Qual è il tuo materiale?
Questa domanda mi fu fatta tempo fa da un artista mio amico, al quale a sua volta un altro artista aveva rivolto lo stesso quesito.
L’amico in questione non è stato sempre un artista. Lo era prima della seconda guerra mondiale. Poi finita la guerra, come molti, non aveva potuto permettersi di vivere di arte. Per un po’ ci provò, ma poi si sposò e arrivò anche una figlia di cui prendersi cura. Cominciò a lavorare. Prima a Roma, giornalista all’Unità. Poi a Milano, dove ebbe una lunga carriera di successo in pubblicità che lo portò fino a diventare presidente di una grande agenzia multinazionale.
Quando arrivò il momento della pensione, pensò che finalmente fosse arrivato anche quello di tornare a fare l’artista.
Con i soldi della liquidazione comprò un piccolo studio a Milano. Lo arredò e lo attrezzò con carta, tele, tavole, colori e tutto il necessario per dipingere e disegnare. Prese ad andare in studio ogni giorno, anche nei fine settimana. Arrivava molto presto e andava via molto tardi. Disegnava furiosamente, leggeva tanto e di tutto, invitava amici con cui intavolava lunghe e appassionate discussioni su qualsiasi argomento: politica, arte, amori, letteratura o pugilato che fosse (ne ricordo una meravigliosa sul mitico Rollo e sul taglio dei suoi occhi).
Ma nonostante l’impegno e la passione, le cose che faceva non gli piacevano, anzi non lo soddisfacevano per niente. “Cose fatte da uno con l’hobby dell’arte”, diceva sarcasticamente di se stesso. Si sentiva un bugiardo. Uno che fa l’artista, e lui non voleva farlo. Lui voleva essere un artista.
Troppi anni in pubblicità probabilmente si facevano sentire.
Non si diede per vinto. Decise di partire. Andò negli Stati Uniti, in un piccolo paese vicino a New York, ospite dal suo vecchio amico Salvatore della cui amicizia era molto orgoglioso essendo Salvatore un artista americano importante, uno della scuderia Castelli per intenderci. Solo lui poteva “salvarlo” da quell’angolo dove si era costretto da solo e da cui non riusciva a uscire da solo.
Prese una casa vicino a lui e ogni giorno lo accompagnava in studio per osservarlo lavorare. Stette lì molti mesi durante i quali non seppi più nulla di lui.
Quando tornò lo andai a trovare. Era felice di vedermi, ma stranamente silenzioso e con l’aria di uno infastidito, e molto, da qualcosa. Cominciai a fargli delle domande: com’era andata, era stato bene, che diceva Salvatore, che avevano fatto, chi aveva conosciuto…. Insomma le tipiche domande che si fanno a qualcuno che non si vede da un po’ di tempo. Invece di rispondere a quelle domande, ne fece lui una di domanda:
“Qual è il tuo materiale?”
Non capii. Lui mi spiegò che era la domanda che gli fece Salvatore il primo giorno che si trovarono a studio insieme. La faccia infastidita era dunque dovuta ai suoi ultimi due anni vissuti senza risposta a quella domanda. E la risposta era fondamentale trovarla, non era difficile intuirlo, visto come continuava a parlare e girare in tondo senza sosta.
“Il materiale, capisci? La sostanza è quella che conta.… La forma viene dopo. Chissenefrega dell’estetica. Di come le cose sembrano. Io voglio sapere come le cose sono veramente. Non come le vogliamo far apparire. Il materiale è l’etica. Lì c’è la verità. Devo trovare il materiale. Non un materiale, però. Il mio materiale! Ma qual è…? E tu, tu ce l’hai un materiale?”
Lo guardavo, ed era doloroso vederlo così torturato nell’anima, ma era anche fantastico. Dal mio punto di vista, era come un uomo in crisi di astinenza che si stava liberando dalle tossine di quaranta anni di pubblicità che gli avevano inibito i fondamentali della sua sensibilità emotiva.
Cercava la materia per essere di nuovo artista. E allo stesso tempo cercava di espellere dal suo sentire, il materialismo che aveva maneggiato per così tanti anni e che aveva finito, invece, col manipolare la sua capacità di fiutare il giusto dallo sbagliato e distinguere il finto dal vero.
Quando, passati un po’ di mesi, ricevetti una telefonata a notte fonda, immaginai subito che fosse il mio amico artista, e che quell’agglomerato di parole scombinate e quel filo di ragionamenti raggomitolati su se stessi, si erano finalmente sbrogliati ed erano diventati una risposta. Mi chiese di andare nel suo studio.
“Catrame!”, urlò non appena mi vide entrare.
“E’ il catrame, il mio materiale”, continuò. Mi spiegò che quando lui era piccolo, suo padre costruiva strade in Sardegna dove vivevano. E quando tornava a casa la sera, a varcare la soglia era prima l’odore dell’asfalto che il padre si portava appiccicato sui guanti, sulla tuta da lavoro, sulle scarpe, sui capelli, dappertutto, fin dentro i bronchi – che il padre stesso.
Catrame uguale padre uguale relazione profonda uguale la sua essenza uguale il materiale che cercava. Avreste dovuto vedere i suoi occhi. Erano come quelli di Rollo dopo una vittoria ai punti, incerta fino alla fine, ma meritata.
Da quel giorno il mio amico cominciò a pennellare quel materiale bituminoso su lastre di metallo tagliate a strisce e sovrapposte in un secondo tempo e saldate una con l’altra, e non si è ancora fermato.
Mi regalò una delle prime opere che fece. Ora non la scambierei neanche con un Picasso o un Modigliani. Non per il sentimento che provo per quell’oggetto. A renderlo cosi’ prezioso è il fatto di essere un sentimento materializzato.
Ogni volta che lo guardo quell’oggetto, penso a quanta poca fatica e a quanta poca sostanza ci siano nella relazione che abbiamo con gli oggetti che ci circondano. E a come quella relazione fatta di convenienza e di gusto deperisca ancor prima dell’oggetto stesso, che buttiamo nella spazzatura semi-nuovo o vendiamo di seconda mano “ancora in perfette condizioni…”.
PS: Oggi il mio amico artista avrà una giornata tremenda di fronte. Andrà a Roma a salutare sua figlia per l’ultima volta. Io non potrò essere lì con lui e mi dispiace moltissimo. Avrei voluto essergli vicino, abbracciarlo forte e fargli sentire di che materiale è fatta l’amicizia vera e il senso di gratitudine profondo per avermi fatto entrare in pubblicità e soprattutto per avermi spiegato, con del semplice catrame, a come uscirne. Ciao Angelo, dai un bacio ad Annalisa per me.