ di tempo per capire come comportarsi in alcune situazioni – soprattutto quando c’è da rompere il ghiaccio, che decisamente non è il loro forte, oppure per sedersi su un mezzo pubblico senza causare imbarazzi agli altri passeggeri.
C’è poi in Italia l’idea che lassù faccia un freddo e un buio incredibili, estate a parte. In fondo nelle città non è terribile, c’è modo di attrezzarsi. Oltre alle saune – davvero ovunque – in autunno alcuni sfoderano lampade iper-luminose che fungono da sole artificiale e “sorgono” e “tramontano” a orari umani. Del resto c’è un po’ di ossessione per il buio: per strada tutti indossano pendagli catarifrangenti, e a volte braccialetti lampeggianti di dubbio gusto – a un certo punto in Lapponia hanno pure provato a dipingere di vernice catarifrangente le corna delle renne (investire un animale è il maggior pericolo per i guidatori). Sembra però che le renne non abbiano apprezzato.
Da agosto a dicembre ho fatto ricerca e insegnato all’università di Turku, la vecchia capitale del paese. Come prima e come ora, mi sono occupato di politica estera europea. La Finlandia è un posto interessante da cui guardare all’Europa contemporanea: un posto non scontato, collocato ai margini, su in un angolo dove è difficile passare per caso. Un paese legato per secoli alla Russia e rimasto in bilico durante la guerra fredda, entrato nell’Unione Europea solo da una generazione, con un sentimento di orgoglio nazionale molto forte ma anche piuttosto risolto.
Quando i finlandesi scherzano su sé stessi, vanno quasi sempre a parare su questo gran sentimento nazionale, oppure sul loro senso del dovere – e spesso sulle due cose assieme. L’austerità e il rigore luterano in effetti sono un pezzo importante dell’identità nazionale. Quando in estate impazzavano i Pokemon, gli anziani brontolavano perché era un passatempo improduttivo: i ragazzini avrebbero piuttosto dovuto andare nei boschi a raccogliere funghi e frutti, quello sì che sarebbe stato un buon uso del tempo. E del resto il design finlandese è minimalista, i palazzi sono spogli, i colori delicati, pure le decorazioni natalizie sono misurate.
La preoccupazione per la reputazione personale è tale che esiste un parola specifica per indicare il sentimento che si prova quando ci si vergogna per conto d’altri. Il senso del dovere e la responsabilità individuale stanno al centro del modo in cui i finlandesi si raccontano, e in effetti capita di osservarlo. E può anche capitare di subirla, questa responsabilità individuale: i pedoni che attraversano col rosso rischiano una multa di 80 euro, per dire. (Ma la corruzione, gli scandali e la pigrizia esistono anche in Finlandia, non è un ingranaggio perfetto e implacabile.)
Da una prospettiva europea, è abbastanza sorprendente che paesi con regole e culture diverse riescano a fare delle cose assieme, pur conoscendo poco gli uni degli altri. Durante la crisi dell’euro i finlandesi Olli Rehn e Alex Stubb erano tra i più duri contro l’Italia e la Grecia, ma l’impressione è che non ci fosse nulla di “cattivo” nel loro atteggiamento – osservavano semplicemente dei codici normali nel loro paese, senza sapere molto della realtà sociale mediterranea. Si fa fatica a cogliere le complessità della società europea restandosene a casa propria o spostandosi al massimo tra Bruxelles e le grandi capitali: passare del tempo in un qualche angolo diverso d’Europa farebbe bene, soprattutto ai politici e agli osservatori.
Fa bene anche rendersi conto che al di là delle differenze in fondo esiste un patrimonio comune. È grazie a quel patrimonio che pure un italiano non si sente fuori posto in una giornata sottozero da qualche parte su nel Baltico. Nei quattro mesi che ho trascorso in Finlandia c’è stata una sera in cui sì, un italiano sarebbe rimasto perplesso. Amici finlandesi mi avevano invitato a cena, in una bella casa piena di candele e mobili modernisti, con un vinile che suonava. Tutto elegante e impeccabile, finché non hanno portato in tavola un cartone di vino e hanno cominciato allegramente a versarlo in un decanter di design, «perché dai, fa più elegante». Il vino da sagra nel decanter era una mossa che non m’aspettavo: ho pensato tutta la sera a questo video.