Ci servono ancora i libri? E gli editori?
Gli editori di saggistica sono un po’ in crisi. C’è chi prefigura la loro scomparsa, e quindi un mondo in cui un Machiavelli sarebbe costretto a tenersi il suo Principe nel cassetto. Ma in realtà c’è internet, al posto del cassetto.
Da secoli sono gli editori e i loro libri a diffondere gran parte delle idee e delle analisi che arricchiscono la nostra comprensione della realtà storica e sociale. La preoccupazione è quindi che la loro crisi impoverisca la vita culturale e il dibattito pubblico, e ci riporti a un mondo medievale fatto di amanuensi. Questa preoccupazione in realtà si dimentica di un dettaglio non proprio marginale, chiamato internet. Se anche dovessero mai scomparire gli editori, Machiavelli potrebbe comunque pubblicare facilmente il suo saggio in rete, e come lui ognuno di noi potrebbe continuare a pubblicare e ad accedere a un’enorme massa di informazioni.
C’è chi paragona la rivoluzione digitale all’invenzione della scrittura, chi si limita a paragonarla all’invenzione della stampa: ma insomma è chiaro che si tratta di un cambiamento epocale, e siamo solo agli inizi. È folle pensare che l’industria culturale possa sopravvivere immutata a questo cambiamento. Forma e funzione della saggistica e dei suoi editori cambieranno profondamente – però credo che né gli uni né gli altri siano destinati a scomparire.
Già ora, il libro non è più lo strumento principe per la diffusione della cultura. Lo spettro di opzioni alternative disponibili si è esteso moltissimo, va dai 140 caratteri di Twitter alle 34 milioni di pagine di Wikipedia. Alcuni dei compiti che un tempo venivano assolti dai libri di saggistica vengono ora assolti in modo più efficace da nuovi strumenti: si comprano meno libri perché ce n’è meno bisogno, ci sono più alternative. Nel loro complesso, quello che stanno subendo i consumi culturali è un cambiamento, non una diminuzione. Le idee e le analisi circolano come mai prima d’ora, e le barriere di accesso al sapere si sono abbassate moltissimo: è un’autentica meraviglia.
Il cambiamento in corso non riguarda solo i consumi, ma anche la produzione culturale. Per quanto riguarda la saggistica, il cambiamento più importante che sta avvenendo è l’inesorabile transizione della letteratura strettamente accademica verso piattaforme di pubblicazione in rete autogestite e gratuite. Da sempre, i cataloghi degli editori di saggistica sono popolati da molte opere destinate agli specialisti, con argomenti di nicchia, un linguaggio ostico, delle copertine noiose e delle tirature basse. Del resto, erano opere che dovevano necessariamente passare dalle case editrici e dalle librerie: l’alternativa per l’autore era davvero tenerle nel cassetto.
Ora esiste un’alternativa migliore. Come è già successo per le scienze naturali, anche nelle scienze umane i saggi specialistici passeranno su internet. Saranno in gran parte accessibili in modo libero e pubblicati su piattaforme largamente autogestite dalla stessa comunità accademica, sul modello di OpenEdition. Diffusione immediata, duratura e globale, indicizzazione da parte dei motori di ricerca, condivisione sui network di specialisti, costi bassissimi per chi scrive, per chi pubblica e per chi legge: tutti gli incentivi spingono la letteratura accademica a migrare su internet, allentando il legame secolare tra produzione accademica e case editrici.
Le qualità di internet rendono sterminata la quantità e varietà dei prodotti culturali in circolazione. Ma proprio perché è così sterminata, continuerà a esserci molto bisogno di qualcosa e qualcuno che metta un po’ di ordine. Non è sufficiente che idee e analisi siano accessibili: bisogna anche renderle comprensibili, fare emergere quelle più rilevanti, renderle visibili e incisive in modo esteso e duraturo. Gli strumenti per farlo sono molteplici, ma tra questi strumenti continueranno a esserci anche i libri (di carta o in digitale, non importa).
I libri che non scompariranno saranno quelli che selezionano, sintetizzano, approfondiscono e connettono idee sparse. Saranno quelli in grado di funzionare come nodi nella rete e di diventare dei punti di riferimento. Anche se si pubblicheranno meno libri di oggi, saranno dei libri più incisivi, perché saranno selezionati e curati con particolare attenzione: avranno senso di esistere solo se potranno raggiungere un pubblico vasto e funzionare davvero come dei nodi.
Questo tipo di libri-nodi è destinato a rimanere, e sono destinati a rimanere coloro che li producono: un saggio non si trasforma da solo in un libro-nodo, serve il lavoro degli editori. Serve che selezionino buone opere e buone idee, che ne facciano un buon editing, che confezionino i libri in un buon modo e che ne facciano una buona pubblicità. Il Mulino sarà pure in difficoltà dal punto di vista finanziario, ma la metafora del mulino continua a funzionare benissimo: gli editori intercettano il vento che passa, ne catturano una parte, la concentrano e la lavorano, in modo da trarne dei prodotti solidi e utili.
Il mestiere dell’editore futuro si avvicinerà a quello del giornalista futuro: un mestiere fatto sempre più di selezione, confezione, connessione e circolazione di notizie e idee che volano già da sole là fuori. Le distanze tra le imprese giornalistiche e quelle editoriali si ridurranno e confonderanno, proseguendo con quel processo che già oggi porta dei giornali a pubblicare dei libri e delle case editrici a pubblicare blog e riviste, come Eutopia o Minima & moralia.
Se sono destinati a sopravvivere solo i libri in grado di funzionare come nodi e di raggiungere un pubblico vasto, serve che gli editori ragionino con molta laicità sui modi migliori per massimizzare l’efficacia delle loro pubblicazioni. Non bisogna temere di muoversi oltre le categorie tradizionali dei generi: e dunque magari raccontare la storia con i fumetti come fa Beccogiallo, oppure esplorare degli ibridi tra la saggistica e le guide turistiche come si sono messi a fare il Mulino, Laterza e Odoya. Bisogna anche ragionare in modo laico sulla lingua: alcune opere possono trovare in inglese un mercato che in italiano non potrebbero nemmeno sognarsi – come ha capito Viella. In Italia abbiamo alcune ottime case editrici, non c’è ragione per cui non possano andare a prendersi un pezzetto del mercato globale.
Le case editrici non sono delle tipografie, sono delle grandi agenzie culturali. Devono stare là dove sta la cultura, in tutte le sue forme ed espressioni: se la cultura non passa più solo dai libri, gli editori non possono più occuparsi solo di libri. A seconda del contesto e dell’oggetto, ci saranno modi diversi per fare emergere le idee in modo efficace: solo in alcuni casi sarà con un libro, in altri casi sarà con un post, un video, una conversazione, un festival o una mostra – e in molti casi sarà con una combinazione tra cose diverse. Naturalmente, occuparsi di nuove forme di diffusione della cultura vorrà dire trovarci anche delle nuove forme di pubblicità e di profitto.
Nonostante le loro piccole dimensioni, negli ultimi anni alcuni editori di saggistica hanno cominciato a fare degli esperimenti interessanti in questo senso. Le sperimentazioni più notevoli sono probabilmente quelle della Laterza, con i suoi festival culturali e i suoi cicli di lezioni di storia, e quelle della Feltrinelli, che può contare su una fondazione e pure su una televisione. Queste sperimentazioni dovrebbero essere rese più forti e sistematiche, ma soprattutto dovrebbero cessare di essere delle sperimentazioni, e diventare la normalità.
Il ritardo più grande degli editori italiani riguarda la loro presenza su internet. Dovrebbero affermarsi come dei nodi centrali della circolazione della cultura in rete, e invece il loro modello di presenza su internet è rimasto indietro di un decennio. La loro presenza sui social è ancora trascurabile e i loro siti sono pensati più come vetrine statiche per i loro cataloghi che come centri vivaci e dinamici di produzione e circolazione culturale. È un ritardo un po’ paradossale, perché in fondo è su internet che si trova la gran parte dei consumatori di prodotti culturali. E infatti tra gli editori di narrativa qualcuno ha cominciato a muoversi, sia sui social che al di fuori – come il gruppo Mauri Spagnol, che s’è inventato da poco Il Libraio.
Essere molto più presenti, attivi e visibili su internet è una necessità anche per gli editori di saggistica. La rivoluzione digitale presenta dei rischi, ma presenta anche grandi opportunità per gli editori più flessibili e innovativi. Non si può però pensare di sopravvivere a una rivoluzione epocale senza investire in modo massiccio in innovazione. I grandi spazi che si aprono vanno occupati, ma se non lo fanno gli editori esistenti arriverà qualcun altro a farlo al posto loro.