Lazzaro che morì due volte
29 luglio – San Lazzaro, amico di Gesù
Tutti dobbiamo morire, e secondo la dottrina cristiana Gesù a tempo debito ci resusciterà. Tranne Lazzaro: lui è stato risorto prima. Così presto che è probabilmente già rimorto. Ma perché con lui Gesù si è comportato così? A prima vista sembrerebbe una debolezza: Lazzaro ha un trattamento di favore perché… è suo amico.
Gesù ha un solo amico: gli altri li chiama fratelli, o discepoli. Quando muore, ci rimane male. È il messia, è il Cristo, giudicherà i vivi e i morti, ma ci rimane male lo stesso. Davanti alla tomba scoppia a piangere. Non era successo per tre vangeli sinottici, ed ecco che succede nell’ultimo, quello di Giovanni. Anzi, un argomento per considerare il vangelo di Giovanni il più tardo è proprio questa virata nel patetico: all’estremo opposto sta il Gesù di Marco, probabilmente il più antico, un tizio sempre corrucciato e sdegnato perché i comuni mortali non hanno orecchie per intendere le sue parabole. Il Gesù di Giovanni invece sembra ridisegnato per un ceto medio che vuole bei discorsi ma anche una certa dose di sentimento.
Insomma, frigna come un pupo. Tanto che la gente comincia a darsi di gomito; però! Gli voleva bene davvero, al suo amico. Boh, ma se è davvero Chi dice di essere, non poteva arrivare un po’ prima? Gesù non fa segno di ascoltare, ma chiede che sia aperta la tomba, malgrado le obiezioni della sorella più pratica, Marta (“Sono passati tre giorni, puzzerà”). E invece Lazzaro ne esce fuori fresco come appena deposto, e soprattutto esce vivo. Gesù l’ha risorto. Non è un miracolo come gli altri.
Gesù non aveva mai risorto nessuno prima. Ovvero, no, ci sarebbe l’episodio della figlia di Giairo, “capo di una sinagoga”, riportato dai tre vangeli sinottici: ma non è chiaro se la bambina sia davvero morta. Lo stesso Gesù minimizza; afferma che la bambina sta solo dormendo, e la risveglia. Il caso di Lazzaro è molto diverso. Addirittura Gesù prende tempo; anche se le sorelle Maria e Marta gli avevano fatto sapere della malattia dell’amico, Gesù decide di aspettare che muoia. E agli apostoli prima di partire dice proprio così: Lazzaro è morto.
…e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!
A questo punto ci accorgiamo che la decisione di risorgere Lazzaro non è una semplice debolezza, ma parte di un piano. I tre giorni di attesa sono fondamentali, non solo perché preannunciano la morte di Gesù, ma perché legalmente sono necessari affinché la resurrezione non possa essere derubricata a risveglio da un coma (quel che era successo nel caso della figlia di Giairo). Anche il dettaglio della puzza non è un semplice tocco di realismo: il testo vuole eliminare qualsiasi dubbio sul fatto che quella di Lazzaro sia stata una resurrezione, non una guarigione. Gesù ha scelto il suo amico per farne il cardine di tutto il Vangelo.
Non a caso nel testo di Giovanni occupa proprio il capitolo centrale: tra la prima parte, il cosiddetto “vangelo dei segni”, e la seconda parte, il lungo racconto della passione. Nella prima parte Gesù ha esibito agli scettici tutti i “segni” necessari affinché credano che lui è il Messia – e che riprendono una profezia di Isaia: gli storpi camminano, i sordi odono, i ciechi vedono… i morti devono resuscitare. Lazzaro è appunto l’ultimo segno, la prova definitiva che Gesù è Colui che afferma di essere. Ma proprio la sua resurrezione è l’inizio della passione di Gesù: appena farisei e sommi sacerdoti si accorgono di che è successo, decidono di ammazzare sia Gesù che Lazzaro, il colpevole e la prova. L’idea di uccidere un tizio in grado di resuscitare dai morti può lasciare perplessi, ma il ragionamento dei sacerdoti non è poi così peregrino:
“Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”.
Col suo nuovo culto, potenzialmente rivoluzionario, Gesù rischia di attirare l’attenzione della potenza occupante. Chi scrive il Vangelo probabilmente sa già di cosa sono capaci i Romani – che raderanno davvero al suolo Gerusalemme nel 70. “Meglio che muoia lui, piuttosto che un popolo intero”, dice il sommo sacerdote. Una frase troppo bella e pregna di significato per essere stata pronunciata davvero, e infatti probabilmente Caifa non la pronunciò. Tutto l’episodio sembra, in effetti, una costruzione a posteriori, di un autore che conosce per sommi capi il racconto evangelico, ma vuole dargli un senso nuovo, un respiro diverso (oltre a spruzzare un po’ di sentimenti qua e là). (Continua…)
Giovanni è l’evangelista più filosofico, lo sanno tutti; mastica un po’ di gnosi, e scrive molto bene; ma da un punto di vista meramente narrativo, sembra un autore di fanfiction – un lettore dei vangeli precedenti che si mette a ricamarci sopra perché molti episodi lo hanno lasciato insoddisfatto – inoltre crede di aver trovato dei buchi di sceneggiatura e non li sopporta. Perché Gesù non scoppia mai in lacrime? Non sarebbe bello se avesse un amico? Vabbè, queste sono domande triviali (e però ricordiamo che tutta la fortunatissima saga delle 50 sfumature nasce come fanfiction partorita dalla curiosità di una lettrice di Twilight: cosa sarebbe successo se Bella e il suo vampiro preferito fossero nell’intimità un po’ inclini al sadomaso?)
Tra le domande che il fan-Giovanni si pone ce n’è una fondamentale: perché Gesù non ha mai resuscitato un morto? Ok, ha resuscitato sé stesso, ma solo alla fine. E però, molto prima della fine, ai discepoli di Giovanni Battista che gli chiedevano se fosse veramente il Messia aveva detto:
Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano.
Questo è Matteo undici, ma i morti che risuscitano chi sono? In Matteo non ci sono! Ok, la figlia di Giairo, ma possiamo veramente contarla? Con lo stesso Gesù che afferma “non è morta ma dorme”? Insomma qui c’è un buco, bisogna riempirlo. Ma con cosa?
Un altro tratto tipico degli autori di fanfiction è il riutilizzo di nomi e personaggi minori. È un modo per sentirsi più ‘canonici’, vicini all’originale che stanno rielaborando. Giovanni evangelista riprende così le due sorelle Marta e Maria, già protagoniste di un breve e famoso diverbio nel vangelo di Luca; e le provvede di un fratello di cui nessuno fin qui ha sentito parlare, ma a cui Gesù voleva evidentemente un bene dell’anima. Se il personaggio-Lazzaro è un’assoluta novità, il suo nome non è tuttavia nuovo: Eleazar (“Dio è il mio aiuto”) era già il nome di un lebbroso in una parabola dei sinottici, costretto a mendicare davanti alla casa del ricco Epulone: da lui viene il termine “lazzaro” come sinonimo di “lebbroso” (da cui “lazzaretto”), nonché l’accrescitivo “lazzarone” . Poi Epulone finisce all’inferno e non può nemmeno supplicare che Lazzaro dal paradiso gli allunghi un po’ d’acqua, tra i due oltremondi non vi è nessuna convenzione. Battezzando “Lazzaro” l’amico di Gesù, il Fan-Giovanni può anche alludere al luogo dove Lazzaro sarebbe stato nei tre giorni tra la morte e la prima resurrezione: il paradiso. Una questione che lasciava perplessi alcuni teologi, secondo i quali l’amico di Gesù non poteva che essere stato all’inferno: il paradiso era ancora chiuso. D’altro canto, il Lazzaro del vangelo di Giovanni non è un lebbroso, non è un mendicante; forse il fan-Giovanni stava soltanto cercando un nome di origine ebraica, per evitare di inventarsene uno che rischiasse di suonare falso a un orecchio più allenato del suo.
Lazzaro dunque dovrebbe morire e resuscitare una prima volta per risolvere un’incongruenza narrativa dei vangeli sinottici, e dimostrare incontrovertibilmente che Gesù è il messia. Giovanni dà particolare importanza dei “segni”, i miracoli rivelatori; laddove gli altri evangelisti li snobbano un po’, ammettendo in alcuni casi che Gesù li facesse controvoglia e li considerasse con sufficienza. La gente lo avrebbe dovuto seguire per quel che diceva, e non per i pani o i pesci, o un lebbroso guarito o un paralitico rialzatosi dalla sedia. Per Giovanni invece i “segni” sono fondamentali, e Lazzaro è il più importante. Peccato che se lo sia molto probabilmente inventato.
Un altro indizio del carattere fittizio dell’amico di Gesù è la sua improvvisa scomparsa: così com’era apparso, fa sparire subito le sue tracce. Che fece durante la passione dell’amico? E dopo la resurrezione? Non si sa. Di sicuro non era coi Dodici, ma gli Atti degli Apostoli di lui non dicono niente (per forza, li aveva scritti Luca prima che Giovanni partorisse il personaggio). È lo stesso Fan-Giovanni a suggerirci una spiegazione: i sacerdoti del sommo sinedrio volevano far accoppare anche lui, magari ci sono riusciti. Un’altra teoria, ma molto più tarda, è che Lazzaro sia stato occultato dai proto-cristiani proprio perché il sinedrio gli dava la caccia. Paolo di Tarso lo avrebbe portato a Larnaca, nell’isola di Cipro, di cui Lazzaro sarebbe diventato il vescovo fino alla sua seconda morte, trent’anni dopo. La leggenda orientale dice che non sorrise mai, per tutto il tempo, a causa di quello che aveva visto nei suoi tre giorni da morto. Dunque era stato all’inferno.
Solo una volta gli sarebbe scappato un sorriso – davanti a un ladro di vasellame – dopo aver sentenziato: “L’argilla ruba l’argilla”.
L’ipotesi occidentale, che i lettori di Dan Brown magari conoscono, è che Lazzaro sia miracolosamente approdato con le due sorelle nel Midi della Francia, diventando il primo vescovo di Marsiglia. La devozione dei marsigliesi fu tale che nel 1204, durante la Quarta Crociata, (detta anche saccheggio di Bisanzio) si portarono a casa le reliquie. Poi le persero, forse anche in seguito a una riflessione: se davvero le sue ossa erano custodite a Bisanzio, Lazzaro non avrebbe mai potuto evangelizzare Marsiglia. In ogni caso i suoi resti si possono venerare ad Autun e a Vézelay in Borgogna – oltre che naturalmente a Larnaca. A Vendome invece c’è un’ampolla con le lacrime che Gesù avrebbe pianto davanti al suo amico. Forse perché sapeva di averlo lasciato scendere all’inferno, anche solo per tre giorni. Oppure perché davvero gli voleva bene.