Il semestre europeo è stato un fallimento?
L’Italia ha presieduto l’Unione Europea per sei mesi, ma nessuno se n’è accorto. C’è chi parla di esito modesto, c’è chi parla di esito discreto (a parlare di grande successo sono in pochi). In realtà, le aspettative iniziali erano assurdamente alte: il semestre europeo è andato più o meno come doveva andare.
Il governo italiano ha deciso di giocarsi il semestre di presidenza con un ministro degli Esteri azzoppato. Dovendo accreditarsi per il suo nuovo incarico a Bruxelles, Federica Mogherini ha avuto dei margini di manovra molto ristretti e ha dovuto muoversi con estrema moderazione. Dopo di lei è arrivato Paolo Gentiloni, che fino ad allora s’era occupato di tutt’altro. Il risultato è che il governo s’è giocato il semestre europeo potendo contare di fatto solo su un sottosegretario – Sandro Gozi – che è un po’ poco.
La congiuntura non aiutava a rendere incisiva la presidenza italiana. Negli scorsi mesi, gran parte delle energie sono state spese per accordarsi sulle nuove nomine europee, non su nuove iniziative. Quando s’è parlato di iniziative, i dirigenti europei uscenti non erano in grado di assumere impegni, e gli entranti non erano ancora pronti per farlo.
Inoltre, il governo italiano non aveva grandi proposte da lanciare, e infatti Renzi usò il suo primo discorso a Strasburgo per parlare di Omero.
Se la congiuntura politica fosse stata migliore e se avessimo avuto un ministro degli esteri pienamente operativo, le cose sarebbero andate diversamente? C’è da dubitarne in realtà. I politici e la stampa italiani avevano coltivato delle aspettative assurdamente alte nei confronti del semestre europeo. È da anni che il semestre di presidenza serve ormai solo a stuzzicare la vanità del paese che lo detiene, mentre offre delle possibilità di incidere molto modeste.
Primo, la presidenza di turno non riguarda i luoghi dove vengono prese le decisioni più importanti: il Consiglio europeo, l’Eurogruppo, il Consiglio affari esteri, hanno dei presidenti fissi. Secondo, il presidente è uno ma gli stati sono ventotto: da solo, il presidente non può fare “cambiare verso” a nulla. Terzo, in Europa presiedere non significa condurre: significa nella maggior parte dei casi mediare e sopire. È molto più facile premere a favore delle proprie posizioni e delle proprie iniziative quando non si ha l’onere di presiedere: è per questo che la vera prova europea per il governo Renzi comincia ora.