L’Islam è un problema (non è la soluzione)
20 novembre – San Dasio († 303), martire.
A San Dasio, un martire qualsiasi, caduto ovviamente ai tempi di Diocleziano presso Durostorum (oggi sarebbe Bulgaria), un monaco che s’annoiava associò una leggenda curiosa. Dasio non aveva ancora fatto il suo coming out di cristiano, quando fu acclamato dai suoi concittadini re dei Saturnali, il carnevale di quei tempi: al termine del quale il re sarebbe stato scannato dai suoi sudditi in festa. Era un’usanza che magari il monaco si inventò lì per lì per conferire ai legionari pagani i costumi più turpi possibili: finché James Frazer non la trovò e in un qualche modo decise che si trattava dell’unica testimonianza rimasta di un antichissimo rito comune a tutta l’antichità greca e romana, in fondo perché no? Se l’ha detto Frazer.
Solo a quel punto Dasio, vedendosi comunque condannato a morte, decise di rivelarsi per un cristiano: e così, invece che sacrificato a Crono, morì da martire. La storia sembra escogitata apposta per provocare una discussione: benché sia morto esattamente sotto le stesse armi di tanti altri colleghi di martirio, Dasio potrebbe sembrarci un po’ meno eroico: mentre ad altri fu offerto di rinnegare il loro Dio, e rifiutarono, Dasio sapeva che sarebbe morto in ogni caso. L’unica scelta a sua disposizione era cambiare il senso della sua morte. Voi dite che io muoio per X, e invece io muoio per Y. Per noi, che non crediamo più né in X né in Y, la cosa sembra quasi irrilevante. Ma la stessa cosa penseranno i posteri di noi.
Un giorno scrolleranno un papiro, un microfilm, un’immagine a mezz’aria, e leggeranno dei dibattiti che facevamo nel novembre del 2015 sugli stragisti di Parigi: se fossero morti perché (x) islamici o perché (y) vittime della mancata integrazione, del degrado delle banlieues (z), del pasticcio geopolitico medio-orientale (w), della carestia che col riscaldamento globale cominciava a bussare a un bordo del Mediterraneo (v): e tutti questi concetti per loro saranno ugualmente astratti. I fatti di cronaca in sé, invece, li afferreranno benissimo: c’era una fazione che voleva seminare il terrore sparando a obiettivi precisi ma anche a casaccio; questo è comprensibile, è successo altre volte e probabilmente non smetterà mai di succedere, per cui possiamo essere ragionevolmente sicuri che finché ci saranno individui della nostra specie, la violenza terroristica non sarà loro aliena: ma avranno parole diverse per spiegarla, parole che a loro sembreranno molto più semplici. Scrolleranno la testa, invece, di fronte alle nostre astruse spiegazioni, alle nostre razionalizzazioni così poco razionali.
Quando per esempio parliamo di Islam, e ci domandiamo se possa avere o meno a che fare col terrorismo. È una domanda seria? Voglio dire, sono musulmani integralisti, brandiscono il Corano, ci definiscono infedeli e crociati, e muoiono come martiri: così a occhio direi che l’Islam un po’ c’entra. È curioso anche solo il fatto che ci poniamo il problema. Perché abbiamo difficoltà ad ammettere che la religione sia un fattore determinante, se non scatenante, di un fenomeno terroristico? Probabilmente perché abbiamo paura di offendere quei musulmani che non sono integralisti, né fanatici, né terroristi (è la stragrande maggioranza) e che anzi, sono il primo obiettivo degli integralisti, dei fanatici, dei terroristi. I cosiddetti “islamici moderati”. Bene.
Ma è una paura che si spalma sull’ipocrisia. Se davvero fossero “moderati”, non dovrebbero offendersi, tanto è evidente il fattore religioso in un terrorismo di dichiarata matrice islamica. Allora forse siamo noi per primi a non crederci molto, a questa cosa dei “moderati”. Abbiamo paura di urtare la loro suscettibilità – e se poi si radicalizzano? Se smettono di essere “moderati”? (Noto qui per inciso che in italiano il termine esiste solo per gli islamici: non ho mai sentito parlare di cristiani o di ebrei “moderati” – al massimo di cristiani integralisti, o ebrei ultraortodossi. L’islam è l’unico grande monoteismo che sentiamo di dover “moderare”).
Il vero motivo per cui almeno io percepisco una certa difficoltà a individuare l’Islam come un agente patogeno del terrorismo, è molto più terra-terra: non voglio darla vinta alla Fallaci. E a tutti quelli che la citano, ovviamente, ormai senza neanche leggerla più (resterebbero sorpresi nello scoprire, per esempio, che era scettica sugli effetti della Guerra al Terrore di Bush; e del disprezzo con cui liquidava la Lega e il suo leader di allora). Per un sacco di gente, dall’11 settembre di 14 anni fa, “Islam” è diventata la risposta più comoda, e in molti casi l’unica. Perché ci vogliono ammazzare? Perché sono islamici. Ma non sarà che provengono da Paesi disastrati dalle fallimentari strategie geopolitche delle superpotenze? Naaah, è solo che sono islamici. Sicuri che non c’entri per niente il modo in cui abbiamo corrotto la loro classe dirigente, mettendo un Paese contro l’altro e vendendo armi un po’ a tutti, senza riflettere su che fiori tossici sarebbero nati dalle macerie? No, no, guarda, è molto più semplice: loro leggono un solo libro e su quel libro c’è scritto che ci devono ammazzare. E la fragilità del benessere di Paesi basati sull’esportazione di idrocarburi, praticamente privi di una classe media che possa creare le premesse per una democratizzazione e laicizzazione della soc… Uff, perché la fai tanto lunga? Islam. E la questione israelo-palestinese, questa ferita aperta che non si ricuce mai? Anche lì, è semplicissimo: i palestinesi sono islamici, gli islamici sono antisemiti, quindi… E il malessere delle banlieues? Dovevano stare a casa loro. Ma le migrazioni sono inevitabili, cioè guarda qualsiasi proiezione demografica, è chiaro che un sacco di gente arriverà in Europa da sud in cerca di cibo e lavoro, parliamo di milioni di persone, mica li puoi tenere fuori… non essere buonista, loro vengono perché sono islamici e sul loro libro c’è scritto che ci devono conquistare. Ecc. ecc.
Nota per il postero: non sto riassumendo dei discorsi da bar. Ovvero, è chiaro che se ne sentono anche al bar, di discorsi così: ma sono gli stessi che fanno autorevoli leader di partito, intellettuali, opinionisti anche loro “moderati”: quelli del Corriere che si nascosero dietro le urla scomposte dell’anziana Fallaci (nessun editorialista maschio ebbe il coraggio di prendersi una fatwa in quell’eroico momento: tutti dietro la vecchietta). Quelli un po’ bricconcelli, un po’ situazionisti del Foglio; gli sciacalli del collasso del berlusconismo, Salvini e la Meloni. Per loro ormai “Islam” significa “ci odiano”, il che rende i loro ragionamenti perfettamente circolari, se non puntiformi. Perché ci odiano? Perché sono islamici. Perché sono islamici? Perché ci odiano. Quel corto circuito tautologico che attirava l’attenzione di Roland Barthes. “Islam” per noi è ormai un mito, nel senso che lui dava al concetto; una parola svuotata del suo senso originario, delle storie complesse che rappresentava, e trasformata in un dato di natura. “Ci odiano”, e non c’è bisogno di altra spiegazione. Ormai lo possiamo scrivere sulla cartina, proprio dove una volta scrivevamo “Hic sunt leones”. Non c’è bisogno di indagare, studiare, capire. Ci odiano. Perché?
Allora il motivo per cui faccio fatica a unirmi al coro è proprio questo. So benissimo che l’Islam è un fattore importante, ma a questo punto non posso che chiedermi: cos’è l’Islam? E perché oggi è importante e 50 anni fa molto meno? Quali sono i processi storici, sociali, economici, che hanno reso possibile un’insorgenza religiosa in Paesi come l’Egitto, la Siria, l’Iraq, che nel dopoguerra sembravano regimi laici oscillanti tra un socialismo nazionale e un nazionalismo tout-court? Soprattutto: se 50 anni fa le parole d’ordine erano “rivoluzione proletaria” e “liberazione nazionale”, e oggi sono “califfato” e “Jihad”, non viene a nessuno il dubbio che siano solo etichette che si cambiano ogni tanto, quando la nuova generazione si stanca dei discorsi dei vecchi? In ogni caso, è chiaro che l’Islam c’entra, ma non è la spiegazione. È solo il nome che do a un problema complesso.
Succede un po’ la stessa cosa con una parola molto diversa, “Euro”. Abbiamo diverse ipotesi per le difficoltà economiche in cui versa il nostro continente; abbiamo dati oggettivi (l’enorme divario tra il nostro costo di vita e quello dei lavoratori di 3 miliardi di Paesi in via di sviluppo). Possiamo metterci a studiare con attenzione il problema e proporre soluzioni difficili e mai indolori, oppure possiamo attribuire tutte le colpe all'”Euro”. Non avremo nemmeno del tutto sbagliato, perché per diversi cittadini europei l’Euro è davvero un problema (così come l’Islam è davvero una minaccia). Avremo semplicemente deciso di non risolvere un problema, di nominarlo soltanto. Siamo in crisi? Euro.
Suppongo che chi verrà dopo di noi sarà meno disposto ad accontentarsi: leggeranno “Euro”, leggeranno “Islam” e si domanderanno: di cosa stavano parlando in realtà? Noi, quando leggiamo delle risse in strada tra nestoriani e monofisiti, abbiamo una certa difficoltà a convincerci che si trucidassero davvero per questioni teologiche che per noi sono lana caprina. Abbiamo sempre il sospetto che dietro ci fossero altre tensioni, sociali ed economiche. I posteri faranno lo stesso con noi. Quando alla pagina del 2015 leggeranno Islam, non crederanno nemmeno per un istante di trovarsi davanti allo stesso “Islam” del volume dedicato al millennio precedente, quello coi beduini e le scimitarre. Siamo in quello coi pozzi di petrolio e Internet, tutte le parole nel frattempo hanno cambiato numerosi significati e senz’altro è successo anche a “Islam”. Leggeranno dei martiri suicidi e si domanderanno: per cosa morivano davvero? Per il paradiso di Maometto, che lo immaginava verde perché aveva in mente il colore delle oasi nel deserto? Per le 72 vergini? Questi sono i motivi che appiccichi al tuo martirio quando sai che ormai morirai in ogni caso, come San Dasio. Ai posteri forse interesseranno altre cose: l’economia? che tipo di welfare, che tipo di integrazione sociale permetteva a Hasna Aitboulahcen di nascere a Clichy la Garenne, studiare a Metz, dirigere una piccola azienda e poi farsi saltare in aria nel tentativo di ammazzare più poliziotti possibile? “Islam” non sarà una risposta soddisfacente molto a lungo: riempie la bocca, ti può far vincere qualche elezione, ma alla fine non spiega niente. E soprattutto non offre nessuna soluzione a lungo termine.
Tutto lì il problema, in fondo: cioè, anche ammesso che il problema sia “Islam”, che si fa? Ogni volta che rivolgerai questa domanda al fallaciano di turno, lui butterà la palla in tribuna. Se davvero il problema è l’Islam, coerenza vorrebbe che rispondessimo con una Crociata; si sa come funziona, c’è vasta letteratura sull’argomento. Bisogna scannarne molti e provare a convertire gli altri: è molto costoso e… non funziona mai (ci abbiamo provato una dozzina di volte). E quindi? Dietro a tutta la Rabbia e tutto l’Orgoglio c’è una sorda sensazione di Impotenza.
Un altro motivo per cui ho qualche difficoltà a dire “Islam” è che quando affronto un problema, io cerco subito la soluzione. È un mio grosso difetto, perché la soluzione a volte richiede molto tempo e io quel tempo non lo voglio perdere. Per cui se mi chiedi come risolvere il problema del Terrorismo, io quasi quasi ti rispondo su due piedi. Dunque. Siccome tutti i terroristi europei dell’Isis fin qui acciuffati sono cresciuti in Europa, penso sia un problema europeo. Credo che rifletta il malessere sociale degli immigrati di seconda generazione, e che si debba prevenire spendendo parecchi soldi in più in welfare e integrazione. Hai visto come ho fatto presto?
E l’Islam? E l’Islam c’è, non posso mica far finta di non vederlo. È una religione complessa – come tante altre religioni. È un’ideologia che può portare alla violenza, come quasi tutte le ideologie; più di altre, meno di altre, difficile stilare una classifica. Ammetterlo non deve costarmi fatica, ma non mi offre nemmeno una soluzione pratica. Sappiamo che le conversioni forzate non funzionano; che creare martiri è controproducente. Se vogliamo secolarizzare l’Islam, forse dobbiamo studiare il modo in cui si è secolarizzata dal XVI secolo in poi la società europea. Non è stato un processo lineare, ed è morta un sacco di gente. Oggi tutto succede molto più in fretta e gli europei sono molti, molti di più, ma non deve necessariamente essere una catastrofe. A occhio credo che servirà molto laicismo: lo direi persino se fossi un cattolico devoto; nel momento in cui il cristianesimo non è più maggioritario, solo un’autorità statale laica mi può garantire la libertà di culto. Viceversa gli atei che si fanno devoti mi sembra che stiano semplicemente perdendo la testa. È puro panico, quello che esprimeva l’anziana giornalista atea quando si rimetteva a rimpiangere i bei campanili dell’infanzia. Non è identità, è un approccio vintage, perdente, come quello dei neopagani che nel quarto secolo reagivano al cristianesimo cercando di rianimare gli esausti dei del pantheon greco-romano. Se volete che l’Islam del futuro sia diverso dall’Islam di adesso, dovete accettare che anche il cristianesimo del futuro sarà diverso. Sarà tutto diverso, e magari in un modo che non ci piacerà, ma dopotutto non dovremo conviverci a lungo.
A un certo punto ce ne dovremo andare. Alcuni avranno la possibilità di dichiarare perché se ne vanno: di morire in nome di Cristo, di Allah, della laicità, dell’Europa più o meno ariana, della pace. Ma poi verrà gente che avrà problemi a distinguere Allah, Cristo, la laicità, non troverà i confini dell’Europa né il gene dell’arianità. Per loro saranno solo valori astratti, X, Y, Z. Chissà cosa ne penseranno. Magari anche niente.