Leonardo il liberatore
6 novembre – San Leonardo di Limoges, (496-559) liberatore.
All’eremita Leonardo, il primo re cristiano Clodoveo conferì un privilegio singolare: l’amministrazione della grazia. Ovunque avesse incontrato prigionieri, Leonardo avrebbe potuto liberarli. Prima che a lui, questo privilegio era stato concesso al suo maestro, Remigio vescovo di Reims. Nella storia della nazione francese, San Remigio ha un ruolo particolare: è lui il primo vescovo a battezzare cattolicamente un re barbaro, Clodoveo appunto. Con Remigio un clan di barbari diventa la prima dinastia regale della Francia cattolica, i Merovingi. Da lì in poi tutti i re avrebbero cercato di farsi incoronare a Reims, la cui cattedra vescovile sarebbe diventata la più prestigiosa di Francia: quello che per l’Inghilterra è Canterbury, e per l’Italia ovviamente Roma. Alla morte di Remigio, la cattedra fu offerta a Leonardo, suo discepolo, di nobile famiglia intrecciata a quella regale. Leonardo rifiutò, non gli interessava la politica. Preferiva stare in campagna. Ma conservò comunque i privilegi di Liberatore.
Al Metropolitan di New York c’è una sacra conversazione di Correggio, con al centro Marta e Maddalena, e ai lati Pietro e Leonardo. Le due sante rappresentano, ovviamente, la vita contemplativa e quella attiva (anche se all’occhio moderno Marta sembra una suora e Maddalena una modella). Anche Pietro e Leonardo sono complementari: il primo ha ovviamente in mano le chiavi, il secondo le manette. Pietro è la giustizia, Leonardo la grazia. Pietro ti condanna perché è giusto, Leonardo ti libera perché è buono.
Il Leonardo storico, poi, ammesso sia esistito, non si sa quanti prigionieri realmente liberò: la sua scelta di vita in un eremo al centro della Francia profonda non si concilia benissimo col ruolo di negoziatore di ostaggi. Bisogna anche spiegare che ai suoi tempi, e per molti secoli ancora, la prigionia fu un business fiorente. Molta gente rinchiusa nei castelli non è che avesse infranto qualche legge (che peraltro non era quasi mai scritta, e poi tanto nessuno degli interessati sapeva leggere): erano stati catturati in guerra e aspettavano di essere scambiati con denaro o con altri prigionieri. Mille anni più tardi poteva ancora capitare a un aristocratico come Carlo di Valois di restare prigioniero per un quarto di secolo, in attesa che il fratellastro mettesse insieme la cifra necessaria ad affrancarlo. Oppure ci si poteva votare a San Leonardo. L’ultima spiaggia, in molti casi l’unica. Fu Boemondo re d’Antiochia, all’indomani della prima crociata, a riscoprire il santo liberatore dopo i secoli bui; catturato dagli islamici, Boemondo proclamava di essersene liberato invocando San Leonardo, e non grazie all’interessamento di un alleato indigeno, il re d’Armenia. Qualche epidemia e il ritrovamento miracoloso delle reliquie contribuirono alla riscoperta di un santo che aveva rischiato di perdersi nella nebbia dei secoli bui. Anche se ovviamente tutto quello che sappiamo di lui è leggenda, e nessuna di queste leggende è attestata prima del decimo secolo. Ci piace tuttavia immaginarlo a zonzo per la Francia immensa, mentre svuota carceri e prigioni destando l’indignazione di vassalli e servi della gleba, dov’è la certezza della pena? che razza di Stato di diritto è quello che rilascia i malviventi? eccetera. Uno Stato medievale, senza dubbio. Leonardo se ne frega dell’impatto sociale delle sue azioni; Leonardo ha scelto di essere la grazia incarnata. Alla giustizia ci pensino politici e magistrati. Non è un ministro; avrebbe potuto esserlo per formazione e per lignaggio. Non gli interessava. Del resto anche noi, troppe volte, nei ministri cerchiamo dei santi, degli intercessori (continua…)
È il famoso sostrato cattolico, che ci rende a volte incomprensibile la modernità (e viceversa: la modernità non riesce a capirci). Stimati opinionisti vanno in tv e si domandano: ma in fondo la Cancellieri cos’ha fatto di male? Ha aiutato un’amica. Pretendete che aiuti soltanto gli estranei? Si dà per scontato che un ministro debba comunque aiutare qualcuno. In questo consisterebbe il suo potere, o il suo privilegio: nel poter intercedere per noi. Sotto il cattolicesimo c’è una scorza di pessimismo ancora più profonda e pagana. Gli dei, se esistono, sono inaffidabili e continuamente presi dalle loro scaramucce. Non esiste una vera giustizia nel Caos: esiste un destino che fa quello che gli pare, avvinghiando gli stessi dei che a loro volta trascinano nella disgrazia gli umani votati a loro. Non resta che onorarne il più possibile, sperando che non si incazzino comunque per misteriose questioni restate in sospeso da millenni, e provare a entrare nelle grazie di qualche divinità più misericordiosa. Magari uno poco importante, periferico, che abbia tempo per ricordarsi di te e interesse a trattar bene i suoi clienti. I cristiani, quando arriveranno, li chiameranno “santi in paradiso”. È importante averne almeno uno. In teoria poi i cristiani dovrebbero credere in un Dio che sia giustizia pura e puro amore, e quindi non necessiti di alcuna intercessione. In teoria. In pratica i cieli e la terra restano quel caos che sono, e alla prima sfiga la gente si appende al telefono: solo tu mi puoi aiutare, tu che sei tanto buono, di’ una parola buona. Scetticismo e devozione sono due facce della stessa medaglia: chiedere cose ai santi (o ai ministri) significa non fidarsi di Dio (o della giustizia). Una concezione feudale, clientelare, diciamolo: mafiosa.
La modernità, viceversa, vista da lontano sembra un’entità monolitica disegnata dall’Emilio di Rousseau quando crescendo ha avuto nostalgia dell’ordine, poi è diventato giacobino e si è messo a falciar teste imparruccate. Non c’è bisogno di intercessioni né di altre deroghe alla norma, perché lo Stato tutto vede, tutto capisce, è un Ente Supremo che tutto giudica con giustezza e precisione: chi è in galera è dunque giusto che ci resti. Per la verità chi nella modernità c’è stato – in vacanza o in erasmus – ci riporta immagini più ragionevoli: anche laggiù si concepisce che le cose non sempre vadano come dovrebbero, e l’istituto pre-moderno della grazie è previsto e disciplinato dalle leggi. I privilegi concessi a San Leonardo vengono ancora oggi riconosciuti, per esempio, al presidente della Repubblica, o a quei governatori nei film americani che fino all’ultimo possono telefonare nella cella della morte e interrompere l’esecuzione, così, perché il dubbio e la pietà possono prevalere fino all’ultimo momento. Nei fatti non prevalgono quasi mai: sono tutti eletti che hanno ancora bisogno di voti, e le elezioni si vincono ostentando giustizia, piuttosto che grazia. La grazia viceversa le elezioni te le fa perdere (anche nei Paesi meno moderni), ed è giusto così. La giustizia ci riguarda come collettività, la grazia come individui. Voteremo sempre per chi ci promette ordine e certezza della pena, salvo appenderci al telefono quando la pena colpirà proprio noi. Non c’è nulla di strano. Probabilmente anche la singola formica, quando capisce che la regina ha deciso di sacrificarla, ha pietà per la sua sorte. Noi non siamo formiche e probabilmente a questo punto non lo diventeremo mai: siamo mammiferi onnivori che tendevano a collaborare per difendersi e cacciare prede più grosse, dopodiché ognuno per sé. Il fatto che siamo riusciti comunque a costruire edifici sociali straordinariamente complessi è sorprendente, ammesso che ci sia qualche dio la fuori disponibile a sorprendersi. Ma probabilmente dipende dal fatto che ci interessano prede sempre più grosse. Quel dio lo sa, e non ci giudica.
Anche Leonardo non ci giudica, non gli interessa. Viveva nei boschi per non dar fastidio a nessuno, e se incontrava un prigioniero lo liberava. Liberò anche la regina Visigarda dal bambino che portava nel ventre, o se preferite liberò il bambino dall’utero. Liberare e far nascere sono la stessa cosa: un atto di grazia. La giustizia arriva dopo, non ci guarda in faccia e non ci chiama per nome. È giusto che sia così. Ma non è grazioso.