La parola dell’anno
Quest’anno a Oxford si sono divertiti molto, e hanno deciso che la parola del 2015 fosse una faccina che ride un sacco. Ma nel mondo là fuori, non è che negli ultimi mesi ci siano state moltissime occasioni per ridere fino alle lacrime. Per tenere assieme molte delle cose successe quest’anno magari c’è una faccina, ma di sicuro c’è (almeno) una parola: confini. Se n’è parlato davvero tanto: rifugiati che attraversano confini, stati che fortificano confini, elettori che vogliono spostare confini, eserciti che li spostano davvero, terroristi che si spostano tra confini.
Confini scompaginati. Tranne Israele e la Palestina, gli stati e le frontiere del Medio Oriente se ne stavano immobili da cent’anni. L’ISIS è il primo movimento terrorista che vuole scompaginare i confini di un’intera regione. In Europa e altrove, gli altri terroristi hanno sempre cercato di influenzare un governo, di colpire una classe dirigente, al massimo di staccare un pezzo di paese – e infatti si chiamavano brigate, nuclei, fraktion, esercito. Questi invece si chiamano “stato” e non cercano solo una secessione: hanno intenzione di rimescolare a fondo i confini del Medio Oriente.
Confini che non esistono più. Le potenze coloniali amavano tracciare linee rette nel deserto, confini che rendevano il mappamondo più ordinato. C’è sempre stata una differenza tra il mappamondo e il mondo reale, ma oggi quella differenza è più ampia che mai, soprattutto in Medio Oriente. I confini tradizionali di Siria, Iraq e Libia resistono solo sulle cartine: i confini reali corrono dentro, oltre e attraverso quelli formali. Gli stati falliti non sono più una cosa lontana che sta in Somalia o in Afghanistan, ormai stanno a duecento chilometri da noi.
Confini che non funzionano più / 1. Sia prima che dopo gli attentati, i terroristi del 13 novembre hanno saltellato qua e là per l’Europa, mentre la polizia e i servizi che li rincorrevano dovevano fermarsi alle frontiere del proprio stato. Non è solo un problema di scambio di informazioni, il problema è che quelle frontiere sono ormai inadeguate. Il Belgio è uno staterello più piccolo di molte città del mondo: di fronte al terrorismo internazionale, le risorse della sua polizia assomigliano più a quelle dei vigili urbani che a quelle della CIA.
Confini che non funzionano più / 2. S’è parlato parecchio di Molenbeek e delle assurde divisioni amministrative del Belgio, ma anche Parigi ha grossi problemi di confini: smettere di pensare al boulevard périphérique come margine della città è stata una delle mosse migliori della presidenza Hollande. Per altre ragioni, negli scorsi mesi anche Roma ha mostrato di avere un problema di confini. Un problema per certi versi opposto a Bruxelles e Parigi: un comune decisamente troppo grande e incasinato per poter essere governato solo da un sindaco e qualche assessore.
Confini rimessi in piedi. Spezzettare i confini è stata la risposta istintiva dell’Europa all’arrivo massiccio di profughi cominciato negli scorsi mesi. L’integrazione europea non è mai proceduta in modo lineare, ma non era mai accaduto di veder arretrare così clamorosamente uno degli elementi centrali dell’Unione, la libera circolazione delle persone. Rispetto a un anno fa, gli stati dell’UE sono oggi divisi da confini molto più forti – in alcuni casi letteralmente fortificati. E a sua volta è diventata molto più netta la delimitazione tra l’UE e quello che le sta accanto, la Russia e la Turchia.
Confini da mettere in piedi? I confini di Gran Bretagna e Spagna sono in assoluto tra i più antichi in Europa, ma alle elezioni di maggio gli indipendentisti scozzesi hanno vinto 56 seggi su 59, mentre a novembre il parlamento catalano ha approvato una dichiarazione per l’indipendenza.
Poi c’è il Regno Unito che nei prossimi mesi potrebbe separarsi dall’UE, mentre in Medio Oriente non s’era mai arrivati così vicini alla nascita del Kurdistan. Se uno pensava che i confini fossero gradualmente destinati a cadere deve ricredersi, a quanto pare sta succedendo il contrario.
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Ci sono tanti modi per interpretare quello che sta succedendo in questa parte di mondo. Lo si può guardare da una prospettiva ideologica, religiosa, geopolitica, economica. C’è un altro modo per collegare gli sconvolgimenti in corso in Europa e in Medio Oriente, ed è vederli come una crisi dei confini disegnati nel Novecento (o pure prima). Confini ostinati e inadeguati, non più in sintonia con la realtà, che diventano loro stessi oggetto di conflitti.
Non è però una crisi delle frontiere e degli stati in quanto tali. In teoria l’ISIS potrebbe giocare col panislamismo e col panarabismo, e invece è molto attaccato all’idea di stato e ai suoi simboli più classici, dalla bandiera ai passaporti, fino alle targhe automobilistiche. In Europa si potrebbe giocare con l’europeismo, e invece moltissime persone mostrano di essere attaccate con grande forza ai loro stati e alle loro identità nazionali o regionali.
C’è chi pensa che per tornare al mondo pulito e colorato dei mappamondi sia sufficiente pattugliare di più le frontiere e aggiustarne qua e là il tracciato, magari disegnando stati etnici come cent’anni fa. Forse nel breve periodo funziona pure, ma in realtà non basta ripensare determinati confini: servirebbe ripensare l’idea di confine – un’idea nata in un mondo ormai scomparso, dove non c’era internet e non c’era la globalizzazione.
Negli ultimi decenni qualcuno aveva provato a ripensare l’idea di stato e di confine in modo originale. Oltre all’integrazione europea, erano comparse l’idea di una polizia internazionale e l’idea che la comunità internazionale avesse delle responsabilità nei confronti dei cittadini di qualunque stato. E qualcuno ha proposto la libera circolazione delle persone in tutto il mondo, non solo in Europa.
Alcuni di quei tentativi di domesticizzare le relazioni internazionali andando oltre gli stati vengono ora apertamente contestati; più spesso vengono semplicemente ignorati, nessuno ne parla.
A quanto pare, abbiamo scelto di affrontare i problemi del ventunesimo secolo ricorrendo a strumenti del diciannovesimo: forse allora la faccina dell’anno non dovrebbe essere 😂 ma 🙁.