Facciamo un museo del Novecento?
Nell’ultimo decennio molti paesi occidentali hanno fatto i conti con aspetti scomodi del loro passato, e hanno segnalato questo sforzo – tra gli altri modi – costruendo dei musei. Un museo sullo schiavismo a Liverpool, uno sull’immigrazione a Parigi, uno sulla storia degli ebrei a Varsavia, un nuovo museo sull’Africa centrale a Bruxelles. A Washington sta per aprire un museo sulla storia degli afroamericani, a Danzica stanno costruendo un grande museo sulla seconda guerra mondiale, e pure in Spagna stanno discutendo se creare un museo sulla guerra civile.
Passati settant’anni o anche più, si dovrebbe essere in grado di mettere a punto una memoria comune anche sugli eventi che hanno diviso più in profondità un paese. Dovrebbe essere possibile realizzare una riconciliazione: non si tratta di cancellare le differenze e affermare una visione univoca della storia, ma di ricucire un consenso, riconoscere le responsabilità, vedere la complessità che si nasconde dietro ai miti di ciascuno.
Diventa possibile farlo quando i protagonisti di quei fatti stanno ormai scomparendo, e quando un paese è sufficientemente maturo e sicuro di sé da potersi permettere di affrontare anche gli aspetti sgradevoli e controversi del proprio passato. Molti dei musei storici creati negli ultimi anni sono stati pensati come musei “internazionali”: non servono a rafforzare le mitologie patriottiche, ma servono in un certo senso a metterle in discussione. Cercano di collegare, confrontare, contestualizzare. Non è sempre facile, come mostrano le grandi polemiche in Polonia per il nuovo museo di Danzica.
I periodi controversi non mancano nemmeno nella storia italiana, ma facciamo ancora abbastanza fatica a farci i conti. Affolliamo i festival di storia e rilanciamo i musei, ma non discutiamo di nuovi musei storici nazionali – con l’eccezione del museo del fascismo di Predappio (ci arrivo). Eppure sarebbe molto utile costruire un museo del Novecento, che ci costringa a fare i conti con alcuni pezzi del nostro passato – e che ci aiuti a farlo.
Alcuni aspetti della storia italiana recente sono completamente rimossi dalla nostra memoria, come il colonialismo: il museo di Roma sulle nostre ex colonie è chiuso dal 1971, mentre oggi sarebbe utile poter mettere in prospettiva le vicende della Libia e dell’Eritrea. Al contrario, altri aspetti sono fin troppo vivi. Invece di lasciarli tranquilli, si gioca ancora a schierare i partigiani nella quotidianità politica: forse potremmo guardare alla Resistenza con un po’ più di distacco (e di rispetto).
In Italia esiste un’ampia rete di attori e organizzazioni che si occupano di memoria, ma lo fanno soprattutto su scala locale e a volte in modo un po’ effimero, come accade con le mostre e gli anniversari. I musei nazionali dovrebbero servire a collegare e rafforzare queste esperienze, rendendole meno isolate. Qua e là in effetti si prova a costruire una memoria comune di certi aspetti della nostra storia: a Genova l’emigrazione, a Ferrara l’ebraismo e la Shoah, mentre a Mestre stanno costruendo un museo sulla società e la cultura del Novecento – ma sono progetti ancora limitati.
In occasione del 150° anniversario dell’unificazione, Andrea Carandini ed Ernesto Galli della Loggia proposero di costruire un museo della storia d’Italia. Sarebbe potuto uscirne qualcosa di simile all’ottimo Deutsches Historisches Museum, ed è un peccato che il progetto si sia perso. Però forse è stato meglio così, sarebbe anche potuta uscirne una sfilata retorica e pomposa di santi, poeti e navigatori, magari addirittura al Quirinale.
Nei mesi scorsi ha cominciato a circolare l’idea di costruire un museo del fascismo a Predappio. L’idea è buona, la genesi e il posto un po’ meno: non si costruisce un museo nazionale perché un sindaco non sa che farsene di un edificio. Ma soprattutto sarebbe utile slegare il fascismo dalla vicenda personale di Mussolini, inquadrandolo invece nel più ampio contesto nazionale e internazionale, così come stanno facendo all’estero con le loro storie – un’operazione che sarebbe più facile fare a Milano o a Roma.
Sarebbe in effetti più interessante ragionare su un museo che guardi al Novecento italiano nel suo complesso: un museo che offra l’occasione per affrontare anche altri nodi, fissare un po’ di punti, e fare tutti assieme qualche passo avanti sul colonialismo, il fascismo e l’antifascismo, il terrorismo, il divario Nord/Sud e lo stato della repubblica. Un luogo che non si limiti a mostrare reperti nelle vetrinette, ma che faccia ricerca, divulgazione e dibattito in modo serio e moderno. Uno strumento che aiuti a rivivere la storia, staccandola però dalla polemica politica, dalle ricorrenze e dalle mitologie. La storiografia sarebbe già pronta, e l’opinione pubblica pure.