Leone contro tutti
10 novembre – San Leone Magno (400 ca. – 461), papa combattente e combattuto.
Il nome, dicono, è un destino: spero non sia il mio caso, ma fu quello per esempio di Leone Magno, che combatté per tutto il suo pontificato e qualche volta vinse. Contro i discepoli di Priscilliano, un santone che mescolava profeti e oroscopo e stava allontanando le chiese spagnole dal controllo di Roma: ma Leone lottò finché non convinse l’imperatore Graziano che Priscilliano era un eretico e uno stregone, e lo fece giustiziare. Contro i manichei, che credevano che l’universo fosse il risultato di una lotta tra Luce e Tenebre e avevano fatto breccia non solo tra i poveracci impressionabili, ma anche su intellettuali promettenti come il giovane Agostino d’Ippona; per cui a Leone non bastava confutarli dottamente: li denunciava all’autorità imperiale, che avrebbe proceduto a torturarli. Contro i monofisiti, che in Oriente predicavano la natura solo divina di Cristo e stavano portando dalla loro parte tutta la chiesa di Costantinopoli e di oriente: ma Leone s’impuntò, chiese e ottenne un nuovo concilio che mise fuorilegge pure i monofisiti. Contro i vescovi delle Gallie che credevano di potersi nominare tra loro (come in effetti avevano spesso fatto) invece di riconoscere l’autorità del vescovo di Roma, non un vescovo tra tanti ma il successore dell’apostolo Pietro. Contro la stessa lingua latina che si stava un po’ rammollendo nelle cancellerie: a causa delle migrazioni certi accenti forse non si sentivano più, certe sfumature si erano perse. Servivano nuove regole per scrivere in prosa e Leone Magno se le inventò, forse improvvisando, e poi gliele copiarono per secoli, lo chiamarono cursus leonino.
L’Occidente intanto franava, gli Unni premevano sui Goti che premevano sui Vandali che in un qualche modo si erano trovati in fondo alla catena e schizzarono sui territori dell’Impero come dentifricio che schizza dal tubetto appena aperto, dalla Spagna al Marocco alla Tunisia, e dalla Tunisia (via nave) di nuovo a Roma. Leone, che pochi anni prima forse era riuscito davvero a convincere Attila a non scendere a Roma, nel 455 poté solo negoziare col re dei Vandali (Genserico) i termini del saccheggio. Leone insomma combatté per tutta la sua carriera, forse per tutta la vita: a volte vinse, a volte venne a patti. Un patriarca riottoso si poteva far deporre; un vescovo ribelle si poteva ridurre a più miti consigli; contro i ribelli, in generale, non è difficile prevalere: basta metterci la tigna, alzarsi ogni mattina qualche ora prima di loro e passarla a concepire nuovi sistemi per confutarli, per perseguitarli, per accerchiarli e far terra bruciata intorno a loro. I ribelli non sono il vero problema. Magari. In fondo sono persino simpatici, ci aiutano a tenere la barra, ci danno un motivo per alzarci prima la mattina, per dimostrare che hanno torto e noi ragione, i ribelli ci servono (quegli stronzi). I veri nemici invincibili non sono certamente loro, a un certo punto Leone dovette rendersene conto. E chi sono allora?
Le abitudini.
Contro le abitudini anche Leone lottò invano. Il Papa che aveva fermato Attila e rovesciato un intero concilio, non riusciva nemmeno a evitare che i suoi fedeli si voltassero un attimo indietro a fare un inchino a un vecchio dio pagano, il Sole, quando entravano nella sua chiesa (la vecchia San Pietro, poi demolita per costruire la nuova).
“…alcuni cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro apostolo, dedicata all’unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all’atrio superiore, si volgono verso il sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto in parte per ignoranza e in parte per mentalità pagana”.
Leone sapeva bene che quegli inchini non erano neanche più un sussulto di paganesimo, ma qualcosa di ancora più labile e residuale: un’abitudine; ma non la tollerava. Non poteva. Se cominci ad accettare che i vecchi si voltino indietro, finirà che i giovani impareranno dai vecchi, e l’abitudine non finirà mai. “Anche se alcuni intendono venerare il Creatore della luce leggiadra, e non la luce stessa che è una creatura, devono astenersi da ogni apparenza di ossequio, perché chi ha lasciato il culto degli dei, qualora trovasse tra noi simile usanza, potrebbe praticare, come incensurabile, questo elemento delle vecchie credenze perché lo vedrebbe comune ai cristiani e agli infedeli”.
Alla fine però la spuntò, direte voi. Oggi i cristiani non si inchinano più al Sole nascente, vero? Sì, ma non fu l’ostinazione di Leone a superare il problema. Alla fine la Chiesa procedette nel solito modo: visto che la gente continuava a inchinarsi a oriente, da Leone in poi si mise a costruire le chiese con l’altare orientato verso il sole del mattino. Così l’inchino pagano sarebbe passato inosservato, e dopo un po’ nessuno si sarebbe accorto che era un residuo pagano. Ne costruirono per altri mille anni, quindi potrebbe essere capitato pure a voi, di inchinarvi senza accorgervene al dio Sole. Contro i priscillian e le loro scemenze new age si può trionfare. Sopra i manichei e il loro mondo in bianco e nero, si può stendere una passata di grigio in mille sfumature. Ma lottare contro le piccole abitudini quotidiane, quella è il combattimento che Leone stava perdendo, e forse lo perderemo anche noi. Quando crediamo che il vero nemico sia un antivaccinista o uno sciachimista, e non la persona qualunque che non riesce a differenziare i rifiuti, o a lasciare la macchina nel box lunedì mattina, che non riesce a modificare le sue abitudini. Il destino dell’uomo è nel suo nome, dicevano gli antichi, il che senz’altro fu vero per Leone Magno e sarebbe un grosso problema per me, se nel frattempo non avessi formulato un’ipotesi ancora peggiore: che il destino dell’uomo sia nelle sue abitudini.