La grande truffa della Chiesa d’Occidente
31 dicembre – San Silvestro, Papa (†335)
“La notte di San Silvestro”. Non so chi abbia cominciato a chiamarla così. Non è un’espressione antica: nel medioevo i giorni cominciavano al tramonto, quindi si trattava piuttosto della notte della Circoncisione di Gesù (primo gennaio). D’altro canto fino al Settecento ognuno festeggiava il capodanno un po’ quando gli pareva, per la gioia delle cancellerie. Non c’era consenso nemmeno tra una città e l’altra: a Venezia l’anno iniziava il primo marzo, perciò dicembre era davvero il decimo mese. A Firenze cominciava il 25 marzo: a Pisa anche, ma c’era un anno di differenza, così, per il piacere di complicarsi la vita. In Francia si cominciava con la Pasqua. Esatto, era una festa mobile, quindi ogni anno aveva un numero di giorni diversi. A Bisanzio, ma anche nel meridione e in Sardegna, si cominciava il primo settembre, che in fondo anche oggi è il capodanno vero, quello senza spumante e con tanta tristezza. Ufficialmente però alla fine ha prevalso lo “stile moderno” – che in realtà adoperavano già i romani nel secondo secolo avanti Cristo, detto anche “della circoncisione”, perché gli ebrei venivano circoncisi nell’ottavo giorno dalla nascita, e quindi a Gesù sarebbe capitato il primo gennaio, appunto. E San Silvestro, in tutto questo?
Niente. Non c’entra niente. Eppure da bambini, a furia di sentire parlare di “veglione di San Silvestro”, finivamo per immaginare uno di quei santi bonaccioni che portano doni nottetempo: un Santa Klaus per adulti, niente regali per i bambini ma un magnum per mamma e papà, e poi danze, ricchi premi et cotillons. Ebbene no, San Silvestro non è quel tipo di Santo. Silvestro Papa è l’ultima persona che invitereste a un veglione, San Silvestro è uno dei santi più opachi del calendario, notevole non per quello che ha fatto (resse la Chiesa di Roma ai tempi di Costantino), ma per quello che non ha fatto. Per esempio non ha indetto il concilio di Arles (314) che condannò lo scisma donatista: ci pensò Costantino. Undici anni più tardi a Nicea si tenne il primo concilio ecumenico della Chiesa universale, che condannò lo scisma ariano, e Silvestro non lo organizzò: ci pensò anche stavolta Costantino. Il papa non trovò nemmeno il tempo di andarci. Insomma appare abbastanza chiaro che all’inizio del quarto secolo il vescovo di Roma era una figura di secondo piano. Più in generale, era Roma che stava perdendo colpi. Era ancora il simbolo dell’impero, da poco si era munita di mura, ma non era più capitale. Non reggeva il dinamismo delle ricche metropoli orientali, Alessandria d’Egitto e Antiochia in Siria. Ma anche i Cesari e gli Augusti d’occidente le preferivano città più prossime ai confini, come Milano o Treviri. Costantino le avrebbe dato il colpo di grazia, fondando Costantinopoli – lui in realtà pensava di chiamarla “Nuova Roma” o qualcosa del genere, non era quel tipo di tiranno che si dedica le città da vivo.
Silvestro è ricordato come un grande confessore: si tenne prudentemente alla larga dalle dispute cristologiche, e tutto lascia capire che accettò senza troppi patemi che Costantino, imperatore non battezzato, gestisse le pratiche conciliari senza di lui. Tutto qui? Tutto qui. Tranne un piccolo dettaglio. Qualche secolo dopo la sua morte, Silvestro diventa famoso come protagonista della più grande patacca della Storia europea (diciamo che se la gioca alla pari con i Protocolli dei Savi di Sion): la Donazione di Costantino, un documento falso scritto probabilmente nel nono secolo, ma attribuito a un cronista-notaio di cinque secoli prima. La Donazione racconta di come Costantino, colpito dalla lebbra (!), si fosse rivolto ai sacerdoti pagani, i quali prontamente gli suggerirono il rimedio: un bel bagno rigenerante nel sangue di neonati. Sdegnato, ma anche un po’ disperato, Costantino si riduce a chiedere aiuto a Silvestro, che prontamente lo guarisce. A questo punto l’imperatore decide di omaggiare il pontefice con una modesta elargizione di territorio: la città di Roma, tanto per cominciare; lo Stato della Chiesa tra Lazio e Ravenna, e poi… e poi, crepi l’avarizia, tutto l’Impero d’occidente, anzi tutto l’occidente, fino al mare e anche più in là. Tant’è che quando nel quindicesimo secolo nasceranno controversie tra spagnoli e portoghesi sulle colonie americane, sarà la Chiesa a fare da intermediaria, basando il proprio diritto proprio sul testo della Donazione.
E a questo punto sorge spontaneo l’interrogativo: come hanno potuto crederci davvero, per tutto quel tempo? Ci voleva davvero l’acume filologico dell’umanista Lorenzo Valla per notare qualcosa di sospetto in un testo classico che parla di “feudi”? Nel testo è sottolineata l’importanza, guarda un po’, del Papa di Roma: Costantino chiede che sia riconosciuto superiore ai patriarchi di Antiochia, Alessandria e… Costantinopoli. Ma ai tempi di Costantino, Costantinopoli era ancora un cantiere, e soprattutto, come abbiamo visto, nessuno l’aveva ancora chiamata così. Per essere creduta autentica, insomma, la Donazione richiedeva uno sforzo di fede ben superiore a quello dei misteri cristologici e trinitari. Fa un po’ effetto, a chi ri-studia la Storia da adulto, e si sforza a ogni passo a trattare gli oggetti del suo studio da adulti, adulti inseriti in un contesto di credenze molto diverso dal suo, ma pur sempre adulti, non fanciulli russoviani o vichiani: fa un po’ effetto, dicevo pensare che per mezzo millennio la favoletta della fontana di sangue di neonati fu presa sul serio anche dai detrattori del potere secolare della Chiesa, uomini di potere o intellettuali come Dante:
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre! Inferno (XIX)
Eppure in un qualche modo funzionò. Forse qualsiasi favoletta funziona, basta ripeterla con ostinazione. Per esempio, provate con me: “La Chiesa paga già l’ICI, la Chiesa paga già l’ICI, la Chiesa paga già l’ICI”… ehi, funziona.