Una serie di sogni (rari e irrealizzati)
The Bootleg Series Vol. 1-3 (Rare and Unreleased) (pubblicato nel 1991)
(L’album precedente: Traveling Wilburys Vol. 3
L’album successivo: Good As I Been to You).
Disco Uno
1. Hard Times in New York Town. Registrato il 22 dicembre del 1961 da Tommy Glover, Hard Times descrive con qualche guizzo in meno la stessa situazione di Talkin’ New York, e non è dunque la registrazione più antica di Rare and Unreleased. Ma anche stavolta è il punto esatto da cui Dylan vuole cominciare la sua storia: un vagabondo senza un soldo che prende forma sui marciapiedi di New York, in un inverno in cui chi non si adatta muore. There’s a-mighty many people all millin’ all around / They’ll kick you when you’re up and knock you when you’re down.
2. Il brano più antico invece è He Was a Friend of Mine. Non solo perché è stato registrato un mese prima, durante le sessioni del primo album, ma perché la canzone a quel punto circolava già da decenni: era stata registrata per la prima volta nel 1939. È il più generico lamento per un amico caduto (i Byrds lo useranno per piangere J. F. Kennedy). Quando lo incide (1961), Dylan non ne aveva ancora perso uno. Quando lo pubblica, trent’anni dopo, la lista dei compagni caduti lungo la strada è impressionante. Chi non si adatta muore, appunto: Dylan sa adattarsi. Nel ’91 cominciamo a renderci conto che è questo che lo rende unico: il più grande superstite della storia della musica popolare.
3. “Canterò una canzone non molto lunga, su un uomo che di male non fece mai nulla. Di cosa sia morto nessuno lo sa: lo trovarono morto un mattino in città”. A differenza che nei Witmark Demos, stavolta Dylan si ricorda tutte le parole. Man on the Street è uno schizzo hillybilly che non avrebbe affatto sfigurato in Bob Dylan – ma appunto a quei tempi non voleva sembrare troppo hillybilly (“we want folksingers here!”) I tre brani scartati dal disco d’esordio parlano di morte – Bob Dylan avrebbe potuto essere un disco perfino più lugubre di quanto non sia.
4. No More Auction Block. (Registrato nell’ottobre 1962 al Gaslight cafe). Quando uscì, nel 1991, il primo triplo volume della Bootleg Series, Dylan era convinto che non avrebbe mai più inciso un disco inedito. Non avrebbe più pubblicato una canzone. Ne aveva scritte fin troppe. Avrebbe continuato a suonare concerti in giro per il mondo, ma la sua carriera di compositore era conclusa. Adesso poteva finalmente ammettere che era nata da un equivoco, una mezza truffa: la sua canzone più fortunata, quella che aveva attirato i riflettori su di lui al momento giusto, non era farina del suo sacco. Dylan aveva preso la melodia di Blowin’ in the Wind da un vecchio canto di schiavi (l'”auction block” era il masso su cui venivano esposti gli schiavi durante le vendite). Riproposta trent’anni dopo, sembra una vendetta postuma nei confronti di quel giovane folksinger che sembrava non sbagliare un colpo: credete che sia così migliore di me, chiede il vecchio Dylan? Guardate che non era quel genio che sembrava, anzi, copiava senza ritegno. Rubava melodie agli schiavi.
5. House Carpenter. Un uomo misterioso torna da un lungo viaggio per proporsi a una ragazza che nel frattempo ha sposato un carpentiere (“house carpenter”). L’Uomo insiste, la donna lascia i tre figli e salpa con lui, ma la nave è diretta all’inferno, l’Uomo è il demonio. The Demon Lover è una ballata scozzese che risale almeno al Seicento – forse in principio il Demone era l’ex primo marito, marinaio. Ho letto che in tedesco “house carpenter” suona “Zimmerman”. Nel 1991 Dylan era appena tornato sull’argomento, con The Man in the Long Black Coat. Nel 1993 inciderà un intero disco di antiche ballate. Ci stava prendendo gusto.
6. Talkin’ Bear Mountain Picnic Massacre Blues. Registrata il 25/4/1962 durante le sessioni di The Freewhelin’. Dylan le preferì un altro talkin’ blues, Third World War. Questo è il primo talkin’ che ha composto, ed è già sardonico al punto giusto. Da quanto tempo non ascoltavamo un talkin’? O in generale, una canzone di Dylan che facesse un po’ ridere? C’è stato un momento terribile in cui Dylan ha smesso del tutto di fare il buffone – tra Blonde On Blonde e l’incidente, direi. In seguito, anche quando ci ha provato (con Self Portrait?), mancava sempre qualcosa; come se avesse perso i tempi comici.
7. Let Me Die in My Footsteps è una delle prime canzoni composte da Dylan, scartata da The Freewheelin’ quando il disco era già in stampa: forse per renderlo un po’ meno politico dopo che gli avvocati avevano chiesto la rimozione di John Birch. Secondo me è una delle canzoni più importanti del primo Dylan, all’intersezione dei suoi due grandi argomenti sociali: la bomba atomica e i contadini del Midwest. Qui appunto c’è un contadino del Midwest che non vuole entrare in un rifugio antiatomico – un eroe di poche parole che vuole morire sui suoi piedi. I don’t know if I’m smart but I think I can see / When someone is pullin’ the wool over me. And if this war comes and death’s all around… let me die on this land ’fore I die underground (mi fa piangere). (Se nei 40 anni successivi il Midwest avesse avuto un Bob Dylan in più e un telepredicatore in meno, oggi Trump sarebbe un palazzinaro qualsiasi).
8. Rambling, Gambling Willie è un altro dei pezzi scartati all’ultimo momento da The Freewheelin’ (si sente anche nei Witmark Demos). Ma mentre Let Me Die nel 1991 sembrava la preistoria di Dylan, Rambling Gambling offre uno sguardo sul suo futuro: un tizio che gira il mondo a bluffare, suscitando incredulità e ammirazione, macinando soldi per i bambini e le ex che a casa hanno smesso di aspettarlo. Un giorno qualcuno lo farà secco al tavolo, ma nel frattempo dimmi se non è una bella vita. And it’s ride, Willie, ride, roll, Willie, roll; wherever you are a-gamblin’ now, nobody really knows. (Raccontava che fosse un suo zio).
9. Talkin’ Hava Negeilah Blues. Risale forse al periodo pre-Oswald in cui aveva amici che andavano a Cuba di nascosto e la cosa gli sembrava ancora divertente. L’invocazione blasfema “Havana” si trasforma nell’inno ebraico Hava Nagila, orrendamente storpiato da un hipster che dice di averlo “imparato in Utah”. Forse sta prendendo in giro i sionisti, forse gli hipster, forse è ubriaco, forse tutte e tre le cose, ma nel frattempo su wiki ho imparato che Hava Negila è stato composto su un’antica melodia ucraina. Anche la famiglia Zimmerman, non veniva da quelle parti? Dylan ha cancellato la vecchia melodia e l’ha rimpiazzata col talkin’ blues. Incredibile che si possa raccontare la storia della propria vita anche quando si canticchiano sillabe a caso.
10. Quit Your Low Down Ways. Già sentita nei Witmark Demos. Roba forte, delta blues senza vergogna. Dylan scende all’inferno e s’informa sul prezzo dell’anima di Robert Johnson. Troppo cara.
11. Worried Blues. Brano tradizionale (non è un vero blues) inciso durante le sessioni di The Freewheelin’ (9/7/1962). The Bootleg Series 1-3 è la prima antologia di Dylan a rispettare l’ordine cronologico – così bellamente ignorato in Biograph. Quando uscì, sembrava davvero la conclusione di un percorso. Fine della storia, inizio dell’archeologia.
12. Kingsport Town. Un altro brano di riscaldamento dalle sessioni di The Freewheelin’, le pene d’amore di un cowboy braccato dalla legge. Sono canzoni semplici, suonate con cura e attenzione: non ci posso fare niente, le trovo più ascoltabili di qualsiasi cosa Dylan abbia tentato negli anni Ottanta. Anche lui forse riascoltandosi potrebbe essere giunto alla medesima conclusione: ma se mi rimettessi a registrare canzoni altrui con chitarra e armonica?
13. Walkin’ Down the Line. Demo per i trascrittori della Witmark – mi piacerebbe poterli vedere, mentre cercano di trascrivere “My money comes and goes and rolls and flows and rolls and flows through the holes in the pockets in my clothes”.
14. Walls of Red Wing. La descrizione iperbolica di un riformatorio giovanile, su una melodia clonata dal folklore scozzese. Registrata nell’aprile del 1963, scartata da The Freewheelin’, rispuntò fuori durante le session di The Times They Are A-Changin’. Ma a quel punto Dylan non aveva più bisogno di esagerare.
15. Paths of Victory. Le note dicono che è già una prova per The Times…, ma è accompagnata col pianoforte (e l’armonica), sembra più materiale da Witmark. In questo caso stava cercando un inno che si potesse cantare durante una lunga marcia – senza trovarlo, forse.
16. “Questa si chiama Talkin’ John Birch Blues. E non c’è niente che non va in questa canzone”. È la versione del concerto di ottobre al Carnegie Hall – la più divertente, quella in cui se la prende col postino.
17. Who Killed Davey Moore? Tratta dallo stesso concerto al Carnegie Hall (l’abbiamo ascoltata in una versione più tarda, al Philharmonic Hall). Continua a sembrarmi un pezzo straordinario, che mostra quanto fosse lucido il Dylan impegnato del 1963, prima di decidere di cambiare completamente strada. Pezzi come Hattie Carroll e Davey Moore sono dispositivi ingegnosi e impeccabili – Dylan aveva capito come fare retorica senza mostrarne troppa.
18. Only a Hobo. Un altro barbone che non canterà più. Scartato anche dalla scaletta di The Times They Are A-Changin’.
20. Moonshiner. Una delle cose più oscure e toccanti del Dylan acustico, la confessione spietata di un alcolista (“Moonshine” è il liquore fatto in casa). Il brano – non originale – lo avevamo già ascoltato tra i nastri del Gaslight. A quanto pare era ancora in lizza per entrare nel terzo disco, dove sarebbe sembrata troppo pessimistica.
20. When the Ship Comes In. La non fondamentale versione al pianoforte, registrata per la Witmark. È il brano che Dylan ha suonato alla marcia su Washington e, più di vent’anni dopo, al Live Aid. In entrambi i casi non si capisce bene cos’avesse in mente. Forse è una di quelle profezie che capisci solo quando si avverano.
21. The Times They Are A-Changin’. Versione al pianoforte per i trascrittori della Witmark (in effetti tirare giù gli accordi di chitarra di Dylan doveva essere uno sbattimento).
22. Last Thoughts on Woody Guthrie. Quando si gioca a “chi ha inventato il rap”, qualcuno tira mai fuori questa cosa? Sette minuti di versi a mitraglia, senza interruzioni – non si capisce onestamente come faccia a respirare. Il testo di un inno a Woody Guthrie che Dylan non sarebbe riuscito a cantare (né a imparare a memoria), letto al pubblico del New York City’s Town Hall il 12 aprile 1963. La dimostrazione di un talento che sembrava incontenibile: servivano nuovi strumenti, nuovi modi per cantare che sarebbero arrivati molti anni più tardi. Dylan cercò di inserirlo nel disco live che la Columbia voleva pubblicare – poi non ne fece niente e i Last Thoughts diventarono una curiosità per collezionisti. E il rap lo inventò qualcun altro.
Disco Due.
1. Seven Curses (già ascoltata tra i Witmark Demos) è il primo brano del secondo volume della Bootleg Series, il che non vuol dire veramente niente: è un demo del periodo di The Times They Are A-Changin’, come Only a Hobo e Moonshiner nel disco precedente. Quando il cofanetto uscì, sia Dylan che la Columbia ragionavano ancora sui vinile. La versione per giradischi di Rare and Unreleased constava di cinque LP, come Biograph, di cui speravano di replicare il successo. I “volumi” erano cinque: Rare and Unreleased vol. 1-5. Ma il bootleg successivo (sette anni più tardi!) avrebbe ripreso la numerazione dei CD. Se vi domandavate: quand’è che Dylan smette di concepire gli album come 33 giri e comincia a inciderli pensando al supporto laser?, la risposta provvisoria è: tra 1991 e 1998.
2. Eternal Circle. Un bozzetto un po’ troppo intimista per il grande affresco sociale che stava diventando The Times They Are A-Changin’. Nella penombra di un concerto, Dylan scorge un volto che riflette le parole che sta cantando – si innamora all’istante, ma deve anche finire la canzone, che è molto lunga. Al termine, lei è scomparsa – non resta che riprendere la chitarra e cominciarne un’altra. Sulla stessa aria di Walls of Red Wing, appena un po’ semplificata.
3. Suze (The Cough Song). Un bel fraseggio ragtime apparentemente rovinato da un colpo di tosse. Tom Wilson ci ride sopra. Tom Wilson si divertiva un sacco con Dylan.
4. Mama, You Been on My Mind. Il brano imperdonabilmente tenuto fuori da Another Side of Bob Dylan (quando pensi che in quel disco c’è Black Crow Blues…) esce finalmente dal cassetto nel 1991, in tempo per attirare l’attenzione del giovane Jeff Buckley che la registrerà tre anni dopo. Com’è noto la sera che registrò Another Side Dylan si scolò un paio di bottiglie: qui secondo me siamo a metà della seconda.
5. Farewell, Angelina. Dylan ha scritto una canzone intitolata Farewell, ha scritto Angelina e ha scritto anche Farewell Angelina. Ditemi che non sono il solo a confonderle. Scartata da Bringing It All Back Home.
6. Subterranean Homesick Blues. Versione acustica, che dimostra che Dylan non aveva bisogno di una band per andare fuori tempo. In realtà un tempo in mente ce l’ha, ma è una misura sua privata che prevede pause e lunghezze misteriose. Non riesce a spiegarlo a sé stesso, figurarsi ai musicisti e a noi.
7. If You Gotta Go, Go Now (Or Else You Got to Stay All Night). Il Dylan elettrico arriva senza preavviso, e suona bene! Veramente troppo bene per essere un outtake di Bringing it All Back Home – qui Tom Wilson lavorò di sovraincisioni, e si sente. Uscita come singolo in Olanda, ma non funzionò. L’abbiamo sentita acustica live al Philharmonic, e il pubblico che non poteva ancora conoscerla rideva durante le strofe. Oggi sarebbe apologia di molestie?
8. Sitting on a Barbed Wire Fence. Un di quei bluesacci fantastici da Highway 61 Revisited. “Of course, you’re gonna think this song is a riff…”
9. Like a Rolling Stone. La prima versione al pianoforte, il 15 giugno 1965, giusto per spiegare ai musicisti cos’aveva in mente (i musicisti evidentemente non capirono). Un quarto di secolo dopo ascoltiamo Rare and Unreleased per la prima volta e scopriamo che il pezzo rock più importante dell’universo era nato valzer.
10. It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry. Nello stesso giorno It Takes a Lot sembrava già più matura – la base è un’evoluzione di Subterranean, su cui Dylan sta imparando a cantare senza sbordare fuori dalle misure. Sul disco arriverà più rallentata.
11. I’ll Keep It with Mine. Questa quante volte l’abbiamo già sentita? Ce n’è una al piano registrata malissimo alla fine dei Witmark Demos; una più passabile in Biograph. Questa è un casino – “Cosa stai facendo”, gli dice Wilson. Lui al piano, Kooper all’organo, i residui degli Hawks in cerca di una canzone che non si trova – Dylan non è mai riuscita a trovarla davvero. Avrebbe dovuto rassegnarsi: l’ha regalata a Nico, lei se l’è tenuta.
12. She’s Your Lover Now. Una prima versione fin troppo veloce, dal periodo in cui Dylan cercava di registrare Blonde on Blonde a New York con gli Hawks. Su e giù per le scale di un pianoforte, sembra una Like a Rolling Stones disassemblata, come quando sposti i mobili da una stanza per vedere se per caso non scopri qualcosa di nuovo. Avevamo già sentito la versione più lenta (nashvilliana?) in The Cutting Edge.
13. I Shall Be Released. Sentivate la mancanza di un’altra versione dalla Cantina? Io per esempio no. I cori però devono essere quelli autentici, approssimativi e un po’ stridenti.
14. Santa-Fe. “Now she’s opened up an old maid’s home / She’s proud, but she needs to roam / She’s gonna write herself a roadside poem about Santa Fe”. Siamo sempre in Cantina, ovviamente: non sappiamo cosa stiamo suonando, non sappiamo cosa Dylan sta cantando, abbiamo forse una vaga idea di cosa stiamo fumando. Per essere una collezione di inediti accantonati in 30 anni di carriera, Rare and Unreleased contiene il minimo sindacale di brani dalla Cantina (probabilmente ormai la pubblicazione dei nastri integrali era vista come inevitabile). Nel frattempo nelle interviste Dylan diceva di non amare particolarmente quei brani, di non ricordarli nemmeno.
15. If Not for You. La versione con George Harrison alla slide, superiore a quella incisa su New Morning. Perché non la pubblicò al tempo? Problemi di diritti, spero. È il primo maggio 1970. Avete notato il salto di tre anni? Niente scarti da JWH, niente da Nashville Skyline – eppure c’è ancora un sacco di duetti inediti con Cash (qualcosa è uscito nelle collezioni di Cash). Niente da Self Portrait – ok, qualcosa era stato raschiato su con Dylan, ma veramente poca roba, e quel disco era introvabile (Dylan non voleva che ristampassero il CD).
16. Wallflower. E vai col liscio. Dopo Winterlude, un altro valzer country con tanto di svenevole slide guitar, registrata nel novembre 1971, mentre lavorava al suo singolo più politico e meno conosciuto, George Jackson. Doveva uscire come lato B, ma sarebbe sembrata una presa in giro.
17. Nobody ‘Cept You. Come vola il tempo, stiamo già ascoltando le prove di Planet Waves. È un buon pezzo, in quel disco ce ne sono di peggiori. C’è Robertson col pedale wah-wah, solo lui ha osato usarlo con Dylan.
18. Tangled Up in Blue. La versione acustica (16/9/1974). Graffa di più, ma dopo un po’ stanca. Ha fatto bene ad andare a Minneapolis.
19. Call Letter Blues. Un buon blues che risulta registrato lo stesso 16 settembre, ma con una band completa. Scartata in favore di Meet Me in the Morning, che secondo molti dylaniti ne è l’evoluzione, ma anche quella risulta registrata lo stesso giorno (forse le date sono tutte sballate).
20. Idiot Wind. Alla fine le cose più interessanti di Rare and Unreleased sono quasi tutte acustiche – compresa la rivelazione che Dylan era già tornato al formato chitarra+armonica con la versione newyorkese di Blood on the Tracks, nel 1974. Era già pronto; il mondo un po’ meno.
Disco tre
1. If You See Her, Say Hello. Il terzo brano acustico dalle sessioni di Blood on the Tracks. Anche questo suona ottimo, ma ormai uno si è affezionato alle versioni di Minneapolis.
2. Golden Loom: un brano preso dalle sessioni di Desire (30 luglio) arrangiato nell’inconfondibile foggia di Desire, che a differenza di Abandoned Love non assomiglia affatto agli altri brani di Desire. Non so perché. La progressione? Sono un po’ stanco, ho già ascoltato 40 pezzi di Dylan (ho già ascoltato 30 dischi di Dylan).
3. Anche Catfish, registrato due giorni prima, ha qualcosa di diverso – è un blues lento, tanto per cominciare. Desire è uno dei pochi dischi in cui Dylan sembra poter fare a meno della progressione blues. Non mi sono mai messo a contarli ma devono essere davvero una manciata (uno è, sorprendentemente, The Times They Are A-Changin’).
4. Seven Days. Registrata a Tampa nell’aprile del 1976, è l’unico inedito dalla Rolling Thunder Revue. Assomiglia vagamente a Señor, che è forse il motivo per cui è scomparsa dal radar.
5. Ye Shall Be Changed. Scarto da Slow Train Coming. Che colpo, passare dalla Rolling Thunder alla produzione leccata di Jerry Wexler. Lasciate perdere il sermone del reverendo Dylan: ascoltate gli strumenti. Non potrebbe essere una base karaoke di qualche brano Motown (ma anche degli Wham!)?
6. Every Grain of Sand. Doveva cominciare con una velocità diversa, poi Dylan attacca più veloce e la chitarra si adatta. Oggi probabilmente questa versione improvvisata, col cane che a un certo punto si mette ad abbaiare, ci piace più di quella impeccabile mandata in stampa su Shot of Love. Ma chissà cosa ne penseremo tra vent’anni.
7. You Changed My Life. Il Dylan predicatore al massimo della forma. Si sente bene, è contento di sentirsi bene, vuole che ce ne rendiamo conto. Mi vengono in mente almeno quattro pezzi di Shot che potevano essere sacrificati per fargli posto. Ma forse se l’ascoltassi in mezzo agli altri pezzi di Shot la troverei sopravvalutata. Con Dylan è sempre così.
8. Need a Woman (4/5/1981). Il lato oscuro del Dylan predicatore: “cercando la verità nel modo in cui Dio l’ha disegnata, la verità è che potrei annegare prima di trovarla”. Quindi? Quindi gli serve una donna!, e ha anche una mezza idea di dove trovarla. “Ti ho messo gli occhi addosso da cinque lunghi anni. Tu probabilmente non mi conosci affatto, ma io ti ho visto ridere e piangere”. Ok, questo è perturbante. E anche il fatto che sia suonata da Dio. Carolyn Dennis potrebbe già essere ai cori.
9. Angelina. Ottima ballata inspiegabilmente tagliata da Shot – forse perché le rime in -ina erano un po’ sceme. “the monkey dances To the tune of a concertina” / “the judge sent me down the road with your subpoena”. Non riesco a non immaginare Joan Baez che fa una smorfia mentre l’ascolta: vecchio Bob, ma cosa t’inventi? “Worshipping a god with the body of a woman well endowed… and the head of a hyena!”
10. Someone’s Got a Hold of My Heart, scartata da Infidels, è la prima versione di quella che poi sarebbe diventata Tight Connection to My Heart. Sorpresa: è migliore, più trascinante, la versione prodotta da Arthur Baker. Sì, proprio quella con le dylanettes e quel cazzo di batteria – ci siamo capiti.
11. Tell Me. Ci sono tre tracce di chitarra (Knopfler, Taylor, Dylan), e si sentono tutte bene. Ci sono anche i coretti, ma maschili (è pur sempre Infidels). Una di quelle ballate un po’ sfacciate che gli uscivano a metà anni Ottanta.
12. Lord Protect My Child. Una preghiera senza vergogna: Signore non gli sarò spesso vicino, e il mondo è un bel casino. Un giorno forse andrà tutto meglio, ma nel frattempo, proteggi mio figlio.
13. Foot of Pride. “Non si ritorna indietro, quando si abbatte il piede del superbo”. Non è che si capisca bene di cosa parla – e questo la rende superiore ad altri brani di Infidels in cui invece si capisce fin troppo. “Una puttana passerà col cappello, raccoglierà centomila dollari e dirà grazie. Loro amano ricavare tutto questo denaro dal peccato, costruirci grandi università… Cantano Amazing Grace lungo la strada verso le banche svizzere…” interessante come le canzoni di Dylan preferite da Lou Reed sembrino già pronte per essere interpretate da Reed.
14. Blind Willie McTell. Dalle tapparelle di una camera d’hotel, Dylan getta uno sguardo su un mondo senza redenzione. “Ho visto la freccia sullo stipite della porta: dice che questa terra è condannata, da New Orleans a Gerusalemme”. La versione unplugged, decisamente superiore a quella scartata da Infidels: Dylan è al pianoforte, non alla chitarra come inizialmente ti viene spontaneo pensare (la suona Knopfler). Col tempo Blind Willie diventerà la canzone più apprezzata incisa da Dylan negli anni Ottanta – l’unico brano del periodo a essere per esempio inserito in I’m not there. Ma all’inizio era uno dei tanti bozzetti blues di cui non sapeva bene cosa fare. Riuscì a capirne il potenziale soltanto quando ascoltò una versione live della Band (sì, c’era ancora la Band in circolazione negli anni ’90, senza Robertson). Da lì in poi l’ha suonata dal vivo più di 200 volte.
15. When the Night Comes Falling from the Sky con Steve Van Zandt e Roy Bittan della E Street Band, tutt’un’altra musica rispetto ad Empire Burlesque: una progressione più positiva, come se l’apocalisse non fosse solo vicina, ma anche meravigliosa. Eppure io preferisco quella prodotta da Arthur Baker, più drammatica e disco. Sono strano lo so.
16. Series of Dreams. Lanois l’avrebbe voluta all’inizio di Oh Mercy, e ce la mise tutta per darle il suono di una tempesta che si annuncia da lontano e poi picchia duro coi violini. A Dylan non piaceva dove stava andando e la tagliò dal disco – del resto non è il senso della canzone? Non sto cercando niente di specifico, non mi serve nessun aiuto, non ho nessun risultato da inseguire: sto solo sognando tutto quanto. Le altre antologie di Dylan, quelle senza rispetto per la cronologia, cominciavano spesso con un brano nuovo che serviva a mettere en abyme il resto del disco: ad esempio Greatest Hits II iniziava con l’ultimo singolo, Watching the River Flow, e poi un flashback. Anche in Biograph succedeva qualcosa del genere. Rare and Unreleased è più rigoroso, ma chiude con una canzone che sembra aggiungere una dimensione in più, lo spazio per un dubbio: forse Bob Dylan non esiste, è solo una serie di sogni. Forse posso svegliarmi.
(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 1962, 1963: The Freewheelin’ Bob Dylan, Brandeis University 1963, Live at Carnegie Hall 1963, 1964: The Times They Are A-Changin’, The Witmark Demos, Another Side of Bob Dylan, Concert at Philharmonic Hall, 1965: Bringing It All Back Home, No Direction Home, Highway 61 Revisited, 1966: The Cutting Edge 1965-1966, Blonde On Blonde, Live 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert, 1967: The Basement Tapes, John Wesley Harding, 1969: Nashville Skyline, 1970: Self Portrait, Dylan, New Morning, Another Self Portrait, 1971: Greatest Hits II, 1973: Pat Garrett and Billy the Kid, 1974: Planet Waves, Before the Flood, 1975: Blood on the Tracks, Desire, The Rolling Thunder Revue, 1976: Hard Rain, 1978: Street-Legal, At Budokan, 1979: Slow Train Coming, 1980: Saved, 1981: Shot of Love, 1983: Infidels, 1984: Real Live, 1985: Empire Burlesque, Biograph, 1986: Knocked Out Loaded, 1987: Down in the Groove, Dylan and the Dead, 1988: The Traveling Wilburys Vol. 1, 1989: Oh Mercy, 1990: Under the Red Sky, Traveling Wilburys Vol. 3, 1991: The Bootleg Series Vol 1-3 (Rare and Unreleased), 1992: Good As I Been to You…)