Anna e Gioacchino, i nonni materni di Gesù

Per molto tempo negli affreschi nessuno ha osato baciarsi, la pratica – pure attestata in letteratura sin dall’antichità – non sembra fosse ritenuta degna di raffigurazione. Troppo oscena? Se così fosse, probabilmente almeno un bacetto lo avremmo trovato sulle pareti dei bordelli di Pompei (in mezzo a scene più esplicite, che non è necessario rammentare ai lettori). Invece per vedere veri baci tra persone adulte bisogna a quanto pare pazientare fino alle soglie del secolo XIV, quando un artista già affermato come Giotto di Bondone passa da Padova per lavorare alla Basilica di Sant’Antonio ed Enrico Scrovegni gli propone di arrotondare affrescandogli una cappella di famiglia. Può darsi che il carattere privato dell’opera abbia contribuito ad allentare certe inibizioni, fatto sta che nella Cappella degli Scrovegni, Giotto piazza lì come se fosse niente i due primi baci della Storia dell’arte, che sarebbero capolavori anche se non fossero i primi.

Uno dei due è il bacio di Giuda a Gesù nell’orto degli ulivi, il che ci indurrebbe a tutta una serie di considerazioni amarognole sul fatto che il primo bacio noto in pittura sia il suggello di un atroce tradimento; senonché sull’altra parete c’è un bacio ancora più interessante, tra due adulti consenzienti, coniugati e innamorati: Anna e Gioacchino, i nonni materni di Gesù. Ancora per qualche secolo gli unici ad avere la licenza di baciarsi nei quadri e sulle pareti saranno loro, anche se non molti pittori mostreranno il coraggio di Giotto, persino nel Rinascimento. Più spesso, invece di dipingerli a labbra accostate, preferiranno fermarsi un attimo prima, quando i due volti non sono ancora troppo vicini; e sopra di loro aggiungeranno un angelo che con le mani li sollecita al gesto. Per quanto questo possa apparire un po’ morboso alla nostra sensibilità, l’intenzione era esattamente l’opposta: alludere al concepimento carnale di Maria con un gesto che esprimesse affetto tra i coniugi ma il minimo di concessione alla sensualità. Il primo bacio non è in effetti un bacio qualsiasi. Durante il Medioevo aveva preso forma l’idea che Maria di Nazareth fosse stata concepita “per osculum”, attraverso questo bacio.

La leggenda si intrecciava con la questione del peccato originale: secondo alcuni teologi (gli “immaculisti”), Maria era stata creata senza peccato originale, prima donna dai tempi di Eva. Ed evidentemente ad alcuni immaculisti – non a tutti – la sessualità risultava irrimediabilmente intrecciata col peccato di Adamo e di Eva. Dopotutto la punizione inflitta da Dio a quest’ultima prevedeva le doglie del parto (“partorirai con dolore”). Così poteva sembrare appropriato che Maria, in quanto Immacolata Concezione, non fosse stata concepita e partorita nel modo così crudo in cui veniamo alla luce noi peccatori.

Incontro alla Porta d’Oro, via Wikimedia Commons

L’episodio del bacio, conosciuto come “incontro alla Porta d’oro”, è narrato nel protovangelo di Giacomo, il testo apocrifo che se non inventa Anna e Gioacchino (mai nominati nei Vangeli) di certo li trasforma nei personaggi che per secoli avrebbero riempito lo sfondo delle pale d’altare. Che a Gerusalemme ci fosse una Porta d’oro, dove i due coniugi si sarebbero incontrati dopo essersi temporaneamente separati, non risulta agli archeologi, ma non bisogna aspettare Freud per capire quanto sia prezioso per l’uomo quel varco finalmente aperto: è la breccia attraverso cui Adamo ed Eva uscirono dal giardino dell’Eden, la Porta che dopo secoli viene riaperta attraverso il grembo di Maria. L’autore del protovangelo ha lavorato molto di fantasia, ma non era un contafrottole qualsiasi; rispetto ad altri pseudoevangelisti capisce la necessità di mantenere una coerenza narrativa col materiale evangelico. Dovendo raccontare l’infanzia di Maria a un pubblico che era curioso di conoscerla, e non disponendo probabilmente di una minima informazione utile sui suoi genitori, decide di riprendere due personaggi dell’Antico Testamento, i genitori del profeta Samuele, senza nemmeno preoccuparsi di cambiare nome al personaggio femminile. Anna e Gioacchino sono l’ennesima coppia sterile della Bibbia, cui il Signore promette una discendenza in cambio di una serie di prove. In particolare Gioacchino, che aveva sposato Anna già vedova, deve subire un’umiliazione (non gli viene concesso di partecipare a un sacrificio, in quanto considerato sterile) e ritirarsi nel deserto: lì lo raggiunge in sogno l’angelo custode per esortarlo a ricongiungersi con Anna, la quale dopo un sogno molto simile si reca alla Porta d’Oro per incontrarlo. Il bacio suggella quindi l’incontro dopo una separazione, la speranza dopo la disperazione, un patto con Dio e una promessa reciproca: tante cose che secondo Giotto di Bondone richiedevano una raffigurazione esplicita, e non c’è che da essergliene grati; anche se per qualche secolo baciarsi in pubblico continuerà a non essere una pratica così frequente.

Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino, via Wikimedia Commons

Il successo di Anna nelle arti figurative non si limita alla scena del bacio, e dipende probabilmente dall’interesse dei committenti per un certo tipo di quadri che raffigurassero Gesù e altri personaggi evangelici durante l’infanzia o la giovinezza, e in contesti domestici. Siccome questi quadri spesso li pagavano i nonni, era opportuno accostare a alla giovane madre Maria una figura femminile più anziana e autorevole. Essendo uno dei pochi punti fermi del cerchio parentale di Gesù, Anna fu inevitabilmente coinvolta in altri legami da agiografi restii a inventarsi ulteriori personaggi: secondo alcuni dopo la morte di Gioacchino si sarebbe sposata altre due volte, mettendo alla luce Elisabetta (madre di Giovanni Battista) e Maria Salomé, madre di Giacomo Minore: un tentativo di ribadire che il cosiddetto “fratello del Signore” ne era in realtà il cugino. Questa leggenda fu severamente censurata dal Concilio di Trento, ma non prima di aver permesso ai pittori di dipingere interni in cui Gesù ragazzino gioca con Giovannino e Giacomino o altri santi bambini, sotto gli occhi attenti di una matrona paziente, di solito vestita di verde.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.