Come se tutto fosse.
Non so. E’ difficile. Le parole non vengono. Troppe ne sono state dette su questa vicenda dell’assassinio di Meredith Kercher. Così tante e sguaiate, così grosse e grossolane, così piene d’imperizia e faciloneria, che oggi trovare quelle giuste, anche solo poche, davvero sembra impossibile.
Su quel campo di battaglia giudiziaria che è stato il tribunale di Perugia negli ultimi quattro anni, di quelle mitragliate di parole sparate a vanvera, non rimangono che i loro bossoli vuoti.
La Venere in pelliccia, il Signor Nessuno, il gancetto del reggiseno, la perizia, la contro perizia, innocente, colpevole, Foxy Knoxy, lo shopping intimo, il DNA sul manico, no era sulla lama, il Lumumba, l’Ivoriano, le sue feci, i rilievi della scientifica, il cuscino, il barbone del giorno prima, la ricostruzione del delitto, i memoriali di Amanda, ma guardala sorride a Raffaele, indecente, i plastici di Vespa, i suoi ospiti, quel Crepet poi, la scritta “All you need is love” sulla maglietta, il braccialetto con scritto su, gli aerei privati, io non ho fuggito, la deposizione quasi spontanea, giustizia, ingiustizia, quattro anni in carcere da innocenti, e il colpevole dov’è?, ma sì andiamo in piazza a gridare…
E chi ci si ritrova, in questo delirio di parole e pensieri scompaginati? Un dizionario dell’assurdo, un reality sceneggiato da un deficiente (purtroppo con grandi risultati di audience) scritto in una lingua incomprensibile ed emotivamente sgrammaticata.
Abbiamo combattuto tutti, nessuno ha disertato.
Nessuno ha resistito al giocarsi il suo colpo in canna. Chi diceva questo, chi sosteneva quello. I giornali e le TV davano fuoco alle polveri e alle ciprie degli ospiti. Nei bar, di fronte ad un cappuccino e a una gazzettadellosport, era guerra a chi la diceva più grossa, mentre seduti nelle loro case, si addestravano legioni di kamikaze del ragionamento, fedeli ai dogmi della loro dottrina dell’ando cojo cojo e chi si è visto, si è visto.
Non so. E’ difficile. Le parole giuste non vengono. Fare un po’ di silenzio, dopo tutto questo niente assordante, sembrerebbe essere la cosa più ragionevole. L’unica via di uscita possibile da questa logorrea disarginata. Ma bisogna comunque provarci. Sforzarsi di dire qualcosa. Soprattutto ora. Ora che lo spettacolo è finito. Non possiamo tornare alla nostra vita, alle nostre faccende, alle nostre case, ai nostri cappuccini al bar, alle chiacchiere d’ufficio e da cortile, in attesa dell’inizio del prossimo spettacolo.
Non possiamo fare come se niente fosse.
Alla fine di questa follia, almeno una parola giusta da dire deve essere detta. Per appigliarcisi per ricominciare a capire, ricominciare a sentire.
Se io dovessi scegliere, sceglierei questa: scusa.
Scusa, Meredith.