Il patrono del Post
18 ottobre – San Luca Evangelista (1-84 ca.)
Credo che sia ormai evidente a tutti come la missione di questo blog sia portare la luce della fede in quel covo di razionalisti e laici esasperati che è il Post. Non è certo un disegno che un mortale possa portare a termine senza qualche aiuto altolocato, ed è per questo motivo che, sin dall’inizio, ho deciso di scegliere tra i Santi del paradiso il protettore del Post; non credo infatti che in redazione nessuno ci abbia ancora pensato. Dopo una lunga riflessione ho quindi risolto di nominare San Luca Evangelista, diciotto ottobre. C’è bisogno di spiegare il perché?
Per prima cosa, è il patrono del direttore, quindi un’occhiata da questa parte la buttava comunque. Ma c’è naturalmente molto di più. Di tutti gli autori del Nuovo Testamento, Luca è quello che più può rassomigliare a un moderno giornalista. Benché la sua inchiesta su Gesù sia probabilmente la meno lacunosa, Luca è l’unico evangelista ad ammettere di avere lavorato su fonti già scritte, tra le quali probabilmente il Vangelo di Marco e un’altra raccolta di detti di Gesù che è andata perduta (in realtà le cose sono probabilmente più complicate: ne parliamo un’altra volta). Questo materiale, Luca lo rielabora da buon cronista, in ordine cronologico, cercando di risolvere alcune incongruenze e forse eliminando alcuni dettagli familiari agli ebrei (le impurità rituali), che avrebbero lasciati perplessi i lettori non circoncisi a cui Luca (lui stesso forse non ebreo) si rivolgeva. Nato magari ad Antiochia, Siria (oggi Turchia), una delle tre metropoli del mediterraneo antico, Luca era uno dei più stretti collaboratori di Paolo di Tarso, il principale artefice dell’esportazione del cristianesimo fuori dal mondo ebraico. Il Vangelo secondo lui è soltanto la prima parte della sua opera, che prosegue direttamente dopo il racconto della resurrezione, con gli Atti degli Apostoli. In mezzo ai due libri la tradizione ha piazzato il Vangelo di Giovanni, il libro con più pretese filosofiche e letterarie di tutto il Nuovo Testamento, conficcato come un enigmatico cuneo nella prosa limpida e serena di Luca. Nella seconda parte degli Atti, quella che ha come protagonista San Paolo, Luca comincia a usare il “noi”, segno che dei viaggi di Paolo l’evangelista è testimone oculare: ed è l’unico indizio che ha fatto pensare a Luca, perché in realtà l’autore dei due libri non si firma; da buon giornalista, dopo una prefazione di tre righe scompare dietro ai fatti che racconta. Non sappiamo nemmeno che fine abbia fatto: gli Atti s’interrompono abbastanza bruscamente mentre Paolo è agli arresti a Roma in attesa di giudizio. Luca è con lui? La tradizione lo vuole sopravvissuto in Beozia, fino all’età di 84 anni. Ma è possibile che un cronista appassionato come lui interrompa un reportage così, di punto in bianco?
Da buon giornalista, Luca prende le sue cantonate. Quando lo Spirito Santo finalmente illumina gli apostoli, da spiccio pescatore qual era San Pietro si ritrova improvvisamente in grado di tenere un discorso davanti a una folla di migliaia di persone, tremila delle quali si convertiranno alla neonata religione seduta stante (At 2,41). E va bene che a Gerusalemme c’era festa ed era venuta gente un po’ da ogni dove, ma tremila sembra un dato davvero esagerato, per quei tempi senza microfoni. Potrebbe essere la prima volta che un giornalista gonfia i numeri di un’adunata di piazza. (Continua…)
In altri casi forse è l’ideologia che lo frega. Nel suo discorso programmatico di Gesù sulla Montagna dice: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Almeno, nel Vangelo di Matteo dice così (5,3). Ma Luca quello spirito non capisce cosa voglia dire, e lo cancella: beati i poveri, e basta (6,20). O forse è Matteo che, intimorito dal potenziale rivoluzionario delle parole di Gesù, aggiunge quella parolina, “spirito”, che in effetti può voler dire tutto e niente? Se ne discute da duemila anni, ma nel frattempo non c’è dubbio che di tutti gli evangelisti, Luca sia il più liberal (infatti è il patrono del Post). Non è che faccia propaganda, lo si capisce dal punto di vista che assume, dai soggetti che preferisce inquadrare: poveri e donne, vedove e straccioni. La Chiesa degli apostoli è una comune dove è bandita ogni proprietà privata (e chi sgarra muore sul colpo: At 5,9-10). Per Matteo l’annunciazione era una cosa tra maschi: l’angelo appariva in sogno a Giuseppe e spiegava tutto a lui (Mt 1,20). È Luca a mettere in primo piano Maria, a cui regala il suo primo inno trionfale: il Magnificat (Luca ama inserire preghiere originali e lunghe citazioni: è il patrono del Post).
Poi c’è la questione dei quadri. A un certo punto dell’alto Medioevo – probabilmente nel periodo in cui l’Islam reintroduce il divieto a produrre immagini di Dio, e a Bisanzio infuria la lotta tra iconoclasti (distruttori delle icone) e iconoduli (quelli che invece volevano conservarle), nasce la leggenda – via, diciamo la tradizione – secondo la quale Luca fu pure un bravo pittore, ovviamente il primo del cristianesimo; e gli vengono attribuite tutta una serie di madonne, tra le quali famosissima quella nera custodita a Czestochowa, Polonia, e ovviamente quella nel santuario sul colle di Bologna. Certo, per pensare che Luca (della generazione di Gesù, se non un po’ più giovane), potesse aver ritratto la Madonna col bambino bisognava avere un’idea un po’ vaga della cronologia del Vangelo, oppure scomodare le solite visioni miracolose eccetera. Ma erano anni duri per gli iconoduli, e non si guardava per il sottile. La scelta di Luca come primo pittore cristiano era quasi obbligata: la tradizione lo vuole medico, e anche se l’esperienza del mestiere non traspare dagli scritti, un po’ di esperienza di anatomia si riteneva che dovesse averla. Insomma, scrittore e disegnatore dal vero: si poteva trovare un migliore Santo protettore per il Post?
C’è poi una caratteristica particolare dello stile, che lo rende uno degli evangelisti più apprezzati. Oltre a essere uno scrittore realistico, asciutto, un po’ engagé ma senza esagerare, Luca è l’evangelista delicato. Il suo simbolo è il bue, l’animale mansueto (no, non c’entra col presepe, nessun Vangelo parla di un bue accanto all’asinello). Anche quando si muove tra processi e supplizi, riesce sempre a trovare una parola gentile per gente che non necessariamente se la merita. Un esempio tra tanti è quello degli apostoli nell’orto degli Ulivi. Si sa che non ci fecero una bella figura, quella notte: Gesù pregava, colmo d’angoscia e tentato dal dubbio, e loro dormivano. Notate che sono i futuri fondatori della Chiesa. Non è escluso che ronfassero persino, visto che ogni tanto Gesù se ne accorge e li riprende. Non deve essere stato semplice, col senno del poi, ricordarsi delle parole del Maestro: “Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” Così in Matteo (26,40). In Marco, (14,37-38) Gesù si rivolge al solo Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”. Tutto vano: gli apostoli hanno gli occhi “appesantiti dal sonno”: si addormenteranno di nuovo, per svegliarsi solo all’arrivo di Giuda con le guardie.
Luca invece è delicato. Gli apostoli dormivano, sì, ma “per la tristezza” (22,45). Sembra l’unico passo in cui Luca usa questa parola, “tristezza”. Non sono teneri, questi futuri santi e pontefici, che si addormentano dalla malinconia? Ma sarà vero che di tristezza ci si possa addormentare? A voi è mai capitato?
Io ho dovuto pensarci un po’, ma in effetti sì, mi è capitato. E a volte ancora mi capita. Luca non è solo un giornalista, Luca è un grande scrittore. Si capisce dai piccoli dettagli.