La rendita del non governo
In una democrazia parlamentare il presidente del Consiglio non è quasi mai una figura unificante: uomo di parte per definizione, in quanto legittimato dall’investitura ricevuta dai gruppi parlamentari e dai partiti, avrà sempre una quota più o meno estesa di sostenitori e detrattori. Accadde a padri della Patria come Camillo Benso di Cavour (che Giuseppe Mazzini bollò con parole di fuoco) o Alcide De Gasperi (con Palmiro Togliatti che, chiudendo la campagna elettorale del 1948, invitò i militanti del Fronte Popolare a risuolare gli scarponi per cacciare a pedate l’Austriaco da Palazzo Chigi). È del tutto normale che sia così anche per Matteo Renzi.
Il nostro premier governa, peraltro, in una stagione di grande difficoltà: il fatto che si sia finalmente cambiato da meno a più il segno degli indicatori economici e occupazionali non cancella gli effetti della terribile crisi recessiva degli ultimi otto anni, in parte legata a vicende planetarie, in parte endogena. Stupisce che non si comprenda come proprio questa situazione difficile debba indurre gli Italiani a moltiplicare gli sforzi, a investire in fiducia, a raddrizzare la prospettiva.
Come che sia, il disagio sociale è acuto, e non sparirà dall’oggi al domani. Va ascoltato e compreso, e in quanto possibile attenuato. Ma è inevitabile che chi si assume la responsabilità di governare sia bersaglio di proteste e di contestazioni. È grave che la protesta assuma forme che costringono alla repressione da parte delle forze dell’ordine, ed è gravissimo che esponenti politici e istituzionali soffino sul fuoco della rabbia, mostrando cinismo ed irresponsabilità.
Il fatto nuovo è che l’eterogenea coalizione del fronte antirenziano stia inseguendo in misura crescente la via della “character assassination”. Non si tratta di dissentire da una politica, ma di lanciare una fatwa; non di contestare una o più scelte, ma di pronunciare un anatema; non di proporre un’alternativa, ma di sancire una indegnità morale.
Lo si era già visto con Silvio Berlusconi. Ma quale parallelo potrà mai esserci fra un plutocrate con un enorme potere nel settore della comunicazione che plasma un partito e poi una coalizione a propria immagine e somiglianza e una persona dalla vita e dalla carriera normalissima che arriva alla leadership dopo una lunga contesa? Perché va esorcizzato, stigmatizzato come abusivo, anomalo, alieno?
Il punto cruciale, il vulnus che una parte assai ben definita del mondo politico e della classe dirigente rimproverano a Matteo Renzi è l’idea che il Governo debba governare. E a dire che debba fare delle scelte e assumersene le responsabilità, facendosi carico delle inevitabili scontentature. Un procedimento tipico delle democrazie decidenti, ma del tutto ignoto alle democrazie consociative.
Il complesso del tiranno, la sindrome dell’uomo solo al comando, e le altre assortite baggianate con cui si camuffa questa crociata celano non l’ostilità a questo Governo o a questo premier, ma quella all’idea stessa di Governo, alla possibilità che il potere Esecutivo sia anche in Italia effettivo, lineare, trasparente.
Perché l’assenza di governo ha i suoi pregi, le sue sacche di privilegio, le sue rendite. Nel torpido ed imbozzolato sistema della consociazione si incistano i controllori della mediazione, i faccendieri dei codicilli e delle interpretazioni, i mille Ghini di Tacco delle tortuosità italiane. Tutti attentissimi ad impedire che un Governo qualsiasi possa (sotto lo stretto controllo del Parlamento e degli istituti di garanzia, per tacere del supremo contrappeso della giurisdizione) aprire le finestre, togliere polvere e ragnatele, sostituire la penombra con la luce.
In un certo senso la cartina di tornasole di questo atteggiamento sta nel pressing fatto su Renzi dopo l’annuncio delle dimissioni sue e del Governo in caso di vittoria dei No al referendum. Una banalità, per chi crede che un Esecutivo debba prendere atto della bocciatura dell’elettorato; ma una lacerazione intollerabile per chi considera il Governo un segnaposto ornamentale, un delicato ninnolo che va soprattutto posto in condizione di non disturbare.
Di punto in bianco i più feroci detrattori di Renzi sono diventati assai pensosi della sua longevità ministeriale. Fino al prossimo accordo delle élites e al prossimo premier incolore di un Governo per finta. Una zuppa già trangugiata in precedenza, senza nessuna utilità per il nostro Paese.