Nessuno canta il blues come Bob Dylan

World Gone Wrong (1993)

(Il disco precedente: Good As I Been to You;
il disco successivo: MTV Unplugged).

Succedono cose strane, mai successe prima:
la mia donna mi ha detto che me ne dovrò andare.
Non si può più essere buoni con te,
buoni come prima,
non si può più essere buoni, amore…
tutto perché il mondo è andato a puttane.

Dietro al cappello c’è un altro ritratto firmato da Bob Dylan. La foto è storta perché negli anni Novanta i grafici erano ubriachi, tutti.

Ci sono canzoni che cantiamo e canzoni da cui siamo cantati. Dylan ha scritto tante belle canzoni, e molte è anche riuscito a inciderle in modo soddisfacente. E poi ci sono quelle che non ha scritto lui; quelle che ha inciso alla svelta, quasi per liberarsene (Dylan non ha mai suonato dal vivo la canzone che si chiamaWorld Gone Wrong). All’orecchio inesperto sembrano brani come gli altri, magari un po’ più legnosi, vecchi blues oscuri, curiosità da folklorista. Finché un giorno non ti trovi a canticchiare sconsolato: “All the friends I ever had are gone”. E ti rendi conto che era dentro di te da prima che l’ascoltassi, e che non se ne andrà mai: forse dovresti fare come Dylan, trovare un nastro libero e inciderla. Magari a quel punto ti lascerà in pace. Strane cose succedono.

Ti ho detto amore, davanti a Dio,
se non ti lascio, dovrò ammazzarti io
Non si può più essere buoni…

A voi non è successo? tanto meglio per voi. C’è chi dice che un bianco non può capire il blues; non è mica una cosa che s’impara sui libri. In effetti. E meglio così, sul serio: non vi auguro di ritrovarvi un giorno in qualche corridoio chiuso dove decidono il vostro destino senza chiedervi un parere, o in ginocchio davanti a qualche macchinario che state rimontando nella certezza che comunque non funzionerà mai più: non vi auguro di ritrovarvi tra le labbra quelle parole spontanee, stonate: I can’t be good no more. Su quel treno c’è una persona che fa finta di non vedervi. Once like I did before. Suona il telefono, c’è una persona che non potete fingere di non conoscere. I can’t be good baby. Non doveva andare così, ma è un fatto: è andato tutto a puttane. Questo è il blues. Perlomeno, quello che ho capito io. Non subito.

All’inizio pensavo che fosse quella cosa che succede se suoni un riff, lo ripeti sulla corda più bassa e poi su quella alta. Una cosa spontanea, ovvia, come l’abc o il do-re-mi. Che avesse a che fare con la tristezza era una cosa che avevo letto in giro, e ovviamente mi fidavo (al tempo credevamo a tutto quel poco che riuscivamo a leggere in giro), ma non è che lo capissi realmente. Anche perché, alla fine, chi è che cantava il blues ai miei tempi? I Blues Brothers? Non erano tristi. E quando alla fine misi le mani sulle registrazioni complete di Robert Johnson – perché ero uno che voleva fare le cose per bene, persino un po’ scolastico, no? In quel negozio c’era una montagna di Nevermind dei Nirvana, diciamo pure una piramide azzurra di Nevermind dei Nirvana, era quasi impossibile uscire da lì senza avere in tasca un Nevermind dei Nirvana, ma io dovevo farmi una cultura, e quindi uscii con le registrazioni complete di Robert Johnson – e scoprii che in effetti Sweet Home Chicago non era il pezzo allegrone dei Blues Brothers: ma riuscii a capire perché mentre lo cantava Johnson era più triste della morte? Non credo proprio, no. Sapevo gli accordi del blues e sapevo cos’era la tristezza, ma le due cose non le avevo ancora collegate e sarebbe stato meglio così, dopotutto: non ti danno mica una medaglia quando capisci il blues (più probabile che ti stiano per dare cinque anni senza condizionale).

Quello che sto cercando di dire è che quando ti ritrovi nelle ossa World Gone Wrong, non è mai un buon momento. Come minimo hai appena picchiato una persona cara, o qualcosa di ugualmente triste e… squallido. Quello che non ti dicono in nessun libro, è che c’è qualcosa di profondamente squallido nel blues. È il rantolo concesso a chi non ha più santi a cui pregare – ha rubato a tutti gli altari, profanato tutte le vergini e gli resta solo un po’ di miseria tra qui e l’inferno. Quello che sto cercando di dire è che forse non è necessario essere di origine africana per capire il blues (oddio, siamo tutti di origine africana se fai qualche passo indietro) ma sicuramente bisogna essere disperati, e con la coscienza cattiva; e anche in quel caso ti serve un maestro: e dove potevi trovarlo, negli anni Novanta, un maestro disperato con la coscienza cattiva?

Mi sento un apparecchio rotto, non mi gira più il volante.
Mi sento un apparecchio rotto, non mi gira più il volante.
Se sei triste e solo lo sai come ci si sente…

(Intermezzo: The 30th Anniversary Concert Celebration, pubblicato nel 1993 ma inciso il 16 ottobre del 1992 al Madison Square Garden.

Il trentesimo anniversario non è che sia tutto quest’anniversario. Di solito ti festeggiano quelli che si sono accorti di aver completamente mancato il venticinquesimo. Per festeggiare il trentesimo anniversario alla carriera di Bob Dylan, la Columbia affittò il Madison Square Garden e lo riempì di pezzi grossi. C’era John Cougar Mellencamp (ma non c’era Bruce Springsteen); Kris Kristofferson, Johnny Cash con sua moglie June Carter. Stevie Wonder cantò Blowin’ in the Wind meglio di quanto Dylan abbia mai cantato We Are the World. Lou Reed tirò fuori Foot of Pride dall’ultimo cofanetto di inediti e qualcuno tra il pubblico avrà pensato: che cafone, si festeggia Dylan e lui canta una canzone di Lou Reed. Ron Wood rappresentava gli Stones (Dylan ha suonato con tutti i chitarristi degli Stones salvo Brian Jones), George Harrison con i baffi rappresentava i Beatles. Neil Young era sempre e solo Neil Young: prese il Madison in ostaggio per dieci minuti e dilagò in All Along the Watchtower. Roger McGuinn poteva mancare? Dave Crosby però mancava. Anche Joan Baez: in compenso Chrissie Hynde intonò I Shall Be Released. C’era Eric Clapton, finalmente udibile in un disco di Dylan. C’era quel che restava della Band, Petty e gli Heartbreakers al completo e mezzi Pearl Jam: due o tre generazioni di rock americano. C’era decisamente troppa gente perché il festeggiato non si sentisse a disagio: una reliquia rimessa in vita per una sagra, un’ampollina da rovesciare per trarne un buon auspicio (o un cattivo).

All’inizio parve cattivo. Al culmine di uno spettacolo di tre ore su di lui, Dylan scelse di salire sul palco con la chitarra e cantare la sua vecchia canzone a Woody Guthrie. Era una nobile idea, ma la voce non c’era (il brano fu tagliato dal disco doppio). La sensazione di trovarsi davanti a un pezzo di museo, rianimato temporaneamente e con fatica, dovette darla anche durante il gran finale, quando McGuinn, Petty, Clapton e Young si unirono a lui per cantare il ritornello preferito da ogni rock star 40/50enne, “I was so much older then, I’m younger than that now“. Anche in questo caso la voce lo tradì, e dovette reincidere la sua strofa in sala di registrazione. Lo si sarebbe potuto liquidare come l’artista meno in forma di tutti, quella sera, un vero rottame a fine carriera – è l’effetto che ti può dare il vecchio Dylan in una serata no. Pensi che sia ubriaco ma magari ha solo un raffreddore stagionale. Pensi che non regga più il palco, ma anche nel ’92 stava facendo la sua ottantina di concerti in giro per il mondo. Magari non si sentiva più a suo agio al Madison, questo sì: proprio in quei giorni suonava a Pittsburgh, a Newark, Delaware, a Springfield, Massachussetts… e poi aveva bisogno di scaldarsi, è sempre stato così. Quella stessa sera regalò al pubblico una notevole It’s Alright Ma, un brano che nessun ubriaco sarebbe in grado di portare oltre la seconda strofa; e dopo il secondo bis, agli spettatori che stavano già uscendo per non restare bloccati nel traffico aveva ancora voglia di regalare Girl of the North County, riletta come uno dei brani tradizionali che sarebbero usciti di lì a un mese in Good As I Been to You. Perché, ricordiamo, mentre tutti gli amici e discepoli lo celebravano come grande autore di canzoni, Dylan aveva completamente smesso di scriverne.

Tutti i discepoli tranne una… pochi giorni prima Sinead O’Connor aveva inserito un riferimento alle molestie sui minori nella sua versione di War di Bob Marley, e mentre la cantava in diretta su Saturday Night Live aveva strappato una foto di papa Giovanni Paolo II – una cosa un po’ puerile ma coraggiosa, che le compromise la carriera, ma questo nell’ottobre del 1992 non era ancora chiaro neanche a lei. Forse cominciò a capirlo quando salì sul palco del Madison per cantare una semisconosciuta canzone del periodo cristiano di Dylan, I Believe in You, e dalle prove sappiamo che l’avrebbe cantata molto bene; ma la gente cominciò a fischiare e urlare e lei comprese che non avrebbe smesso. Comprese (prima di Kristofferson, che la incitava a cominciare) che c’era gente quella sera che aveva comprato il biglietto, e si era sciroppata già un’ora di concerto celebrativo, soltanto per venire a fischiare lei: si sentì forse come il giovane Dylan a Manchester nel ’66, e allora interruppe i musicisti e urlò senza accompagnamento proprio quella War che benché fosse del Bob sbagliato, fu la cosa più autenticamente dylaniana di tutto il concerto).

Ho giocato a dadi e a carte e ora donna sono al verde,
ho giocato a dadi e a carte e ora donna sono al verde.
ho impegnato la pistola e ho venduto il mio vestito buono.

Ma insomma, Dylan tra ’92 e ’93 come stava? Si ammazzava di alcool o di lavoro sul palco, o di entrambe le cose? Era finito o stava resuscitando? Un anno dopo il concerto del trentennale, World Gone Wrong fu salutato come un gran ritorno. Per motivi che oggi mi sembrano inconsistenti, fu apprezzato anche dai critici che erano rimasti tiepidi di fronte al disco precedente, che gli somiglia come un fratello maggiore. Anche World Gone Wrong è registrato nel seminterrato di casa Dylan, voce e chitarra e appena appena un po’ di armonica, e nient’altro. È un disco più disperato di Good As I Been. È un disco più blues. Ma è davvero tanto migliore del precedente? C’è chi trova che sia suonato e cantato meglio – io alzo bandiera bianca: se non sapessi quali canzoni sono nel primo e quali nel secondo, non riuscirei a distinguerle. Certe idiosincrasie, il modo in cui fa a pezzi il riff di World Gone Wrong o perde il tempo in altri pezzi, non mi sento di considerarlo un indizio della sua salute; magari quella sera gli andava di suonarla così, un’altra sera sarebbe stato tutto diverso. Trovo più semplice immaginare che siano stati i critici ad avvicinarsi a quello che Dylan stava facendo: Good As I Been poteva sembrare una stravaganza, ma World Gone Wrong era il secondo disco acustico in meno di dodici mesi: forse Dylan stava davvero credendo in quello che faceva; forse valeva la pena di ascoltarlo con più attenzione.

Ecco, una volta che dai attenzione a World Gone Wrong (ma anche a Good As I Been) ti accorgi che è impossibile parlarne male. Al massimo puoi decidere che non t’interessano e sul serio, beato te se il blues non t’interessa. Ma se invece scegli di ascoltare quel che ha da dirti Dylan in questi dischi, beh, ti accorgi che forse è l’unica volta nella sua carriera in cui si è messo in una posizione inattaccabile. Il Dylan dei primi anni Novanta non è l’ennesimo cercatore d’oro che va a grattare qualche vena residua nell’ormai esausta cava del blues; non è uno studioso desideroso di farci partecipi delle sue scoperte. Il Dylan contemporaneo ai Nirvana è un tizio messo peggio di loro, un bluesman vero, improvvisamente apparso a qualche crocicchio della Superstrada 61. Non è nero? Chissenefrega, davvero: è dai tempi del grammofono che nessuno suonava così disperato. Così cupo. Così squallido. Sul serio, per certe avventure di World Gone Wrong non saprei trovare altro aggettivo. Prendi Blood in My Eyes: il protagonista ha il sangue negli occhi per una tipa, quindi che fa? Va a prendere i soldi che servono “a comprarla”. E fin qui vabbe’. Ma la tipa cincischia, chiede dieci minuti, si vede che ha un’agenda fitta di impegni e il protagonista comunque ha ancora abbastanza amor proprio da reagire così:

I tell you something, tell you the facts,
You don’t want me, give my money back.

…Tutto qui. Credevate che avrebbe tirato fuori il coltello? Lo avesse fatto, sarebbe risultato un po’ meno squallido. I primi sei brani di World Gone Wrong sono i capitoli del romanzo noioso di un ubriaco che si lamenta delle donne e della sfortuna, e non sa più dove sbattersi. Anche la povera Delia, morta ammazzata da un tizio al tavolo da gioco, con “una crudele 44”: povera Delia, amavi tutti i giocatori, perché non amavi me? Tutti gli amici che ho mai avuto non ci sono più. Sul serio non vi è mai affiorato quel ritornello sulle labbra? Beati voi, prego che non vi debba succedere mai.

“Tutto a causa di quel cappello Stetson”.

Il secondo lato di WGW è un po’ meno tragico: dopo Delia (una delle cose più crude e necessarie che abbia mai registrato Dylan) contiene una collana di pezzi folk intercambiabili con quelli del disco precedente. Stack-A-Lee è un personaggio che dalla cronaca nera è scivolato dritto nel folklore americano: un criminale di mezza tacca che a fine Ottocento uccise un collega perché gli aveva toccato il cappello. Two Soldiers è una ballata amarissima: prima della battaglia un soldato chiede al commilitone di portare, nel caso le cose vadano male, un messaggio alla mamma e all’amata, ma il cannone si porta via entrambi i soldati, mamma e amata aspetteranno invano. Jack-A-Roe è l’ennesima variazione sulla leggenda inglese della ragazza che s’imbarca per amore travestendosi da marinaio: ce n’era una già in Good As I Been (Canadee-I-O), ma questa è più oscura e pittoresca, e chiude con una dichiarazione che è il primo squarcio di sole di tutto il disco: i personaggi di questa storia si sposarono, perché non lo facciamo anche noi due? Sembra quasi una riparazione per aver inciso Love Henry dall’altra parte del disco, la fiaba di una donna crudele che pugnala l’uomo che non la vuole sposare. Lone Pilgrim è una canzone sepolcrale che Dylan canta come se fosse l’ultima che gli resta prima di andare al creatore:

Go tell my companion and children most dear
To weep not for me now I’m gone.
The same hand that led me through seas most severe
Has kindly assisted me home.

Magari non ti interessa, ma se hai deciso che invece sì, a questo punto che altro puoi dire se non: Amen? World Gone Wrong è la storia di un misero farabutto che forse alla fine ha trovato la pace. È un disco che Dylan non ha scritto, ma in quegli anni gli somigliava. Sarebbe un disco incredibile anche se non l’avesse inciso Dylan, anzi: sarebbe stato ancora più incredibile se fosse comparso dal nulla, l’opera misteriosa di un bluesman-folksinger anonimo attivo in un decennio qualsiasi tra il 1910 e il 1990. Forse non canta il blues come Willie McTell, ma è registrato molto meglio. Lo senti piangere e sacramentare (“Oh Lordy Lordy Lord”). Ha perso la donna, e quando un bluesman perde la donna, vuol dire che non aveva più nient’altro da perdere.

Invece non solo WGW è stato pubblicato come un disco di Bob Dylan, ma stavolta gli avvocati lo hanno anche costretto ad accreditare autori e arrangiatori delle canzoni nelle note di copertina. Piuttosto di acconsentire a una fredda lista di nomi e soprannomi che avrebbe tolto ogni mistero alle canzoni, Dylan ha deciso di coprire l’apparato informativo sotto qualche pennellata della sua prosa – erano vent’anni che non si metteva a scrivere immaginose note di copertina. Quelle di WGW, intraducibili (il che non significa che qualcuno non ci abbia provato) mandarono in sollucchero i dylaniti: libere associazioni interrotte da incisi che sembrano inseriti da un pensionato al parco (“datemi un migliaio di acri di terra coltivabile & tutti i gangsters che esistono & vedrete l’Autentico stile di vita alternativo, quello Agricolo“), una rinnovata capacità di dire tanto per non dire niente che è poi il paradosso del poeta Dylan: un signore laconico per inclinazione, paroliere per mestiere: costretto a usare mille parole per spiegarsi il meno possibile.

(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966Blonde On BlondeLive 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert1967: The Basement TapesJohn Wesley Harding1969: Nashville Skyline1970: Self PortraitDylanNew MorningAnother Self Portrait1971: Greatest Hits II1973: Pat Garrett and Billy the Kid1974: Planet WavesBefore the Flood, 1975: Blood on the TracksDesireThe Rolling Thunder Revue1976Hard Rain1978: Street-LegalAt Budokan1979Slow Train Coming1980Saved1981Shot of Love1983Infidels1984Real Live1985Empire BurlesqueBiograph1986Knocked Out Loaded1987Down in the Groove, Dylan and the Dead, 1988: The Traveling Wilburys Vol. 1, 1989: Oh Mercy1990: Under the Red Sky, Traveling Wilburys Vol. 3, 1991: The Bootleg Series Vol 1-3 (Rare and Unreleased), 1992: Good As I Been to You, 1993: World Gone Wrong, 1995: MTV Unplugged…)

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.