Attila è là fuori, nella nebbia

Sono Geminiano, e ogni 31 gennaio mi scoperchiano la tomba per traumatizzare i bambini

31 gennaio – San Geminiano (312-397), patrono e difensore di Modena, Attila non passerà!

È il 31 gennaio e dovrei parlare di Modena e del suo biancobarbuto patrono, ma non ci ho voglia. Se proprio devo dirla tutta, io ho sempre tifato Attila. Quante volte a un semaforo, o errando alla vana ricerca di un parcheggio, o nel fetore piccionesco del centro l’ho invocato: vieni Distruttore, fin troppo hai errato nella valle, salta fuori dalla nebbia e ràdici al suolo. E invece no, Attila non s’è mai fatto vivo. Era atteso per il 452, aveva già devastato Aquileia – cos’è Aquileia? Niente, appunto, da quando ci passò Attila. Ma prima era la quarta città italiana per grandezza. E poi aveva saccheggiato Padova, Bergamo, e un sacco di altre città che terrorizzate gli aprivano le porte senza neanche provare a resistere. Ma Mutina (Modena) no, Mutina attivò lo schermo protettivo, ovvero invocò il patrono e questi benigno dall’aldilà fece scendere la nebbia. La leggenda tradisce il pregiudizio che Attila fosse un coglione, un subumano, uno che attraversa la Valpadana come una steppa senza fare neanche caso alle strade romane, che pure son lì, sono comode, tu prendi la Aemilia (oggi SS9) a Mediolanum (Milano) in direzione Ariminum (Rimini), e nebbia o non nebbia ci arrivi a Mutina, semmai il grosso rischio è passare oltre e non farci caso perché non è questo granché di città, diciamo, con tutta quella rete fognaria che resterà a cielo aperto fino al Novecento. Ma Attila non era quel buzzurro che si pensa in giro. Sì, era unno, aveva imparato a cavalcare prima di camminare eccetera. Ma era cresciuto a Ravenna, ostaggio degli imperatori di occidente; parlava correntemente latino; è difficile pensare che non riuscisse a orientarsi su un piano padano che è quasi cartesiano (continua qui)

I tratti forse mongolici di Attila lo rendevano agli occhi degli occidentali una specie di mostro, con tanto di orecchie a punta

La triste verità è che Attila, Modena, l’ha snobbata: non gli interessava. Incredibile a dirsi, ma è così. Tra Aquileia e Milano aveva già saccheggiato il saccheggiabile e no, non era affatto un coglione. Gli era già successo ai Campi Catalunici di spingersi troppo in là seguendo il miraggio di un bottino infinito, e di restare insaccato in mezzo alle legioni nemiche. Cominciava ad avere un’età, magari pensava a ritirarsi invitto. Mise le tende da qualche parte sul Mincio e attese l’ambasciata di papa Leone. Per uno come lui, che aveva devastato Belgrado e Strasburgo e Treviri, che differenza vuoi che facesse una Modena in più o in meno. A me piace comunque pensarlo da qualche parte nella nebbia che gira e si rigira e non si raccapezza, magari è a un passo dalla città, per dire magari è a Cognento, o a Vaciglio, ogni tanto chiede indicazioni ai passanti e non vuole far vedere di essere il Flagello di Dio, cerca di essere educato – ma l’accento uralo-altaico lo tradisce, il passante scappa, al Flagello non resta che trafiggerlo con una lancia prima che possa dare l’allarme, ogni tanto effettivamente al Resto del Carlino arrivano foto di coltivatori diretti trafitti da lance, ma tutto viene messo a tacere per non seminare il panico. È una banda di immigrati dell’Est, dicono. Si fanno chiamare “orda”.

Il ritratto ufficiale (leziosissimo)

La nebbia della leggenda non è un semplice fenomeno atmosferico, assomiglia a quella cosa che si vedeva sui televisori analogici quando l’antenna era guasta, il segnale interrotto; è la mancata sintonia tra Modena e il mondo. La sola idea che Modena sia nello stesso mondo in cui ci sono le altre città, l’idea che sia raggiungibile mediante strade romane o ferrovie ad Alta Velocità, è una cosa che disturba il modenese. Il quale conserva una specie di mentalità isolana al centro di una pianura popolata, in un luogo dove ogni tanto la Storia ha pur da passare, a cavallo o sui carri armati (della Wehrmacht). Ecco, la Storia quando passa da Modena trova molto spesso gli scuri sprangati, non se la fila nessuno. È roba da forestieri, una cosa che dovrebbe succedere altrove, da noi no perché noi abbiamo cose più importanti da fare, l’apcaria, la torta Barozzi, l’aceto balsamico, un nuovo piano del traffico. E anche la Natura, ma cosa vuole da noialtri, si può sapere? La reazione standard del modenese al terremoto è l’incazzatura, be’ ma oh! un terremoto da noi? Sol che non scherzi. I terremoti devono stare a casa sua. San Geminiano, nascondici.

Comunque una città unica

Oggi è San Geminiano e a Modena non si va a scuola, chissà se i ragazzini vanno ancora in piazza a schiumarsi con le bombolette. Io non ci ho voglia di fare il bozzetto sugli usi e i costumi, Modena per me è come quelle ex che ti fanno vergognare sia se le chiami sia se non le chiami, eppure siete stati felici assieme ma il tempo ha dissolto ogni bel ricordo, come il vento, come il vento ha portato polvere, la polvere si è addensata agli angoli, ha fatto i gatti solo intorno alle antiche figure di merda. Preferirei parlare di città misteriose che non ho mai conosciuto, per esempio di Timbuctù, sono molto preoccupato per la biblioteca di Timbuctù e in generale per quella lontana città che è un posto straordinario. Pensate che due secoli fa gli europei avevano colonizzato gli antipodi, ma non avevano ancora trovato Timbuctù. Sapevano che era da qualche parte al centro del Sahara, su un’ansa del misterioso fiume Niger, lastricata ovviamente d’oro e d’ebano e d’ogni ben di Dio, ma nessun cristiano poteva arrivarvi, era off limits. Mungo Park, lo scopritore scozzese della sorgente del fiume, era morto nel 1806 mentre cercava di arrivarci su una zattera nel fiume, costantemente esposto agli attacchi degli indigeni.

Caillié en travesti

Fu però un francese figlio di nessuno, René Caillié, a capire vent’anni dopo che bisognava cambiare strategia: se si voleva penetrare nella capitale dei beduini, bisognava trasformarsi in beduino. Si trasferì da qualche parte sul fiume Senegal, mimetizzandosi con un turbante; lasciò che il sole gli arrostisse la pelle, perse otto mesi a perfezionare la lingua del posto, e poi si aggregò a una carovana di mercanti raccontando di essere un egiziano rapito dai francesi che voleva tornare a casa. Ci credettero e lo portarono a Timbuctù, dove tutta la poesia ebbe fine. La favolosa capitale del deserto, scoprì Caillié, era una città di fango. Oggi la troviamo mirabile anche in questo, in effetti ci vuole abilità a costruire col fango, e la biblioteca ospita(va) manoscritti inestrimabili; ma a inizio Ottocento questo tipo di condiscendenza verso le altre culture era ancora in embrione: ci rimise male, e lo scrisse. Senza scorta armata, senza portatori, Caillié era riuscito dove gli emissari di due potenze coloniali avevano fallito: si intascò persino i diecimila franchi messi in palio dalla Société de géographie per il primo uomo bianco che fosse stato in grado di entrare a Timbuctù e soprattutto a uscirne vivo. Era il prezzo da pagare per farla finita coi miraggi del mondo antico, e accettare che non c’è nessun Eldorado al di fuori dei nostri.

Caillié in borghese

Oggi è San Geminiano che ha la barba bianca. Potrebbe in effetti nevicare, state attenti modenesi. Quel signore tutto bianco, di neve o schiuma da barba, magari è Attila in incognito, che ha studiato il dialetto gli usi e i costumi e finalmente è riuscito a entrare, e ora si sta chiedendo: tutto qui? No ma sul serio mi avete tenuto milleseicento anni nella nebbia per non farmi entrare in un posto così?

Ma soprattutto: se entro con l’orda, dove la parcheggio?

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.