Canonizzato in direttissima
25 marzo – San Disma, il ladrone buono.
One of the thieves was saved. It’s a reasonable percentage. (Waiting for Godot)
Il vangelo di Marco, forse il più antico, parla in effetti di due ladroni: uno a destra e uno a sinistra di Gesù. Così si avvera tra l’altro una profezia di Isaia: “È stato messo tra i malfattori”. Dopo Marco, Matteo riprende l’episodio, ma è più ricco di particolari e aggiunge quello degli insulti a Gesù: anche i ladroni sulla croce lo scherniscono. Nessun accenno a un pentimento da parte di uno dei due. È Luca a mettere loro in bocca le parole: “Non sei tu Messia?”, dice il primo, “salvati da solo e salva anche noi”. E il secondo, con un po’ di buon senso: ma lascialo stare. Non ce l’hai un po’ di timor di Dio? Io e te ce la meritiamo, ma che ha fatto lui di male? Bellissime parole che Luca, cronista di razza, potrebbe aver recuperato da un testimone orale (Maria di Nazareth, ad esempio: Luca sa molte più cose di lei degli altri tre evangelisti). Ma potrebbe anche anche essersele inventate per dare più colore alla storia.
E però Luca è bravo e sa dove fermarsi prima di trasformare la cronaca in leggenda: il ladrone non rinnega la sua vita di peccato, non chiede a gran voce perdono: si comporta in modo semplicemente umano, rifiutandosi di passare le ultime ore della vita a ingiuriare un innocente compagno di sofferenze. Si potrebbe persino sostenere che ad avere più fede sia l’altro ladrone, quello che non si rassegna e si aspetta un miracolo in extremis – da un Messia è il minimo. Sarà stato senz’altro molesto, come molti disperati prima di morire, ma il Cattivo non fa che chiedere a Cristo quello che tutti si aspettano che Cristo faccia: staccati dalla croce e sàlvati, e già che ci sei salva anche noi. Il Buono però soggiunge:
“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”.
Tutto qua e tanto basta: In verità ti dico, gli risponde quegli, oggi sarai con me in paradiso. Il processo di canonizzazione più rapido della Storia: l’unico a cui per ora Gesù Cristo ha partecipato direttamente e non mediante vicari facenti funzione. La semplificazione burocratica è tale che secondo alcuni il Buono è già assunto in cielo in carne e ossa, uno dei pochissimi a non dover aspettare la fine dei tempi affinché il corpo si ricongiunga con l’anima (è la condizione di Maria, forse di Giuseppe, di altri non si sa). La Chiesa non si è mai pronunciata ufficialmente, ma la credenza è così diffusa e radicata che non esistono reliquie del Ladrone Buono: neanche un ossicino, un dente, nulla. La croce, viceversa, è spezzata in varie schegge, la più grande custodita a Roma presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, che come dice il nome è una specie di parco a tema gerosolimitano che custodisce anche frammenti della Croce di Gesù, più alcune spine, il cartiglio di Ponzio Pilato, il dito dell’apostolo Tommaso e tanti altri souvenir della Terrasanta. Il Cattivo, per contrappasso, sarebbe stato inghiottito direttamente dall’inferno, attraverso una voragine che metterebbe tuttora la collina del Golgota in comunicazione con il fuoco eterno.
Nei vangeli i due ladroni non hanno nomi, e anonimi resteranno almeno fino al IV secolo, quando un apocrifo finalmente nomina il Buono: Disma. Il nome del Cattivo (Geflas o Gesta) è un po’ più tardo: quest’ultimo sarà poi ritenuto colpevole di omicidio plurimo, mentre Disma continuerà a essere considerato un semplice predone. In realtà il supplizio della croce era riservato agli schiavi ribelli, e per esteso a chi si ribellava alle autorità Romane (è l’argomento usato dal Sinedrio per chiedere la morte di Gesù). Disma e Geflas potrebbero anche essere stati due rivoluzionari, zeloti o di qualche altra fazione.
Due secoli più tardi il ladrone Buono, fin qui una comparsa, diventa personaggio secondario nel vangelo arabo dell’infanzia. I vangeli dell’infanzia sono gli apocrifi meno seri: in sostanza si tratta di fan-fiction nata per riempire i buchi dei vangeli, soprattutto quei trent’anni dopo la fuga in Egitto in cui Gesù non sembra aver fatto nulla di rilevante. Il bacino d’utenza di queste opera sembra la prima classe di catechismo: c’è Gesù bambino che fa tanti miracoli, Giuda bambino che fa tanti dispetti, e così via. Il ladrone Buono qui è chiamato Tito (ed è da qui che De Andrè prenderà il nome). Tito è il capo di una gang che intercetta la Sacra famiglia sulla strada per l’Egitto ma, dopo aver dato un’occhiata a Maria e al bimbo, ordina agli sgherri di lasciarli stare. Anzi li ospita nella sua casa, prestando una bacinella alla Madonna affinché pulisca il pupo. Disma deve aver capito qualcosa, perché una volta ripartiti tuffa il suo figlio malato nella stessa bacinella e ne ottiene l’immediata guarigione da una specie di lebbra ulcerosa che lo sfigurava. Sono storie belle da raccontare ma che a ben vedere appesantiscono l’arco narrativo e ne indeboliscono la premessa fondamentale: se Disma avesse già avuto un incontro con Gesù, la sua estrema conversione in croce non avrebbe la forza che ha.
Il Disma originale, in Luca, compare in due versetti, determinanti nel definire il cristianesimo (e il cattolicesimo) come la religione in cui ti puoi salvare all’ultimo momento, in extremis, esalando l’ultimo respiro: basta pentirsi. Lo stesso concetto era stato introdotto, in Matteo, dalla parabola dei lavoratori della vigna: la storia di un padrone bizzarro che decide di pagare lo stesso salario politico a tutti gli operai, anche se alcuni si sono presentati puntuali e altri all'”undicesima ora”. Alle rimostranze dei primi, il padrone fa spallucce:
Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.
La parabola però può essere intesa come un’allusione alla storia collettiva del popolo di Dio: gli operai puntuali sarebbero gli ebrei, quelli dell’ultima ora i gentili. Meno interessato al dialogo inter-religioso, più concentrato sull’individuo, Luca fornisce i credenti di una colossale Tana-Libera-Tutti che è uno dei segreti del millenario successo della Chiesa: perché è pur vero che anche un assassino può convertirsi in punto di morte, ma è necessaria la presenza di un notaio che ne ratifichi il pentimento: non c’è più Gesù Cristo in croce al tuo fianco, devi chiamare il prete. Malgrado la sua incontestabile importanza, Disma non è un santo molto venerato dalle nostre parti: il nome stesso ci suona abbastanza arcano, e la stampa cattolica preferisce chiamarlo “Buon Ladrone”. Molto più successo ha riscosso in Brasile, dove gli è stata dedicata almeno una cattedrale. La Catedral de São Dimas a São José dos Campos (stato federale di São Paulo) è un buffo fortino eptagonale che l’anno scorso era in fase di completa ristrutturazione, e che come molti stadi dovrebbe essere pronto nel 2014. San Disma è ovviamente patrono dei moribondi, dei ladri ma anche di chi da loro si difende, dei prigionieri e delle carceri; degli alcolisti e dei giocatori, e in generale di tutti quelli che si salveranno solo un attimo prima del gong. Non un secondo di più: uno solo sarebbe sufficiente a ridannarli ancora, a inghiottirli nelle tenebre.